Intervista a Carlotta Bernardoni-Jaquinta, traduttrice di “Fucile” di Odile Cornuz – Viceversa letteratura


© Viceversa letteratura, 21.05.2024

Intervista a Carlotta Bernardoni-Jaquinta, traduttrice di “Fucile” di Odile Cornuz
di Valeria Versari

In questa intervista, Carlotta Bernardoni-Jaquinta ci conduce lungo il percorso di traduzione del romanzo Fusil di Odile Cornuz. Sottolinea la maestria con cui Cornuz affronta il delicato tema della violenza psicologica, attraverso un linguaggio sottile che suggerisce piuttosto che descrivere apertamente, e che evolve insieme alla relazione dei due personaggi principali. La traduttrice racconta così le difficoltà incontrate per mantenere questa sottigliezza, e alcune sfide legate alle scelte di Cornuz, come l’uso di disegni di oggetti come titoli dei capitoli, e la scelta di mantenere anonimi nomi e luoghi nel romanzo, evidenziando l’universalità di Fucile.

Fusil è il primo romanzo di Odile Cornuz, che ha già pubblicato raccolte di racconti e testi in prosa. Che cosa ti ha portata a volerlo tradurre? C’è qualcosa che ti piace particolarmente della sua scrittura?
In generale della scrittura di Odile Cornuz apprezzo molto che sia così vicina al “reale” – e con reale intendo realmente in uso –, che cerchi di riprodurre, esplorando le diverse proprietà linguistiche, qualcosa di vivo. E lo fa passando proprio da elementi molto concreti, tangibili, che attivano tutti i sensi. La lingua diventa un materiale vero e proprio, da modellare.
Di Fusil in particolare mi è piaciuto molto lo stile. Da un lato appunto questa lingua viva, legata all’oralità e a un uso del linguaggio che potremmo definire spontaneo, dall’altro delle immagini forti, profonde, che aprono delle brecce in questa spontaneità, nella vita di tutti i giorni, e si staccano dalle pagine per aprire mondi più astratti, interiori. Il dialogo fra queste due dimensioni – il quotidiano e una sorta di altrove – mi attrae molto. Trovo interessante anche la struttura del romanzo, con le illustrazioni degli oggetti che fungono da titolo ai capitoli, proprio per il suo mettere in primo piano la materia, le cose, nella loro accezione più grezza, più terrena, e in quella più metaforica che rimanda ad altro, che porta con sé delle storie.

Fusil parla di un tema molto delicato: la violenza psicologica in una relazione tossica. Che cosa ti ha colpita del modo in cui Cornuz tratta questi temi e come hai affrontato la sfida di tradurli?
Odile Cornuz riesce a parlare della violenza psicologica in modo molto sottile, la suggerisce quasi tramite le sfumature del linguaggio – come dicevo prima –, tramite i silenzi che pesano, fanno da cassa di risonanza, tramite gli oggetti che portano dentro di sé il ricordo dell’aggressione e dell’oppressione e tramite scene di vita quotidiana che a un primo sguardo appaiono famigliari a tutti e tutte. Proprio come i personaggi, anche chi legge rischia di ritrovarsi intrappolato nella violenza quasi senza rendersene conto, finché non diventa lampante e allora tutto quanto venuto prima prende un’accezione diversa. Questo aspetto è stato molto delicato da tradurre proprio perché dovevo stare attenta a non rendere esplicito questo meccanismo e perché dovevo lasciare degli anfratti, delle crepe, per dare alla violenza lo spazio di infiltrarsi piano piano, ma con solidità.

Sebbene si scopra già nel prologo che la storia d’amore non avrà un lieto fine, l’atmosfera attraverso il romanzo cambia gradualmente insieme al rapporto tra i due protagonisti, portando il lettore a percepire lo stato di tensione sempre più alto all’interno della coppia e a ritrovarsi a sua volta “intrappolato nella violenza”, come hai detto tu. Come viene resa e accentuata stilisticamente questa evoluzione, e come l’hai affrontata nella traduzione?
Secondo me Odile Cornuz in questo romanzo riesce a trasmettere la tensione emotiva rappresentata dal fucile del titolo proprio tramite il linguaggio. Tramite quello che viene detto e come viene detto. E soprattutto tramite quello che viene taciuto. A mio parere il crescendo – che naturalmente va di pari passo con lo svolgersi della vicenda – è sostenuto quasi più dal tono dei personaggi, in particolar modo da quello del personaggio maschile, che non dagli eventi in sé. Sappiamo fin dalle prime pagine che la relazione va a finire male, ma addentrandoci nel libro ci addentriamo fra le righe di questa relazione, ne capiamo i meccanismi, staniamo “la polvere che si deposita a caso” – per riprendere un’immagine del libro – bloccando gli ingranaggi, ed è che la tensione diventa sempre più palpabile. Come dicevo prima, ho cercato di fare attenzione a calibrare bene il tono utilizzato dai personaggi, a volte a livello lessicale, altre a livello sintattico. Anche curare la “tempistica” delle immagini più profonde, quelle quasi astratte e in rilievo di cui parlavo in apertura, è secondo me un aspetto importante rispetto a questa tensione. Ho cercato quindi di fare particolarmente attenzione anche alle parti che precedevano queste immagini per darle il rilievo che richiedevano e accentuare così il momento di tensione.

Hai tradotto un altro romanzo, La Moglie di Anne-Sophie Subilia, sempre per Gabriele Capelli Editore (2023), che affronta anche in qualche modo il tema di un rapporto di coppia che si incrina nel tempo. In che modo l’esperienza acquisita da quel lavoro ti ha aiutata nell’affrontare questa nuova sfida?
I personaggi coinvolti in queste due relazioni sono molto diversi, lo sono anche il tipo di relazione, il contesto e lo stile delle due autrici. Credo però che essere passata dalla traduzione di L’Epouse mi abbia permesso di affinare lo sguardo sulla questione della prospettiva e in generale di essere più consapevole rispetto al mio ruolo di traduttrice. Per fare un esempio, credo che avrei fatto più fatica a “dare la parola” al personaggio maschile di Fucile – dov’era necessario osare di più, sotto certi aspetti – se fossi stata alla mia prima traduzione.

I capitoli di Fusil sono presentati non attraverso dei titoli ma attraverso dei disegni di oggetti quotidiani, che sono associati a determinati ricordi legati alla relazione dei due protagonisti. Hai incontrato delle difficoltà specifiche nel rendere alcuni concetti in italiano? Se sì, quali?
Ricordo di avere avuto qualche dubbio sulla traduzione di «Terrain vague», diventato poi «terreno incolto». Il termine in francese viene spesso ripreso tale e quale – perlomeno nel linguaggio tecnico – anche in italiano. In questo caso però faceva riferimento a un contesto particolare descritto nel capitolo ed era quindi necessario trovare un’espressione più ampia che rimandasse allo stesso ambiente ma funzionasse anche come titolo isolato dal testo all’interno del sommario. (Per stemperare il riferimento all’ambito agricolo – qui si parla esplicitamente di un terreno di un centro abitato – all’interno del testo ho specificato: «terreno incolto fra gli stabili»).
La difficoltà più grande è stata però non tanto la traduzione dei titoli quanto di un capitolo intero (“Dizionario”) in cui vengono citate le definizioni di alcuni termini di argot legati alla sessualità. Odile Cornuz ha ripreso delle definizioni di un dizionario realmente esistente – il Dictionnaire de l’argot moderne, stampato nel 1953 – per il quale naturalmente non esiste un corrispettivo esatto in italiano. Ho dunque dovuto inventare le espressioni e le definizioni, in parte consultando dizionari simili italiani, cercando di riprodurre lo stesso effetto di lettura, sia dal punto di vista semantico – si fa spesso riferimento, per esempio, all’ambito culinario e la bambina consulta il dizionario in cucina –, che ritmico.

Nel romanzo di Cornuz, nomi, persone e luoghi rimangono sempre anonimi e vaghi, forse per enfatizzare l’universalità della storia che vuole raccontare. Come hai interpretato e gestito questa caratteristica?
Sono d’accordo, credo che la scelta di rendere questi personaggi e queste situazioni quasi dei “tipi” risulti dal desiderio di rendere più facile l’immedesimazione con i personaggi. Quasi come a voler mettere le lettrici e i lettori di fronte a un ipotetico specchio. Benché l’ambientazione rimanga vaga, ci sono comunque dei riferimenti a un’epoca e una regione linguistica (delle serie tv per esempio) che rimandano abbastanza chiaramente alla Svizzera francese di fine anni ’80-inizio anni ’90. Alcuni – come la citazione di un verso di una canzone in voga all’epoca – mi è sembrato necessario esplicitarli per i lettori italofoni che altrimenti avrebbero perso il riferimento («…e le dicesse che era una persona formidabile, o semplicemente una brava persona, come nella canzone di Enzo Enzo» // «…lui dise qu’elle était une personne formidable, ou juste quelqu’un de bien, comme dans la chanson»).

È da poco uscito un secondo romanzo di Cornuz, Qui n’est plus. Lo hai già letto? E se sì, ti piacerebbe tradurlo?
Non lo ho ancora letto, ma lo farò presto. Sono molto curiosa di scoprire come Odile abbia affrontato il tema della morte e della rivelazione di sé, soprattutto dal punto di vista linguistico, proprio per il rapporto che l’autrice ha con la lingua, materia per lei viva e duttile.

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