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© La Provincia di Como, 27.11.2021

Cultura

«Tra santità e stregoneria una lezione dal passato»
Carlo Silini completa con il romanzo “Le ammaliatrici” la trilogia ambientata tra Lombardia e Ticino nel Seicento «Protagonista è il Bargniff, truffatore di cui resta traccia nella tradizione, ma il focus è su due donne singolari»
Di Lucia Valcepina

Qual è il confine tra santità e stregoneria e, soprattutto, come sono riusciti gli uomini, con i loro paradigmi, le loro logiche e istituzioni, a definire i tratti del Bene e del Male determinando il corso della Storia? In una zona di confine tra il Ducato di Milano e le valli prealpine, in un’epoca liminare ricca di tensioni qual è stata la fine del Seicento, il romanzo “Le ammaliatrici”, episodio conclusivo della trilogia del giornalista e scrittore ticinese Carlo Silini, pubblicata da Gabriele Capelli, ci trasporta in un mondo popolare fatto di truffe e superstizioni, magia e mistero, alle prese con un’idea del “femminile” destinata a durare nel tempo. Ne parliamo con l’autore.

Protagonista del romanzo è il Bargniff, ladro e truffatore, figura gustosa e vivida che, al pari di altre nel romanzo, fa indignare e sorridere. Come nasce?
Al di là del possibile riferimento storico, quell’Isidoro Strongoli di cui parla il racconto di Giovanni Biffi, l’ho immaginato come un mix tra leggenda e storia, con un’origine nel “Bargniff Bargnaff” dell’indovinello milanese: una creatura che ha qualcosa di diabolico e repellente ma anche la paciosità della narrazione popolare. Eccessivo, furbastro, spaventoso e rassicurante al tempo stesso, che rimesta tra i libri di pseudo-medicina dell’epoca e il librone che si porta dietro: un volume davvero esistente, ritrovato nell’isolata Vallemaggia. Ho pensato che potesse far parte dell’Accademia dei Facchini della Valle di Blenio, combriccola di intellettuali esistita fino alla fine del Cinquecento, dedita alla crapula e alle donne: un mondo goliardico, dotato di una particolare giovialità, che credo rappresenti ancora una certa anima di Milano.

E quel singolare gruppo di artisti ci conduce più in là, nel Seicento del Ducato di Milano e nel territorio ticinese con i baliaggi elvetici. Un contesto sociale arcaico, soprattutto per quanto riguarda la concezione della donna, ma rappresentativo di una mentalità destinata a durare. Cosa permane in noi di quel passato?
Dalle ricerche storiche e dai documenti processuali, si evince come la donna fosse un oggetto particolare di persecuzione, e non solo a causa di una giustizia malata e di un’istituzione violenta, ma di una cultura che la segnava con un marchio, uno stigma di debolezza e fragilità, oltre che di colpevolezza legata all’idea del peccato. Gli stessi testi religiosi e spirituali seicenteschi proponevano la donna come una creatura pericolosa. Una dimensione che è sopravvissuta nel tempo ma della quale abbiamo perso memoria. Le protagoniste del romanzo mostrano questa peculiare visione: c’è una ragazza “pericolante”, come si diceva all’epoca delle figlie di prostitute o presunte streghe, che si porta dietro quel peccato, e una Madonna-strega temuta e venerata.

Un’attrazione fatale che il mondo maschile ha sempre sentito il bisogno di giustificare?
Sì, sono dinamiche che non si risolvono in pochi anni ma in decenni e secoli. Noi proveniamo da una cultura che originariamente non riconosceva alla donna parità morale rispetto all’uomo. Oggi sono subentrati nuovi paradigmi, eppure la piaga del femminicidio non è mai stata viva come ora, il che significa che certi modi di concepire la femminilità e la mascolinità sono rimasti sottotraccia. Io sono fiducioso verso le giovani generazioni anche se l’idea del “possesso” ha radici lontane ed è stata un fondamento della nostra cultura, e un parametro di valutazione sociale.

Il romanzo focalizza anche un’altra tentazione: quella di santificare o, al contrario, demonizzare gli individui, come si evince dalla storia di Maria del Maté e di Maddalena de Buziis. Si tratta dello stesso processo che ci porta a cadere nella superstizione?
La vicenda delle due donne fa capire che passare dalla santità alla perdizione è un attimo. I manuali di santità del Seicento mostrano come l’estasi e il sabba, la santità e la stregoneria, siano di fatto la lettura inversa dello stesso fenomeno: quando l’anima, in certe condizioni, si stacca dal corpo (idea di matrice aristotelica), può entrare in contatto con gli angeli o i santi per poi tornare nel corpo e farsi portavoce di profezie, o, al contrario, raggiungere gli spiriti infernali, i demoni e la nostra malvagità profonda, con ciò che ne consegue. Lo sguardo dell’ammaliatrice può essere variamente interpretato come santità o stregoneria con tutto il corollario di “seguaci” o detrattori che ne deriva.

I personaggi del romanzo si dibattono così tra misticismo e sensualità, una dicotomia che trascende il ‘600…
Il Barocco è spesso disprezzato per gli eccessi e la ridondanza quando, più di altre epoche, ha saputo restituire la tensione estrema tra corpo e spirito, materia e misticismo. Basta entrare in una chiesa del tempo per assistere al trionfo della sensualità, anche se nello stesso periodo si vigilava fortemente sui costumi. La modernità del Barocco è quella di sbatterti in faccia la tensione profonda e vicinissima tra carne e spirito, un’energia potente che mi ha spinto a indagare e a riflettere anche sulla nostra condizione attuale, oggi che il discorso si sposta su scienza e superstizione, su ciò che è misurabile e ciò che non lo è.

Un rapporto con il mistero che non sappiamo più esprimere?
La nostra epoca tende spesso a inquadrare tutto in una visione scientifica oppure a evadere in una dimensione irrazionale, ma la realtà è che dentro siamo divisi. Le figure principali del romanzo hanno una componente intuitiva molto potente. Il Fe’, il personaggio più spirituale, sa intuire i pensieri degli altri e dialogare con i morti, ma non dice di essere un mago, bensì «uno che osserva». L’intuizione fa parte del nostro armamentario razionale: quando ci mettiamo in contatto intimo con gli altri ne cogliamo aspetti inespressi. La capacità di leggere l’inespresso è oggi scartata dalla nostra società e questa negazione si esplicita nel romanzo quando il Vaticano fa un salto verso la razionalità cercando di cancellare sia le sante sia le streghe. Non potendo più riconoscersi in una lettura mistica e intuitiva, passa a razionalizzare tutto. Ma nei tre romanzi resta sempre aperto un mistero perché l’inspiegabile esiste e fa parte della vita.


La scheda

Il condannato racconta la storia di due creature

Nato a Mendrisio, Carlo Silini è caporedattore al Corriere del Ticino. Ha vinto lo Swiss Press Award, il più importante premio svizzero di giornalismo, nel 2015 per la categoria carta stampata e nel 2017 per la categoria local.

“Il ladro di ragazze”, sua prima prova narrativa, è stato per mesi ai primi posti delle classifiche della Svizzera italiana, così come il sequel del 2019 “Latte e sangue”. “Le ammaliatrici” completa oggi la trilogia: un condannato a morte di nome Bargniff si siede sul ceppo dove dovrà appoggiare il capo per ricevere il colpo ferale del boia e racconta le incredibili vicende di Maria del Maté, la giovane musa ispiratrice dei carnevali di Milano e di Maddalena de Buziis, la Madonna-strega dei baliaggi svizzeri.

Carlo Silini, “Le ammaliatrici”, Gabriele Capelli Editore, 416 pagine, 21 euro.

Link: laprovinciadicomo


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