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Tommy Cappellini
Rigor mortis per Lupe

[…]
Il cielo era di un azzurro uniforme, l’aria fresca come in montagna, gli angoli degli edifici netti e solidi, ma la luce… la luce del sole che spolverava d’oro vecchio i rami dei sempreverdi modellati da mio padre e da Joel e che si liquefaceva sull’ardesia della fontana: una luce con un che di desolato. Era dunque giunto l’autunno…
Udii trambusto. Sbattere di porte, rumore di passi, poi un continuo abbaiare stridulo che pur da lontano riusciva a ferirmi i timpani.
Quella che a prima impressione mi sembrò una coppia di conigli color ruggine saettò verso di me.
Pochi istanti e furono ai miei piedi.
Due chihuahua – gli occhi sporgenti eccitati da una temerarietà tutta esteriore – mi abbaiavano contro senza mai riprendere fiato, muovendosi in cerchi che si intersecavano di continuo, scagliando sassi rosa attraverso le sbarre sulle mie scarpe col loro zampettio: talmente veloce che sembrava galleggiassero nell’aria.
«Chip! Chop! Santa pazienza!»
Una voce maschile.
Alzai lo sguardo.
Il domestico della pubblicità del dentifricio Ipana si stava precipitando al cancello. Temetti per il suo equilibrio.
I cani smisero di abbaiare, non di tracciare cerchi nella ghiaia. Non ne avevo mai visti di più agitati. Sembravano caricati a molla.
Quando ebbi davanti l’uomo, mi colpì quel sorriso di un bianco davvero bianco, perfetto in modo quasi irreale. Mi ripresi subito, stupendomi di me stesso, e dissi senza seguire un piano preciso:
«Buongiorno. Miss Vélez è in casa?»
Mi guardò ammutolito dalla mancanza di esitazione nella mia voce, ma si ricordò ben presto di essere il guardiano dell’intimità della celebre attrice.
«Non riceve oggi».
«Se non oggi quando?»
«Quando è il suo turno».
Mi si fece d’un tratto il vuoto dentro, come se tutte le forze mi abbandonassero.
La rivedrò mai?
Avvertii per la prima volta quanto la situazione fosse assurda, e quanto il mio mondo e quello di Lupe fossero distanti.
Il domestico si chinò per raccogliere – uno per mano – i cagnolini, che nel frattempo erano diventati docili, e se li strinse al petto.
«Per fortuna non sono usciti in strada attraverso le sbarre» commentò.
Credo che mi leggesse sul viso una delusione dalla bocca alle guance, poiché aggiunse, quasi a voler regalare una speranza:
«Non è la prima volta che Chip e Chop accorrono al cancello dopo aver avvertito una presenza estranea. Un paio di settimane orsono fu Miss Vélez a uscire di persona per recuperarli. I giornalisti in agguato si ammassarono al cancello».
«Un paio di settimane fa…» ripetei senza crederci. «Non posso mica venir qua tutti i giorni nella speranza di vederla».
Non sapendo cosa replicarmi, fece un sorriso ancora più ampio e lo mantenne sul volto – forse per farmi coraggio. Chissà quanti ne aveva visti di innamorati come me! Poi mi augurò una buona giornata.
«Anche a lei» balbettai, dimenticando di chiedere cosa volesse dire con «il suo turno».
Rimasi per un po’ a guardare la ghiaia rosa, fino a quando la voce di Otto non mi scosse:
«Ehi, sognatore!»
«Rientriamo. Guido io. Non preoccuparti, non ci saranno incidenti».
«Ti è andata male, eh?»
«Però ho visto i suoi cani».
«Belli?»
Trattenendo le lacrime – la rivedrò mai? – cercai la voce più ferma che avevo:
«Due magnifici dalmata».
[…]

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