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Premio Schiller 2011

Pedro Lenz
In porta c’ero io!

Traduzione di Simona Sala

21×15 cm,
ca 144 pp.,

978-88-87469-91-2

Euro 15,00
CHF 20,00

Link: Breve estratto


Gol è un ex tossico che ritorna alla vita sociale dopo un periodo di detenzione.
Più che mai intenzionato a dare una svolta alla propria vita, si trova un appartamento e un lavoretto temporaneo. Gli amici che gli ruotano intorno però sono quelli di sempre; in un modo o nell’altro ancora impigliati nel giro.
A permettere a Gol di sperare (perché egli è un buono, senza rancore e a tratti anche un po’ sprovveduto) è il sogno di ricostruirsi una vita al fianco della cameriera Regula, verso cui sviluppa un sentimento forte ma discreto, forse puerile, ma onesto.
Gol sa di aver scontato la pena al posto di qualcun altro, per avere deciso di tacere evitando di rivelare il nome dei responsabili di un grosso giro. Non è molto in chiaro però su come le cose siano andate effettivamente (come il tradimento da parte di quelli che credeva essere amici di lunga data).
Il modo in cui è stato gabbato e la fine della sua relazione, improbabile sin dalle prime battute, non gli permetteranno di cambiare vita, rigettandolo nel solito vecchio giro, con l’autostima ancora un gradino più in basso e una tristezza permeate di tenerezza.
Romanzo scritto con ironia e con un linguaggio “immediato”. Divertente e nel contempo serio e profondo.


Pedro Lenz si è diplomato nel 1984 come muratore. In seguito ha conseguito la maturità nel 1995. Ha studiato per un semestre Letteratura Spagnola presso l’Università di Berna. Dal 2001 lavora a tempo pieno come scrittore.
Lenz scrive su diversi giornali e riviste, attualmente per la NZZ e la WOZ. Ha scritto articoli per vari gruppi di teatro e per la Radio Svizzera. Pedro Lenz vive a Olten.

Premi
* Premio letterario svizzero, 1994
* Borsa di studio letteraria della città di Berna a Glasgow, 2005
* Premio alla cultura „Goldener Biberfladen Appenzell“, 2005
* Premio alla cultura della città di Langenthal, 2005
* Premio letterario del Canton Berna, 2008
* Premio letterario del Canton Berna per “Der Goalie bin ig” (In porta c’ero io), 2010
* Premio alla cultura dell’Ufficio Federale della Cultura, 2010
* Selezione al Premio svizzero del libro per “Der Goalie bin ig” (In porta c’ero io), 2010
* Premio Schiller per la letteratura per “Der Goalie bin ig” (In porta c’ero io), 2011


Guarda Pedro Lenz a Cult TV


Intervista all’autore
Tratto dal settimanale Azione del 23.05.2011
Le storie dello svizzero Pedro
Chronicles from the chocolate country
Incontro con lo scrittore Pedro Lenz, autore di culto oltre Gottardo e moderno narratore di storie di tutti i giorni.
di Simona Sala

Nella Svizzera tedesca è il caso letterario degli ultimi anni. Senza dubbio. Eppure. Eppure: la sua vita è costellata dalle concessive, da momenti in cui sarebbe potuta andare diversamente. Per la seconda puntata della serie «Chronicles from the chocolate country», che ha preso il via lo scorso 26 aprile con il reportage sull’insediamento di Grienen, siamo andati a incontrare un autore che, per il suo porsi alla vita e alla scrittura, rientra ben poco nei canoni elvetici, per non dire accademico-letterati. Pedro Lenz infatti, ingombrante sin dal suo apparire, con quella sua statura fuor di norma, la risata profonda e quasi gutturale, un accenno di timidezza, non ha per nulla l’aria un poco assorta e contemplativa di chi ha fatto delle parole un mestiere. È un uomo che ha scelto la via del cantiere, nel vero senso della parola, e tra operai stranieri e impalcature e mattoni si è fatto le ossa, anche quelle narrative. È un uomo che sa soprattutto ascoltare, maniaco delle storie piccole, che racconta incessantemente, correndo da un reading all’altro e incontrando il favore di un pubblico in crescita pressoché esponenziale, in Berndeustch .

Dopo aver mosso i primi passi nel rigore formale della scrittura nel cosiddetto «tedesco alto» (hochdeutsch), Lenz è passato a quella che è l’altra metà della prima lingua ufficiale oltre Gottardo: lo svizzero tedesco. Così facendo ha creato un ponte, diretto ma non per questo meno poetico, perfino fra chi la letteratura non la frequenta ma ama farsi raccontare le storie. Il grande pubblico (fatto di lavoratori, operai, come ci tiene a ribadire Lenz) è stato il suo primo estimatore, in seguito si sono accodati i colleghi e i critici. Ora Lenz non solo scrive, legge e trascorre parte del suo tempo nello storico ristorante Flügelrad situato dietro alla stazione di Olten (acquistato da poco insieme al romanziere e storico Alex Capus e al giornalista Werner De Schepper), ma è diventato anche un rispettabile opinionista, tirato in ballo ogni volta in cui si devono prendere decisioni politiche riguardo all’eterna e non risolvibile questione dello svizzero tedesco: è una lingua oppure un dialetto? È tollerabile nelle scuole dell’infanzia, negli asili, nelle istituzioni in genere, oppure no? Ma Lenz li spiazza tutti, poiché caratteristica del suo modo di essere e di pensare, è quella Gelassenheit lontana dalla frenesia e dal desiderio di essere assertivo, distante anni luce dalla consapevolezza di essere in possesso della chiave di lettura della società. Lo abbiamo incontrato proprio al ristorante Flügelrad, situato nel crocevia per eccellenza della nazione, nell’ombelico di ogni coincidenza ferroviaria elvetica che si rispetti. Inutile dirlo, ma va detto, la conversazione è interrotta a più riprese da persone che gli stringono la mano, che si sono magari sobbarcate lunghi viaggi attraverso la Svizzera per vedere in carne ed ossa colui che è senza dubbio il re degli affabulatori della scena letteraria contemporanea, che è reduce dal premio Schiller con Der Goalie bin ig , storia di un tossicodipendente rigorosamente scritta in Berndeutsch, che in pochi mesi ha venduto qualcosa come 10’000 copie.

Pedro Lenz, lei è celebre anche per la sua biografia: non ha seguito i canoni classici che solitamente portano alla creazione narrativa…
Sono nato da una famiglia benestante, mia madre era casalinga, mio padre direttore della ditta di porcellane Langenthal. Una casa borghese, in cui la mia strada sembrava abbastanza delineata. Poi però, dopo avere iniziato il liceo, pur senza intenti ribelli, mi sono reso conto che quella non era la mia strada. I miei genitori furono molto comprensivi e mi permisero di cambiare percorso formativo, optai quindi per un apprendistato come muratore. A quel punto mi si aprì un nuovo mondo, fatto di adulti, di cui pochi svizzeri, i quali mi raccontavano cose che non avevo mai sentito prima di allora. Fui confrontato con il precariato economico e con un mondo di cui non immaginavo l’esistenza; gente che aveva lavorato in diverse parti del mondo e altri che erano stati in prigione. È stato in quel momento che ho cominciato a scrivere e a interessarmi alla letteratura. Gli operai dei cantieri mi portavano libri di Hemingway e Steinbeck, permettendomi di capire che la letteratura ha a che fare con la vita. E più che il lavoro di muratore – in cui non ero particolarmente forte – ad interessarmi erano i colleghi. Dopo sette anni sui cantieri ho iniziato a collaborare con i giovani, nelle colonie. Ho quindi deciso di riprendere i miei studi, recuperando la maturità. Nel 1990 sono andato a Basilea, e sono entrato a fare parte del gruppo letterario Werkstatt Arbeiterkultur, un relitto del 1968, in cui aveva luogo un fervido scambio di testi che mi ha stimolato ed esortato ad andare avanti. Da allora scrivo regolarmente. La mia vita è proseguita con tutta una serie di lavori occasionali, iniziai anche a frequentare l’università (letteratura spagnola e germanistica) a Berna. Ben presto però mi resi conto che non ce la facevo a lavorare, studiare e scrivere allo stesso tempo. Nel 2001 uscì la raccolta di poesie Die Welt ist ein Taschentuch , a quel punto presi la decisione di vivere solamente grazie alla scrittura.

Come è nato l’interesse per la scrittura in dialetto?
Ho conosciuto Beat Sterchi e Guy Krneta, autori teatrali che scrivevano entrambi in dialetto, e mi sono reso conto del valore del dialetto: dal momento che non è definito come il tedesco, non necessita della stessa cura, lo si può affrontare in modo libero ed è più facile giocarci. All’inizio io in qualche modo disprezzavo lo svizzero tedesco come lingua letteraria, poiché lo legavo alla sfera del ricordo, all’idealizzazione di una Svizzera che in realtà non era mai esistita. Pur praticandolo con costanza, il dialetto comunque non mi appartiene completamente: da ragazzi infatti in casa, grazie a mia madre che era spagnola, parlavamo lo spagnolo.

In che modo procede quando scrive i suoi testi?
Scrivo dapprima una bozza in silenzio, poi leggo a voce alta quanto ho scritto, poiché in mente ho sempre una melodia. Le grande varietà di parole utilizzabili mi permette delle continue varianti e delle ripetizioni. Paragonerei la mia scrittura alla pittura dello svizzero Franz Gertsch: egli crea un’opera del tutto artificiale che però deve dare un’impressione di assoluta naturalezza. Nel caso dei miei racconti la gente ha l’impressione che io mi sia limitato a registrare dei dialoghi, ma in realtà si tratta di un artificio letterario complesso, in cui ogni passaggio è elaborato e studiato nei minimi dettagli.

Com’è la reazione da parte del pubblico dei suoi reading quando si esprime in dialetto?
È curioso, ma quando parlo in dialetto durante una lettura la gente si sporge in avanti. Dobbiamo tenere presente il fatto che nella Svizzera tedesca il tedesco rappresenta è solamente una mezza lingua materna, l’altra metà, soprattutto nell’ascolto, è rappresentata dal dialetto. Esiste infatti una lingua per le cose di tutti i giorni, legate al quotidiano, e ce n’è un’altra lingua per l’arte. La cosa si fa interessante quando si mescolano gli ambiti. Quello che interessa e affascina molto me è il mantenimento del côté letterario nonostante l’utilizzo di una lingua come lo svizzero tedesco che per sua natura non lo contempla.

Cosa deve avere una storia affinché ai suoi occhi sia interessante?
Trovo che vi siano cose interessanti ovunque, ma occorre sondare soprattutto laddove ci sono delle rotture. Pensiamo ai necrologi: si tratta di un ambito in cui si dicono solamente le cose buone delle persone scomparse, e non sono mai particolarmente interessanti. Il mio rispetto e la mia curiosità vanno invece a coloro che riescono ad integrare anche i fallimenti nella propria vita. In questo penso di rifarmi a grandi personaggi comici come Charlie Chaplin o Buster Keaton: in loro vi è sempre un momento in cui tragico e comico arrivano a sfiorarsi. Si tratta di momenti comici in cui si intravvede la tragedia, ma nel momento stesso in cui si ride, il cuore si apre e le cose riescono ad arrivare più in profondità.

Il ristorante che lei ha da pochi mesi ritirato assieme a un altro scrittore, Alex Capus, e al giornalista Werner de Schepper e sopra al quale lei abita, rappresenta una fonte d’ispirazione?
Certo, perché la gente si racconta sempre qualcosa, e questo è per me un punto di partenza importante. La stessa cosa mi accade per esempio quando sento per caso delle conversazioni telefoniche, magari sul treno; un tempo ci si vergognava a parlare in pubblico, ora non più, e il fatto di ascoltarne di continuo e di sentire solo il cinquanta per cento di una conversazione mi permette poi di completarla attraverso la mia immaginazione. Non ho mai problemi a trovare delle idee, quanto piuttosto a elaborarne il valore letterario.

Si è sentito preso sul serio da subito in ambito letterario? Non è stato difficile entrare a fare parte di una cerchia spesso autoreferenziale come quella degli scrittori?
Ho pensato a lungo di non venir preso davvero sul serio. Le recensioni dei primi libri finivano per lo più nelle pagine regionali, ma ora le cose per fortuna sono cambiate. Sono stato dapprima accettato dai lettori. L’accettazione dei colleghi è arrivata solo in un secondo momento e la critica è arrivata alla fine. Credo che la colpa di tutto questo ce l’abbia in qualche modo Goethe, secondo il quale la scrittura letteraria ha a che fare con lo spirito del cielo. Nella lingua tedesca la scrittura è suddivisa in alta scrittura e banale giornalismo. Questa è una cosa che ad esempio non vale per la letteratura spagnola.

E a lei personalmente cosa piace leggere?
Mi sento molto legato agli americani, agli scozzesi e ai sudamericani. Un tempo desideravo essere diverso dagli svizzeri, ma ora ho accettato il fatto di essere un cittadino svizzero. Come scrittore mi sento molto legato a chi lascia parlare la gente. Amo il mio pubblico, costituito anche da persone che non leggono, ma che adorano ascoltare delle storie.

Nei suoi libri lei si rifà spesso a personaggi reali… quali sono le reazioni da parte di chi arriva a riconoscersi?
A volte le persone mi chiamano, dicendomi che ho sbagliato, indicandomi dei dettagli in cui le cose sono andate in modo leggermente diverso rispetto a come io le ho descritte. Un junkie di Langenthal ad esempio reclamava un ruolo maggiore all’interno di un libro, una cosa commovente. Ho cercato di spiegargli che non era una narrazione biografica, ma un’elaborazione letteraria.


Publbicato con il contributo della fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia, Fondazione UBS per la cultura, Fondazione Oertli.


RECENSIONI

Booksblog.it

In porta c’ero io! di Pedro Lenz
pubblicato: mercoledì 05 ottobre 2011 da sara

“…A Schummertal. Novembre. E il mio cuore era pesante come uno straccio per i pavimenti vecchio e fradicio. (…) Decido dunque di andare al Maison, a prendermi un caffè Fertig. …E’ andata proprio così: in tasca niente, oltre a un paio di sigarette e un po’ di moneta…Ero però in attesa di qualcuno che mi doveva. Ma prova a raccontarlo, appena fuori di galera, prova a dirlo a qualcuno, che a dire il vero ti spetterebbero un sacco di soldi”
Un Charles Bukowski svizzero, il protagonista di questo In porta c’ero io! , di Pedro Lenz, che dà voce a Gol, ex tossicodipendente appena uscito di galera che ti conquista dalla prima all’ultima pagina, con la sua scrittura “parlata”. Il libro, che ha vinto il premio Schiller 2011, è stranamente poetico, come – lo insegnava lo stesso Buk – può essere la vita in certi bassifondi di solitudine, ansia di vita e senso di vuoto, perchè i cuori migliori stanno lontani dalle cravatte.
Perchè Gol appena uscito di prigione si innamora, gli riesce facile, anche se non è mica come Budi, il fidanzato di Regula “mi congratulo Budi: tu hai tutto sotto controllo, controlli la tua macchina, controlli la tua fidanzata, controlli la tua pettinatura, controlli la tua pressione del sangue, sei il capo, Budi, al centopercento, sei il campione, Budi, lei è tua, hai in pugno la situazione, hai in pugno lei, bravo, bravo, bravo Budi, bambino di mamma ho pensato, e ho sputato per terra”.
Ecco, pensate un tipo così perso nella Svizzera rurale, a combattere col vecchio giro per dimostrare di essere pulito, a cercare di tirare fuori dal buco della sua vita l’amico d’infanzia Ueli, commosso da chi vuole tendergli una mano, perchè in fondo per essere brave persone basta essere uno di quei tipi come il padre di Ueli, che gli dà una nuova chance perchè è “uno della vecchia guardia, cioè uno che crede ancora al bene e al male, che in fin dei conti è esattamente la stessa cosa”.

Non so voi, ma io amo questo tipo di scrittura “arrabbiata”, molto musicale secondo me. Per il resto, cosa dirvi? Che Gol è un mito, e che lo scoprirete ancora meglio quando leggerete il significato della frase del titolo.


LaRegione Ticino, venerdì 14.10.2011

Il gol di Pedro Lenz
Il Premio Schiller 2011 oggi alla Mostra del libro di Mendrisio

Sicuramente sono stati in diversi a storcere il naso alla notizia dell’assegnazione del Premio Schiller 2011 a un’opera scritta in svizzero tedesco. Pedro Lenz infatti ha adottato per la stesura del suo primo romanzo quella che da molti è ancora considerata una lingua solo a metà, se non ‘semplicemente’ un dialetto.

Eppure Der Goalie bin ig, scelta linguistica a parte, ha tutte le carte in regola per esse-re un romanzo come un altro, come dimostra la traduzione in italiano del libro, da alcune settimane in commercio con il titolo In porta c’ero io! (Gabriele Capelli Editore, Mendrisio).

Protagonista del romanzo di Lenz – che nella Svizzera tedesca gode dello status di celebrità, anche grazie a un aspetto fisico che non passa proprio inosservato – è Gol, un ex tossicodipendente che ritorna al proprio paese dell’hinterland bernese dopo avere scontato una pena di un anno nel carcere di Witzwil.
Siamo negli anni Ottanta, quelli che videro la piaga del-l’eroina abbattersi anche nei luoghi più discosti della Svizzera, e che dai televisori proiettarono lo scandalo del mercato a cielo aperto zurighese (sono i tempi di Platzspitz, poi Letten) nei salotti di mezzo mondo.
Il rientro di Gol nella quotidianità lasciata un anno prima è tutt’altro che facile, nessuno sembra avere sentito davvero la mancanza di Gol, così come nessuno sembra volersi chinare sui motivi che lo hanno portato in carcere.
Gol cerca di ricostruirsi una vita, innamorandosi della cameriera Regula, convincendo l’amico Ueli a disintossicarsi e infine trovandosi un lavoretto temporaneo in una tipografia. Ma la strada è in salita, il desiderio di farsi ancora una volta sempre dietro l’angolo, gli amici mai sinceri fino in fondo.
Nonostante un plot che potrebbe sembrare grigio, il libro è vivo e scattante, pieno di riflessioni in bilico fra il geniale e il paranoico, divertente e molto, molto umano.
La storia di Gol infatti, è quella di quei piccoli protagonisti destinati all’oblio, se non all’emarginazione, se non ci fosse uno come Lenz a raccontarne la vita. La vita dei semplici, d’altronde, è sempre stata un motivo di grande interesse per l’autore bernese con origini spagnole, sin dal giorno in cui abbandonò il liceo per diventare muratore, e di quel mestiere – sui cantieri in mezzo a operai stranieri – erano proprio le storie dei suoi protagonisti ad affascinarlo.
In occasione delle giornate dedicate all’editoria di casa nostra organizzate dalla Sesi (Società degli editori della Svizzera italiana), Pedro Lenz incontrerà il pubblico questa sera alle 20.30 al Mercato Coperto di Mendrisio.
L’incontro, condotto da Simona Sala che del romanzo è la traduttrice, si svolgerà in italiano, lingua imparata da Lenz nel corso degli anni trascorsi sui cantieri.
L’autore, che si è spesso chinato anche su temi legati alla Svizzera, al multiculturalismo e al pluralismo linguistico, saprà sicuramente conquistare e affascinare anche un pubblico nuovo come quello ticinese, grazie a una verve insolita e a un sense of humour decisamente fuori dai classici canoni letterari.

RED


Corriere del Ticino, 17.10.2011

Da muratore a scrittore di successo
Tradotto in italiano il primo romanzo del vincitore del Premio Schiller 2011

È tornata a Mendrisio, da giovedì a ieri, la Mostra del Libro della Svizzera italiana, manifestazione che, malgrado sia giunta quest’anno alla sua quinta edizione, è passata finora abbastanza in sordina per ragioni che non sono certo da ricercare nella quantità dell’offerta di tutto rispetto, in relazione all’area di riferimento. Quest’anno erano presenti oltre 800 titoli e quasi 10.000 libri di editori ticinesi, una produzione dunque notevole che non ha sempre però la visibilità che si auspica. Senza entrare nel merito di un’analisi che lasciamo agli esperti, una delle ragioni dell’ancora debole visibilità della manifestazione è da imputare, innanzi tutto, alla marginalità della nostra produzione rispetto all’invasiva presenza e promozione dell’editoria italiana e, non da ultimo, al fatto che a questa Mostra del Libro manca una continuità logistica e temporale. Si tiene infatti ogni due anni e a rotazione nelle quattro aree regionali del nostro Cantone: scelta comprensibile, ma parcellizzatrice. Comunque il successo dell’edizione 2011 ha confermato che sul territorio c’è spazio per iniziative culturali che pongono il pubblico a contatto con gli autori, soprattutto, come quest’anno, quando si tratta di vere sorprese.

È stato il caso di Pedro Lenz che ha conversato venerdì sera con la sua traduttrice, la giornalista Simona Sala, presentando il libro In porta c’ero io!, appena uscito da Capelli. Un libro che, dopo le prime perplessità da parte dei critici, ha poi però vinto il Premio Schiller 2011, ha venduto, soprattutto grazie al passaparola, 16 mila copie ed è ora alla quarta ristampa. Un nuovo racconto inedito di Pedro Lenz è appena uscito in italiano nella raccolta dal titolo Questi Svizzeri, Edizione Leggere.

Primo romanzo di un autore che ha fatto per sette anni il muratore, pubblica racconti, poesie, e scrive sui principali quotidiani della Svizzera tedesca, In porta c’ero io! narra la storia metà amara e metà divertente di un giovane ex tossico che vive in una cittadina di provincia nei pressi di Berna negli anni Ottanta.
Ma la particolarità del romanzo non sta tanto nell’intreccio, quanto nella voce narrante: quella del protagonista che parla e pensa per tutto il libro in dialetto bernese. Siamo dunque di fronte a una piccola rivoluzione nel campo della letteratura scritta: l’irruzione del parlato sulla carta. Fenomeno nuovo – per quanto ne sappiamo – nella letteratura tedesca e nell’estensione del suo impiego dalla prima all’ultima pagina.

Tuttavia, come capisce chiunque leggendolo, non si tratta di una trascrizione nuda e cruda di un parlato da bar o da strada, ma di una costruzione letteraria elaborata e fittizia. Ne chiediamo ragione all’autore.
Perché la scelta dello svizzerotedesco?
«Circa dieci, quindici anni fa abbiamo dato vita con un gruppo di amici a un movimento di letteratura scritta da leggere ad alta voce che portava il nome ironico di Berna ist überall, Berna è dappertutto, e andavamo in giro nei ristoranti o nei club di musica a tenere delle letture accompagnate dalla musica. Attualmente sono dieci gli scrittori e tre i musicisti che tengono serate letterarie anche nella Svizzera francese. Di questo libro abbiamo presentato finora duecento letture nella Svizzera tedesca, a volte anche sei in una settimana, e adesso abbiamo organizzato un tour che tocca altre regioni. Io ho cominciato a scrivere in Hochdeutsch, ma andando in giro con le letture pubbliche, ho capito che con lo Schwitzerdütsch raggiungevo davvero la gente».
E come è arrivato alla voce narrante e al personaggio di Gol?
«Ho lavorato sette anni come muratore. Quando ho cominciato da apprendista, a sedici anni, mi sono scontrato con un mondo completamente diverso dall’ambito della scuola e della famiglia borghese da cui provengo: c’era gente che beveva, che aveva lavorato in posti diversi e lontani, che era stata in prigione. Quando tornavo a casa, prendevo appunti, perché gli stimoli erano troppi per essere soltanto osservati. Ma mi sarei dimenticato di quel mondo, se un amico, ritrovato recentemente non mi avesse fatto tornare indietro a quegli anni in cui, girovagando per strada e nei bar, incontravamo le persone, soprattutto i drogati che allora nelle città vivevano a contatto con tutti gli altri. Mi ha sempre colpito il modo che avevano di inventare frottole per procurarsi del denaro e anche il loro linguaggio colorato. Ma mi colpiva anche il linguaggio del mio amico che parlava di quelle cose e suonava come a quei tempi. Così ho trovato la voce per Gol: era esattamente come la sua, ma lui non se ne è accorto!».
MARIELLA DELFANTI

Lo strepitoso monologo interiore di Gol

Gol è uno strano nome. È un soprannome affibbiato dagli amici al protagonista del libro di Pedro Lenz. Gol è anche uno strano personaggio, ma appena sentiamo la sua voce – che continua in prima persona per tutte le 150 pagine del romanzo – ci piace perché è vera.
Gol è un povero Cristo: logorroico, sbarellato, combinaguai, bastonato dalla vita, anche perché non abbastanza furbo, né costante, né corazzato per resisterle. O forse, semplicemente non abbastanza cinico per aggirare i colpi, o restituirli quando il gioco si fa duro e la giungla là fuori tesse le sue trappole.
Gol è uno dei 999 che non ce la fanno, che ci hanno provato, a condurre una vita normale, ma non ha abbastanza talento, determinazione, forza d’animo per guardare avanti. Ci piace da subito, quando incomincia quel suo scombinato monologo dentro a cui confluisce di tutto: pensieri, conversazioni, descrizioni, racconti. È un monologo-dialogo che non smette mai, una specie di reality su ciò che succede nella sua mente e al di fuori di essa: aspirazioni, errori, idiosincrasie, leggerezze. Ci piace nel suo mettere a nudo la sua identità senza abbellirla né giudicarla, perché sentiamo che è uno di noi, anche se è un ex tossico in procinto di ricaderci, un ex carcerato per una colpa che dicono abbia commesso (anche se non è vero), un alcolista dalla volontà debole, uno che chiacchiera quando farebbe meglio a stare zitto, un romantico che ha sbagliato secolo, paranoico, poco affidabile, pur se animato dalle migliori intenzioni.
Gol ci piace perché ha mantenuto – per quanto paradossale possa sembrare – l’animo puro.
È una voce narrante strepitosa (ottimamente tradotta in italiano), questa di Lenz, che scrive in svizzero tedesco, direttamente dal parlato, in un monologo interiore che dribbla tra discorso diretto e indiretto, tra pensato e parlato eppure traccia un ritratto coerente e commovente di un personaggio e del suo approccio lucidissimo e personale alla vita.

M.DEL.


Giornale del Popolo, 29.11.2011

IL LIBRO Appena uscito da Capelli, ha una voce narrante straordinaria
Lo scombinato universo di Gol, la speranza di “In porta c’ero io!”
di ANTONELLA RAINOLDI

Un romanzo fresco e al contempo bulimico e sovrabbondante, un linguaggio immediato, uno stile icastico, un pozzo di “ragione” e sentimento.
Si potrebbe definire così il libro vincitore del Premio Schiller 2011 In porta c’ero io! (Gabriele Capelli Editore), di Pedro Lenz, tradotto con buon piglio dal dialetto bernese in italiano da Simona Sala, brillante giornalista e responsabile del settore cultura di Azione.

Il libro parte da lontano, da quando Gol, un ex tossicodipendente di Schummertal appena uscito di galera, sceglie di comportarsi come uno che non ha più niente da perdere. Anzi, mettiamola così: non è uscito (di galera) respinto e la sua vita vale ancora la pena di essere vissuta. Poi vedremo come. Per intanto, diamo spazio a Simona Sala che nella prefazione scrive:
«Ci vuole qualche “pagina di pazienza” prima di entrare nella struttura mentale dell’io narrante, il quale saltella senza posa dal discorso diretto a quello indiretto, senza preavviso, ma solo lanciato all’inseguimento dei propri pensieri, spesso circolari, tipici della persona per un certo verso leggermente paranoica».
Ecco, Gol pensa e parla, parla e pensa, e la logorrea gli fa un baffo. Esplicita il suo scombinato universo interiore come sa fare solo chi è vasto e contiene moltitudini, chi immagina di aver bisogno di credere a una verità per sostenerla, ma anche no. A volte racconta storielle ma farebbe meglio a stare zitto. Gol è uno così: vorrebbe rifarsi una vita ma è una persona d’animo buono e poco scaltra. E là fuori ci sono i lupi pronti a sbranarlo. Si sforza di trovare un impiego occasionale e lo trova (grazie soprattutto all’aiuto del padre di un suo vecchio “amico”), s’innamora di una cameriera già fidanzata con cui si concede appena una vacanza in Spagna, cerca di trasmettere agli “amici” e ai conoscenti i valori che li renderanno più uomini, ma invano. E anzi, a un certo punto una dolorosa verità lo costringerà a ridefinire il concetto stesso di amicizia.
L’aspetto più curioso di In porta c’ero io! è che il passato del protagonista rimane fino all’ultima pagina sullo sfondo, come un’ombra pesante e al contempo leggera. Gol nel vizio della “roba” forse ci ricadrà, ma intanto decide di offrirsi una speranza:
«Tutto sommato non ho niente di cui lamentarmi. Cioè, in realtà avrei molte cose di cui lamentarmi, soprattutto se penso al futuro. Ma cosa ci possiamo fare? In fondo per qualcosa ce l’abbiamo, un passato. Anche se non è del tutto bello come vorrei, ma almeno posso raccontarlo come più mi va. E chissà, magari prima o poi mi arriva di nuovo un buon pallone».


Literary.it, nr 11/2011

In Porta c’ero io! di Pedro Lenz

Il romanzo ha ricevuto – e, pensiamo, a ragione – il Premio Schiller 2011.
Perché, sebbene riferita a una ‘narrativa orale’, questa scrittura, agile, e realmente definita in senso linguistico, è a pieno diritto da includere in una tipologia moderna e funzionale.
Per esempio, l’eliminazione dei segni di interpunzione per segnalare il discorso diretto, per cui occorre una consumata pratica che l’autore dimostra di avere.
Peraltro suscita simpatia la figura di Gol, (ex) tossicodipendente, in cui però è presente un delicato sentimento d’amore (p. 83).
La sua storia, costellata di eventi non sempre positivi (cfr. cap. 9), apre alla fine uno spiraglio di speranza.

Luciano Nanni


http://www.lankelot.eu

Pedro Lenz
In porta c’ero io!
Recensione di Andrea Consonni, aprile 2012

“Regula non è l’unica che lo sa. È vero, ho fatto un piccolo periodo a Witzwil, pensione completa. Eh già, storie di tossici. Non sono certo il primo. Una cosetta da poco. Un momento di bassa pressione. Una cosa andata male. Niente di più. Non ci sono scuse. Ho fatto delle cazzate. Ce n’erano un paio che sapevano qualcosa di troppo e fra questi qualcuno che non è stato zitto. Mi hanno beccato e mi hanno messo dentro. Ho scontato il mio periodo. Mi sono preso tutte le colpe. Non ho fatto un solo nome, che, a guardar bene, non è proprio una cosa da niente. Ora è passata. Scusate. Non c’è nulla da aggiungere riguardo a questa storia, o almeno, non in questo momento. Al massimo potrei forse dire di aver sempre fatto le cose in modo pulito. Cioè, mi sono sempre procurato da solo quello che avevo bisogno, fuori. Non sono mai stato coinvolto in grosse storie di traffici. Non ho mai voluto avere a che fare con quello strano ambiente di pusher da noi a Shummertal, dove tutti si conoscono e nessuno è felice per il prossimo, se non quando ci si becca l’influenza o un eritema. E così ho tirato avanti, arrangiandomi, a parte una volta, quando mi hanno beccato. Ora sto cercando di rialzarmi, di rimettermi di nuovo in piedi.” (pag. 15)
L’interesse per l’autore svizzero Pedro Lenz, con un passato lavorativo come muratore, e il suo romanzo “In porta c’ero io!” pubblicato in italiano da Gabriele Capelli Editore, casa editrice ticinese con sede a Mendrisio, e premio Schiller 2011 scaturisce dalla visione direi quasi casuale di due trasmissioni della Radio e Televisione della Svizzera Italiana, la puntata del 26 novembre 2011 di Festa Mobile programma condotto da Michele Fazioli e la puntata dello scorso 18 marzo di “Storie” condotto da Maurizio Canetta dove l’autore era presente.
Di lui mi avevano particolarmente colpito la composta semplicità, il suo interesse per le storie minime e la sua attenzione spasmodica per le sfumature della lingua parlata, sfumature difficili poi da trasmettere su una pagina scritta. Una lingua, quella dell’autore, che è il dialetto bernese e che in realtà è un vero e proprio mezzo idioma più che un dialetto e per questo motivo, prima di leggere “In porta c’ero io!”, mi chiedevo come questa lingua potesse poi essere tradotta in italiano senza perdere in efficacia e come nel caso di “Sez Ner” di Arno Camenisch, tradotto da Roberta Gado Wiener, il risultato è eccellente.
Prima di addentrarsi nel libro mi preme riportare le parole della traduttrice Simona Sala contenute nella prefazione che forniscono alcune spiegazioni per comprendere meglio questo romanzo:
“Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, di fronte alla lingua di partenza in cui è scritto il libro di Pedro Lenz (ossia quel dialetto bernese carico di regionalismi tipici dell’Hinterland della capitale elvetica), non ci sono stati dubbi su quella che sarebbe dovuta essere la lingua d’arrivo: doveva trattarsi dell’italiano. Non avrebbe avuto senso tradurre la storia del protagonista Gol in un dialetto della lingua italiana, e questo non per evitare di precludere la lettura del libro a tutti gli italofoni, ma in virtù del presupposto secondo il quale, più che un dialetto nell’accezione che ne abbiamo noi, lo svizzero tedesco – con tutte le sue variazioni – sia un “mezzo idioma”. Utilizzo volentieri quest’espressione perché credo che sia in grado di rendere al meglio il concetto dello svizzero tedesco, una lingua che nella sua forma orale si sostituisce a quella istituzionale e scritta, l’Hochdeutsch. Nella Svizzera di lingua tedesca infatti lo svizzero tedesco non rappresenta un’opzione comunicativa da relegare in ambiti ben definiti come possono esserlo quello della famiglia o quello della colloquialità, bensì la lingua per definizione. Un po’, se vogliamo, come il romancio parlato in alcune regioni dei Grigioni.”
E allora cos’è “In porta c’ero io!”? È un romanzo ambientato negli anni ‘80, fra la cittadina inventata di Schummertal (sebbene si ispiri a Langenthal) e Olten, importante snodo ferroviario della Confederazione Svizzera, che si gioca tutto sull’io narrante che mescola discorso diretto e indiretto di Gol, un tossico che,appena uscito dalla prigione di Witzwil per storie inerenti alla droga, cerca di farla finita con le sostanze e rifarsi finalmente una vita. Gol, che deve questo soprannome a un evento dell’adolescenza, è uno di quei tanti ragazzi che negli anni 70/’80 ha incontrato la droga e l’ha condivisa coi amici e che si è visto travolgere la vita dalla dipendenza, dai mille sotterfugi per potersi procurare i soldi necessari per farsi, ma che ha finalmente deciso di darci un taglio con tutto questo mondo. Gol riesce a trovare un lavoro; s’innamora perdutamente di Regula, una cameriera con la vita parecchio incasinata, con la quale riuscirà a trascorrere alcuni giorni di vacanza in una casa in Spagna di proprietà di Stofer, un amico del giro; riallaccia i rapporti con Ueli, amico fraterno e tossico, e la moglie e tutto quel genere di persone che s’aggirano nei bassifondi della vita muovendosi fra legalità e illegalità, baristi più o meno compiacenti come Pesci, piccoli spacciatori, poliziotti che ti conoscono da sempre, dottori, infermieri, ospedali, centri di recupero. Gol è un narratore instancabile, non può fare a meno di parlare, di spiegare, di capire, racconta storie continuamente, storie della sua vita, della sua infanzia, è un ragazzo ingenuo, pieno di compassione, di sguardi amorevoli, uno di quelli che fanno parte degli sconfitti ma che mantengono sempre piena dignità.
Il romanzo si gioca tutto su queste storie, su un ragazzo che s’accorge sostanzialmente di essere stato preso in giro dagli amici, perché lui è quello ingenuo, quello di cui ci si può approfittare sempre e comunque, quello che vorrebbe tanto poter vivere una vita senza troppi affanni ma che non ce la fa e il richiamo delle droghe è sempre lì, accanto al letto, perché la droga è capace di portare sollievo in una vita che sembra non poter mai decollare, perché tutto quello che Gol vorrebbe raggiungere non è alla sua portata o non è fatto per una persona come lui.
La forza di questo romanzo è proprio in questa atmosfera sospesa fra ricordi e racconti, fra pensieri e piccoli accadimenti, costruita su una lingua che ti si impasta nel cervello e bisogna lasciarsi andare perché se nelle pagine iniziali il romanzo appare come farraginoso, anche già sentito, pagina dopo pagina il personaggio/romanzo cresce con la sua voce che è vera e propria presenza scenica e a cui l’autore e la traduzione impongono un ritmo musicale mai assordante, mai eccessivo. Il consiglio è quello di aprire il libro e di leggerlo senza mai abbandonarlo, perché la lingua potrebbe scomparire dalla testa del lettore, e allora se vi prendete un pomeriggio per poterlo leggere sentirete tutto l’odore e i profumi dei bar, delle stanze male ammobiliate, della solitudine, di questi paesi di provincia che non dicono mai niente a nessuno ma che sono invece fatti di umana sofferenza e condivisione, di mani che ti vengono offerte, di bevute in compagnia, di semplicità, di camminate notturne, di incontri con anziani che non hanno paura di rivolgersi a te in maniera dirette , di cimiteri dove poter camminare in solitudine per incontrare i propri cari.
“In porta c’ero io!” è un romanzo che percorre in minima parte le solite strade fin troppo abusate dei libri dedicati alla tossicodipendenza e si comprende subito come l’autore sia un abile e timido osservatore, un abile raccoglitore di storie, di personaggi, di piccoli grandi eventi, come sia un uomo che ha imparato a muoversi con gli ultimi e con gli umili, intuendone quella profondità e quelle contraddizioni che fanno parte di ciascuno di noi.
Di Gol Petro Lenz non ci propone un futuro radioso ma nemmeno una catastrofe nichilista, cerca di rifarsi una vita altrova ma lo fa con difficoltà, lui ci prova, lui continuerà a provarci, perché non c’è nulla di scritto nel suo futuro e in quello di ciascuno di noi.

“Allungando la strada ho imparato molto di più che prendendo la via più diretta.” (pag. 139)

Edizione esaminata e brevi note:

Pedro Lenz (Langenthal, 1965), scrittore svizzero. Si è diplomato nel 1984 come muratore. In seguito ha conseguito la maturità nel 1995. Ha studiato per un semestre Letteratura Spagnola presso l’Università di Berna. Dal 2001 lavora a tempo pieno come scrittore. Lenz scrive su diversi giornali e riviste, attualmente per la NZZ e la WOZ. Ha scritto articoli per vari gruppi di teatro e per la Radio Svizzera. Pedro Lenz vive a Olten.

Pedro Lenz, “In porta c’ero io!”, Gabriele Capelli Editore, Mendrisio, 2011. Traduzione di Simona Sala. Titolo originale “Der Goalie bin ig”, 2010.

Sito dell’autore: http://www.pedrolenz.ch

Simona Sala (San Pietro di Stabio, 1973) e si è laureata all’Università di Zurigo in italianistica e anglistica, con una tesi sull’autore americano John Updike. Dal 1997 è responsabile delle pagine culturali di «Azione», settimanale di Migros Ticino. Insieme ad alcuni amici, ha creato nel 2006 l’associazione Chiassoletteraria, di cui è stata presidente fino al 2010. Fino a oggi, ha curato le pubblicazioni Intervista a cinque scrittori (Bellinzona, Messaggi Brevi, 2001) e Questi Svizzeri (Chiasso, Leggere, 2010)


Pedro Lenz. In porta c’ero io! – Targa Speciale della Giuria dei Critici, Premio Stresa di narrativa 2012


Letture: La coscienza di Gol
di Eugenio Klueser, ticinosette nr.44 del 2.11.2013

Fin dalle prime pagine del romanzo di Pedro Lenz siamo subito catapultati, senza troppe premesse, nelle vicende di Gol, giovane ex tossico-dipendente che, uscito di prigione, deve riabituarsi alla vita della piccola Schummertal, immaginaria cittadina della Svizzera tedesca.
Con lo scorrere delle pagine di “In porta c’ero io!”, accompagniamo il protagonista nel suo quotidiano: un salto al pub Maison per bere qualcosa e guardare lavorare Regula (di cui è innamorato); due chiacchiere con il suo amico d’infanzia Ueli e poi il monotono lavoro alla tipografia. Più che quello che Gol fa, diventa importante pagina dopo pagina quello che il giovane pensa. Non si può fare a meno, infatti, di essere coinvolti nel turbinio dei suoi pensieri che si concentrano sul presente, ma soprattutto sul passato, sull’infanzia e sulle partite di calcio giocate da bambino. Spesso pensieri all’apparenza futili, innocui,ma sarà solo grazie a questo incessante rimuginare che Gol riuscirà a far luce sul vero motivo della sua prigionia e a comprendere che le persona che riteneva amiche sono le prime ad averlo tradito.
Pedro Lenz affronta in queste pagine temi complessi come la tossicodipendenza, le difficoltà dei rapporti umani anche in un piccolo centro, l’estraniazione di un individuo che non riesce, nonostante tutto, a sentirsi membro della sua comunità di appartenenza. Lo fa chiedendo al lettore di immedesimarsi nel protagonista del suo romanzo, di diventare quasi un tutt’uno con lui, l’ambiente che lo circonda e il suo tempo, gli anni ottanta del secolo scorso. Per questa ragione Lenz utilizza uno stile quasi diaristico, con un linguaggio diretto e gergale trasmettendo così al lettore un senso di immediatezza e di estrema vicinanza ai pensieri del protagonista e ai rapporti che intrattiene con gli altri personaggi. Una scelta stilistica che all’inizio disorienta, ma che col susseguirsi delle pagine si rivela vincente, regalandoci un romanzo originale, diverso dai soliti, forse meno raccontato ma certamente più pensato e più intimo.

4 thoughts on “In porta c’ero io!

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