© La Lettrice assorta, 30.04.2022
A UNA VOCE di Sabina Zanini
Sotto lo sguardo indifferente del mondo, una donna riflette sul significato della vita a partire dalla perdita della madre. Guardata con sospetto e talvolta con compassione perchè una donna non può amare l’isolamento, descrive la banalità delle sue giornate sempre uguali e la lucidità mentale, come unico capitale. La protagonista a prima vista appare cinica, ma forse è semplicemente priva di conformismo di facciata…
Attraverso un veemente flusso di coscienza, racconta in prima persona le sue strategie per evitare il prossimo, l’isolamento e il desiderio di anonimato, concepito come lusso e libertà di osservare. L’impressione che se ne ricava è di spaccatura: da una parte l’inquietante monotonia del microcosmo che la circonda, dall’altra un pensiero travolgente e profondo.
Unica salvezza la passione per la musica classica, in particolare il violino, viaggio nel tempo e fuga presso una zona franca:
“Quando posso indossare le mie cuffie-salvagente, guardo questo ambiente dall’alto come in un’esperienza extrasensoriale di evasione dal corpo.”
Ho trovato limpide e struggenti le considerazioni della protagonista sullo stare da soli:
“La solitudine è una sciagura se ti frana addosso, non se la costruisci come condizione per essere liberi di votarsi a un ideale”.
La trovo una decisione più che legittima, soprattutto perchè operata scientemente, anche se a livello sociale genera una certa diffidenza e magari viene scambiata come segno di depressione.
Scritto molto bene, ha ottenuto il Premio Studer/Ganz 2021 per una prosa inedita d’esordio.
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