© La bottega dei libri, 23.04.2021
Recensione: “Sotto il cielo del mondo” di Flavio Stroppini
di Sahira
“In tutta questa bugia che è la vita non devi rischiare di capire davanti alla morte che non c’è nient’altro, nient’altro che te stesso e quello che avresti potuto fare. Tutti ti hanno fatto credere qualcosa, tu hai creduto a te stesso e te ne sei rimasto lì a osservare il mondo che avresti potuto conquistare.”
Questa è la storia di un viaggio, un viaggio fisico, ma soprattutto interiore… un addentrarsi, passo dopo passo, in terre sconosciute per scoprire gli anfratti della propria anima.
Il protagonista, Alvaro Giacometti, ha dentro di sé una fastidiosa irrequietezza che non gli permette di vivere una vita piena. Abbandonato dal padre ancor prima della nascita, orfano di madre appena venuto al mondo, cresce insieme alla zia paterna che lo ama come il figlio che ha perso. Suo padre Libero è un marinaio. Davanti all’annuncio della sua prossima paternità sceglie di non esserci, segue d’istinto proprio quella libertà che il suo nome evoca, senza pensare alle conseguenze che la sua lontananza può provocare in quella creatura che porterà il suo cognome.
Unico segno della sua esistenza, per il piccolo Alvaro, saranno quelle cartoline che regolarmente riceverà dai luoghi più disparati. Curiosamente, sono sempre indirizzate alla sua mamma che non c’è più: probabilmente quell’uomo che si forgia del titolo di padre non conosce neanche il suo nome. Sa almeno che la donna che ha amato, sempre che l’abbia amata davvero, è morta? A volte questo il bimbo se lo chiede, ma senza pensare troppo a quel padre fantasma. Cresce vivendo alla giornata, credendo solo in ciò che può vedere e toccare. E ci sono le montagne, il suo paesino, il suo amico Franco e zia Ines. E c’è la scuola, nel tempo libero il pollaio di Irma dove lui e Franco, nascosti dal mondo, cominciano a “imparare a essere grandi”.
Il giorno del suo diciottesimo compleanno, però, una sorpresa lo attende. Rientrato a casa, trova suo padre comodamente seduto nella poltrona del salotto.
“Lo riconobbi subito, senza che nemmeno si presentasse. Lo guardai come si guarda qualcuno che dovrebbe essere importante ma non si capisce il perché. Lui, abituato alle tempeste e alle bonacce di tutto il mondo, lo capì e mi disse “Sono comunque tuo padre, questo ho imparato navigando”
La rabbia, seppellita per tutti quegli anni, emerge all’improvviso. Sul vecchio marinaio riversa una caterva di insulti che, però, provocano in lui, come unica reazione, un sorriso ironico che sfodera con nonchalance prima di lasciare la casa.
Nonostante questo, i due decidono di conoscersi, ma l’esperienza si rivelerà un fiasco per il ragazzo che, alla fine, si sentirà più solo di prima.
“Dentro ero vuoto, non c’era proprio niente. Né amore ne odio. Nemmeno indifferenza. Niente. Prima di dormire pensai che dovevo cavarmela da solo, allenarmi a dosare le forze, abituarmi a quella stranezza che lo scendere sia più complicato del salire.”
Quella sarà l’ultima volta che vedrà suo padre. Scoprirà poi, al suo funerale, che in realtà il vecchio, negli ultimi anni, aveva vissuto a due passi da casa sua. Di lui gli rimarranno una cospicua eredità in denaro e la casa dove ha passato la sua vecchiaia.
Nel salotto dell’abitazione ormai vuota, troneggia, occupando quasi tutta la stanza, il modello della Rhin, la nave con la quale Libero Giacometti ha solcato i mari. Come e perché abbia riprodotto in scala ridotta quell’imbarcazione, Alvaro non lo sa. Ma capisce che suo padre, tramite essa e altri indizi che trova quasi per caso sparsi per la casa, vuole fargli arrivare qualche messaggio. Se vuole coglierlo dovrà recarsi nel luogo che il primo indizio gli suggerisce.
Cosa deve fare? La donna che ama aspetta un bambino da lui, la sua vita sembrava per una volta tanto aver preso la giusta direzione. Vincerà l’amore, l’affetto per quella creatura che ancora non ha visto la luce, o sarà il mare a chiamarlo, come è successo a sua padre che è sparito dalla sua vita proprio per ascoltare il richiamo delle sirene?
Ho cercato di riassumere il più brevemente possibile questo libro, ma in realtà ci sarebbe ancora tanto da dire. Alvaro non è un personaggio semplice, da spiegare in poche righe. Il suo mal d’anima è un pungolo che, per tutta la vita, lo torturerà, portandolo addirittura a fare ciò che ha fatto suo padre e per cui lui lo ha odiato tanto.
Le pagine che lui scriverà in prima persona diventeranno il suo diario personale, il racconto di se stesso che farà avere a sua figlia Alyssa una volta raggiunta la maggior età. Vuole che lei sappia chi è l’uomo che chiama papà, il perché ha deciso di non essere affianco a sua madre nei momenti più delicati della sua maternità, e non solo perché ha scelto di andare, ma soprattutto perché è tornato e cosa ha imparato da questo suo girovagare alla cieca.
Flavio Stroppini sa sicuramente catturare l’attenzione del lettore col suo linguaggio non formale e pieno di colori. E, infatti, ciò che più risalta in questo romanzo non è la trama che, a partire da un certo punto in poi, possiamo dire che diventi un susseguirsi di azioni ripetitive, quanto piuttosto il calarsi nella mente del protagonista e confondersi con lui mentre prosegue questo viaggio che non ha una meta definita.
Alvaro va avanti seguendo il vento, quel soffiare che tempo prima ha trascinato suo padre per le strade del mondo. Ora è lui, suo figlio, a venire travolto dall’ignoto; lui che, senza averlo mai conosciuto veramente, ripercorre i suoi passi, ritrovando in sé il sangue irrequieto del suo stesso genitore.
Viaggio per il mondo, viaggio nel passato diventato presente, viaggio dentro se stessi, tante sono le forme del viaggiare che Stroppini inserisce nel suo romanzo. E ci fa capire che il viaggio più importante che l’essere umano può compiere, il più difficile da affrontare, è quello che lo porta alla ricerca del vero Io. Alvaro tornerà a casa cambiato dopo quest’avventura, perché navigare negli anfratti della propria anima potrà sicuramente portare alla deriva, ma sarà solo così che si troverà l’isola del tesoro.
A chi di voi è capitato di trovarsi a combattere con mostri da se stessi costruiti? A me spesso… e non sempre se ne esce vincitori, ma l’importante è imparare a affrontarli.
“Chiusi gli occhi e mi vidi come dall’alto a sguazzare nel fango di tutta la mia storia. Mi venne da sorridere. Mi compatiii e mi feci tenerezza. Dovevo proprio sentirmi così solo per affrontare quel viaggio…Lo avevo colpevolizzato unicamente per non mettermi davanti a uno specchio e capire chi fossi…”
Buona lettura a tutti.
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