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© GAS, 18.09.2021

“Sotto il cielo del mondo” insieme a Flavio Stroppini
Di Fabrizio Quadranti

Un romanzo ticinese davvero bello. Lo ha scritto Flavio Stroppini. È da leggere. Avete voglia di una storia potente, vecchia come il mondo ma sempre attuale? Scritta con uno stile inequivocabile: evocativo e, a tratti, giustamente ridondante? Ma unico, e speciale? dove ogni tanto si percepisce Baricco, o Davide Longo, e poi Conrad, Hemingway ma… la propria essenza non viene mai persa?

Se avete voglia di tutto questo allora non lasciatevi sfuggire “Sotto il cielo del mondo”, scritto da Falvio Stroppini. Un libro stampato, dall’editore ticinese Gabriele Capelli, un po’ di tempo fa (precisamente nel novembre 2020) ma facilmente recuperabile e, comunque, caldamente consigliato.

Il tema che soggiace a tutte le 165 pagine è quello della ricerca del proprio io, l’essenza profonda e specifica. Esplicata, con scavi psicologici non sempre diretti ma frequentemente indotti, attraverso le avventure (o storie “sotto il cielo del mondo”) del suo protagonista. Alvaro Giacometti, due volte orfano: la madre muore di parto alla sua nascita, il padre invece è in giro per il mondo, e quando scrive una qualche rara cartolina nemmeno gli sa dare un nome. E lui cresce con la zia, anche lei portatrice di tribolazioni e tragedie diverse.

Alvaro ha sicuramente un’intelligenza sopra la norma e, soprattutto, ha una sensibilità carica di un’inquietudine che non trova argini. La terra ferma è uno stato non contemplato nella sua esistenza. Fino ad una certa età si sfoga nelle scarpinate in montagna (siamo al sud delle Alpi), magari in compagnia del suo amico fraterno, poi, dalla tarda adolescenza, con qualche bevuta all’osteria sempre con l’amico amico Franco. E sono momenti decisivi per la sua formazione: tante domande e poche risposte, qualche sogno applicato alla realtà (“ho visto una vacca volare: è difficile da spiegare… è come se quell’immagine avesse interrotto la glaciazione“) e troppi conti che non tornano.

Molta aria, cielo e roccia. Per vivere trova una soluzione a lui congeniale: aiuta i compaesani nelle questioni burocratiche (“avevo trentotto anni senza quasi accorgermene. Il mondo mi scivolò addosso tra una bevuta e l’altra con Franco. Lui era diventato un docente di scuola elementare, io mi occupavo delle tasse di tre quarti del paese“). Poi, quasi in risposta all’ennesima domanda esistenziale (“la vita è fatta da chi osserva e da chi fa: io cosa faccio? io devo fare qualcosa“) si ritrova con un’inaspettata ma travolgente risposta da Line, una donna del paese: “tu hai fatto qualcosa”, gli dice dopo aver stappato una bottiglia.

E qui cambia tutto. La rivelazione della ventura paternità riavvolge il suo stato mentale: il figlio che diventa padre, lo scombussolamento nel dover comunque rapportarsi al genitore scappato proprio in un frangente simile. E una forza più grande di lui che sembra rapirlo, trascinarlo sulle orme paterne. Perché la storia del non aver un nome, perché la fuga paterna deve capirla, assimilarla, perché, perché troppi perché. Il romanzo qui diventa di viaggio, forse anche di avventura. In pratica Alvaro gira il mondo: Polonia, Thailandia, Turchia, Irlanda e via … fino all’India.

Una spedizione che si rivela carica di sorprese, su tutte il padre che non è morto, pur essendo stato “funeralizzato”. Lo incontra e scopre che lui, Alvaro, per il genitore un nome ce l’aveva: “minchione”, ecco cosa era agli occhi paterni, un “minchione”.

Pagine dense di pathos, momenti memorabili che vanno in collisione con risposte eluse, o frasi capite a metà. Inizia una specie di caccia al tesoro, sconvolgente ma anche entusiasmante. “Perché dobbiamo chiacchierare di cose stupide ? Troppa filosofia fa male“. Un viaggio intorno al mondo ma anche dentro sé stesso, e domande sul perché in pratica lui sta facendo la stessa cosa che ha subito, e penato.

La narrazione sa anche essere intensa, ogni tanto il lettore trova una gran bella meraviglia quando meno se l’aspetta. E citazioni, riferimenti: “ho capito che ognuno deve affrontare la cattiva sorte, i suoi errori, la sua coscienza e tutto quel genere di cose. Non possiamo stare sempre lì, al centro del monumento che ci siamo eretti e credere che qualcuno venga a magnificarci..” Che bel romanzo!

Per chi scrive “Sotto il cielo del mondo” sarebbe da adottare come lettura nel secondo biennio di scuola media: ha talmente tanti aspetti che in pratica si potrebbe affrontare l’intero programma. Ultima osservazione: fosse stato stampato in Italia, magari da un editore importante, questo romanzo sarebbe finito dritto in parecchie finali di premi diversi. Abbiamo infatti letto di molto peggio fra questi titoli in nomination. Ovviamente non si vuole togliere alcun merito all’editore ticinese Cappelli, davvero encomiabile nel proporre questa storia. Chapeu, a lui e, ovviamente a Flavio Stroppini.

“Sotto il cielo del mondo”, 2020, di Flavio STROPPINI, Gabrielecapellieditore, 2020, pag. 165, Fr. 22,00.

Link: GAS


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