Il piccolo Merluz Vogn
Di Omar Ravani, giornalista
“A Lindsey, per quel che sappiamo noi due”. È la prima frase che si trova nel libro del Gene, il “scior Geni” come lo chiama la mia mamma. Se avete capito la finezza (1), vuol dire che siete pronti per affrontare il suo “Merluz Vogn”, romanzo nel quale c’è tutto il Giorgio Genetelli che già abbiamo trovato nelle sue opere precedenti. Sono onesto, pensavo di gettarmi in un’opera nostalgica, di quelle che ti fanno rimpiangere l’essere cresciuto ed esserti costruito delle sovrastrutture inutili nel tuo modo di fare e pensare. E invece il gene-libro non è per nulla questo. O meglio, non è solo questo. C’è sì quel gusto di “rétro” che fa tanto bene al cuore, ma c’è, soprattutto, una forza nei personaggi che non è arginabile nelle poche righe di questa modesta e indegna “recensione”.
Il piccolo Merluz Vogn è un pellerossa, ma non solo, è anche un cowboy, un marinaio, un ciclista, un ladruncolo, un chierico, un discolo, un… Insomma in quell’estate di un anno indeterminato attorno ai Sessanta, nella quale il protagonista passa il tempo dai nonni, succede tutto quello che nel mondo di un bambino sia giusto debba succedere. I “noni”, molto meno presenti (eufemismo), della “mama” e del pa’, non si occupano molto di quello che il nipotino fa durante il giorno. Ma non per questo sono assenti: il “nono” con i suoi racconti e il suo modo di comportarsi è un faro, e guida il Merluz Vogn sulla via che, secondo il sentire comune di una società di paese ancora profondamente osservante e bigotta, non è sempre retta.
Il centinaio abbondante di pagine del volumetto edito da Capelli scivola velocissimo, ma non per questo non va a scavare nel fondo delle coscienze. Alla fine di ogni giornata di avventure, la chiusa del Gene è geniale e pungente. Tanto che quando si inizia un nuovo racconto, immancabilmente preceduto dal pesce in cima alla pagina, si ha voglia di leggerlo anche solo per sapere come andrà a finire. E va sempre a finire che si sorride o si mastica amaro. Si riflette, in ogni caso. Ma soprattutto quello che c’è all’interno è una collezione di perle: una fra le più splendenti è la ramanzina, in dialetto da “Prons”, del “nono” davanti al feretro di un amico, che termina in maniera tragicamente comica “… Aloro tel sa chel ca faghi? A vaghi a cà e in trii dì, giustu el tem de saludèe, a crapi an mi e peu a vegni a catat. Ganasa.” Potente.
In ogni caso, il Genetelli ha fatto centro. Avete solo una scusa per non ordinare il “Merluz Vogn”: dovete non essere mai stati bambini. Sennò fatelo. Non ve ne pentirete.
(1) se non avete capito la finezza, allora già che ci siete leggetevi anche il Becàaria, La conta degli ostinati e La Partita, sempre del “scior Geni”. Male non fanno di sicuro…