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Damiano Leone
Il simbolo
Romanzo storico
15×21 cm, 616 pp, Euro 23,00
ISBN 978-88-97308-44-7

Disponibile anche in versione digitale su più piattaforme.

Link: Breve estratto


Contemporaneo di un uomo passato alla storia con il nome di Gesù di Nazareth, il figlio di una prostituta muove i primi passi nella Palestina dominata dalle legioni di Roma: due vite assai diverse ma destinate a incrociarsi nei loro giorni più drammatici.

Avviato alla prostituzione, il giovane Ben Hamir trova conforto nell’affetto di uno schiavo comprato per fargli da tutore. Costretto a fuggire, dopo un’istruttiva permanenza ad Atene conquista Roma – o meglio i cuori delle romane – divenendo gradito ospite dei più esclusivi palazzi nobiliari.

Coinvolto nella politica imperiale fino a divenire intimo di Tiberio, proprio da lui apprenderà quanto beffardo possa mostrarsi il fato. Tornato in Palestina per ordine dell’imperatore, ad attenderlo troverà sia un nuovo che un antico amore: ma anche l’odio feroce di Ponzio Pilato, il suo più mortale nemico.

Dopo aver compiuto un gesto in apparenza marginale ma destinato a sconvolgere la storia, abbandonati i lussi e le amanti sceglierà di restare lontano dai clamori del mondo.
Ma Roma non si è dimenticata di lui: dovrà accettare lo sgradito incarico di informatore imperiale, assistendo così a eventi che andranno oltre ogni sua immaginazione.


Dalla quarta di copertina

Un vivace e vasto affresco in cui si snodano vicende e personaggi responsabili di aver influito profondamente sulla storia occidentale del primo secolo dopo Cristo e di quella dei millenni a venire.

A volte ironico e altre drammatico, il romanzo è punteggiato da quasi ignoti ma autentici gossip dell’epoca narrati da un insolito e accattivante protagonista. Viaggiando tra Gerusalemme, Atene, Roma e l’Egitto il nostro “eroe” affronterà non soltanto pericolosi inganni e intrighi di potere, ma di innumerevoli uomini e donne conoscerà i più segreti impulsi dell’eros.


Damiano Leone è nato a Trieste nel 1949.
Di formazione tecnica, nella prima parte della vita si è interessato alle discipline scientifiche: in seguito, quando alcune vicende lo inducono ad abbandonare la professione di chimico, incoraggiato da un esperto del settore inizia a produrre artigianalmente repliche d’armi e armature antiche. Fortunatamente apprezzati, alcuni suoi lavori sono stati impiegati in film storici, esibiti in programmi televisivi culturali ed esposti in musei.
Imponendosi fin dall’inizio la massima fedeltà riproduttiva, dapprima per esigenza professionale e poi per vero interesse, da oltre un trentennio si dedica allo studio della storia antica, dell’arte e della letteratura classica, corroborando le nozioni letterarie con frequenti visite a musei e siti archeologici di tutta Europa.
Soltanto dopo il suo ritiro dall’attività lavorativa ed essersi trasferito in un paesino montano del Friuli ha potuto trovare il tempo e la serenità per realizzare un’antica ambizione: quella di dedicarsi attivamente alla narrativa.
Dopo aver terminato il romanzo storico “Enkidu” nel 2012, nel 2015 pubblica “Lo spettatore”.


Video integrale della presentazione:

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Una selezione di 24 minuti degli interventi e delle letture del Prof. Angelo Floramo.

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RECENSIONI, INTERVISTE…

© Radio Vaticana, Tredici e tredici, 24.05.2021

Damiano Leone, autore de “Il simbolo” e “Il guaritore” intervistato da Rosario Tronnolone per Radio vaticana.

Podcast: Tredici e tredici


Il simbolo

Una visione laica della vita
di Nadia Bertolani
(Recensito su Amazon, settembre 2019)

Felicità, amore e morte sono le costanti di questo romanzo in cui la straordinaria ricchezza di termini relativi alla vita materiale, politica e bellica di un lungo periodo storico e di vaste regioni mediterranee è suffragata da una bibliografia accurata.

Il romanzo si apre con il lungo racconto che Annio Rufo-Ben Hamir, come un novello Socrate, fa al giovane Fedone. Gli racconta la propria vita e, nel farlo, tocca tutta la gamma dei sentimenti e dei vizi umani: l’amore casto, la passione sfrenata, la dolcezza, il sadismo, gli inganni nei palazzi del potere e nelle stanze più misere, l’ingenuità e il candore, la lussuria e l’egoismo, la ribellione e la rassegnazione, la malinconia e la rinuncia, il rimpianto e la fedeltà. Tutte le possibili pieghe dell’animo umano trovano una loro personificazione: il numero e la varietà dei personaggi di questo notevole romanzo offrono al lettore una traduzione quasi visiva dei grandi temi astratti che vi sono trattati.

Indimenticabili i personaggi inventati, come Nadir, filosofo semicieco ma con la “vista lunga”, Jezabael, la madre, tanto crudele che potrebbe apparire come una incredibile parodia se la nostra tremenda realtà di oggi non la confermasse nella sua ferocia; e ancora Ganthar, il gladiatore dall’animo tenero, l’orientale armoniosa Lin e tanti altri; ma ancora più sorprendenti sono i personaggi storici come Tiberio, Vespasiano, Tito, Ponzio Pilato e Gesù, intatti nella loro fisionomia eppure stranianti nel racconto inventato che ne fa l’Autore. Quanto al protagonista, sembra una Moll Flanders al femminile che registra in modo accurato, quasi pignolo, tutte le proprie avventure amorose. Le scene di sesso, infatti, sono così frequenti e così dettagliate da rischiare di disturbare per la rappresentazione femminile che veicolano; ma ad una più attenta lettura si coglie invece la profonda comprensione da parte dell’Autore del mondo classico, latino in particolare, in cui la gioia di vivere, libera dal peso giudaico-cristiano della colpa, prorompe dionisiaca e trova espressione artistica e familiare nella esuberanza di Priapo, il dio meno addomesticabile di tutti.

Quella che appare evidente fin da subito e che verrà confermata nelle ultime pagine è la visione laicissima della vita che emerge dal racconto e che è riassumibile nel celebre aforisma di Gaetano Salvemini: “Chi è convinto di possedere il segreto per rendere felici gli uomini è sempre disposto ad ammazzarli”.


Recensione scritta dal Prof. Angelo Floramo dedicata al romanzo “Il simbolo”

Damiano Leone, il Simbolo, GCE-Gabriele Capelli Editore, pp. 613.
Ci sono romanzi che coinvolgono il lettore per l’avvincente trama. Altri perché i personaggi sono capaci di giocare con la fascinazione della loro storia. “Il Simbolo”, l’ultima poderosa fatica scritta da Damiano Leone, è capace di qualcosa in più. La meticolosa ricostruzione storica – la vicenda si snoda tra la Palestina e Roma ai tempi di “un uomo chiamato Gesù” – e l’ampiezza della scrittura trascinano il lettore in uno spazio e un tempo lontani ma fondativi del nostro modo di percepire le cose, in cui noi, uomini e donne del terzo millennio, possiamo specchiare le nostre inquietudini e l’affannosa ricerca di quel senso della meraviglia che credevamo smarrito per sempre. L’inizio è quasi favolistico, conserva anzi tutto il sapore di uno di quei tanti apologhi edificanti che circolavano a ridosso dell’era volgare: un ateniese, Fedone, viene scaraventato da una burrasca su di una spiaggia in un luogo non meglio precisato. Scoprirà di trovarsi nei pressi di Arsuf, o Apollonia, come ormai “molti la chiamano ora”. A rivelarglielo è Ben Hamir, un vegliardo che ha tutta l’aria di un Socrate provato dalle vicende di una vita intensa e da esse reso saggio, incline alla libertà del pensiero e alla nostalgia per un passato che pur non ritornando mai continua a condizionare il presente, dipingendo segni e figure. Ammicca l’autore al lettore colto: il greco si chiama proprio come il discepolo del grande filosofo, e il suo nome è anche il titolo di uno dei più avvincenti dialoghi platonici, quello che ha per tema l’immortalità dell’anima. La narrazione che scaturisce spontanea dal vecchio ha tutto il sapore di un lungo flusso di coscienza che scaturisce dalla memoria di chi, reso consapevole dall’esperienza di una vita, ha avuto la ventura di conoscere da vicino un certo Christus o Chrestus, o ancora Jeshua come lo chiamavano gli abitanti della terra di David, molti dei quali pensarono addirittura si trattasse di un grande profeta, alcuni addirittura del Messia. “Tutti gli uomini si possono classificare in due archetipi – confessa l’io narrante al suo inatteso ospite – Alcuni, guardando vicino, percepiscono la struttura intima delle cose; altri, scrutando lontano, colgono i legami dell’insieme […] sovente diventano poeti, scultori, filosofi…o più semplicemente sognatori”. E chi più di un sognatore va cercando attraverso la foresta dei simboli che ci circonda, misteriosa, sensuale, allettante e insieme paurosa, deviante, crudele, il vero significato di quella perduta Verità che muove le nostre azioni e sancisce il passo della nostra umanità? A suo modo questo poderoso romanzo, in cui l’esperienza del bene e del male, del volo e della caduta, del sogno e del prosaico risveglio diviene il paradigma e la metafora stessa del vivere quotidiano, è una “Gand Queste”, un viaggio iniziatico alla scoperta dell’io interiore che si cela nel profondo di ciascuno di noi. In particolare va segnalata la bravura dell’Autore nel tratteggiare i personaggi femminili, che sono la vera chiave di tutto. Mai banalizzate entro i confini di un “ruolo” risultano sempre accattivanti e credibili, perché colte nella molteplicità delle dimensioni interiori, labirinti in cui perdersi è bello. Tra l’esordio e il dipanarsi finale della Verità si immillano i personaggi: cortigiani e schiavi, sapienti e avventurieri, nello sfarzo delle dimore o nell’abiezione dei lupanari. Abilissimo nel delineare le motili psicologie dei cuori oltre che nel restituirci odori, colori e paesaggi, Leone ci regala un’avventura di rara intensità e bellezza. Tanto che le oltre seicento pagine di narrazione si depositano leggere nel fondo dell’anima, consolandosi nella consapevolezza che “gli uomini hanno proprio bisogno di un Simbolo per trovare la forza di vivere”.
Prof. Angelo Floramo


© Radio Vaticana Italia, Rubrica “1313” – 28.12.2019

Radio Vaticana Italia intervista l’autore de “Il simboloDamiano Leone.


© ithinkmagazine.it – 7.01.2019

Damiano Leone torna con un avvincente romanzo storico: Il simbolo

Non è del tutto univoco il significato a cui allude il titolo de Il simbolo, il terzo romanzo di Damiano Leone, un corposo romanzo storico dai numerosi colpi di scena. La vicenda è piuttosto complessa: prende avvio al tramonto del primo secolo dopo Cristo, quando su di una spiaggia di Apollonia approda un greco, Fedone, che incontra un vecchio dal passato piuttosto singolare. Inizia così un racconto autobiografico che, impostato inizialmente come un dialogo – e il nome di Fedone non sembra, quindi, casuale –, diviene presto il corpo del romanzo stesso, narrato in prima persona dall’anziano, Ben Hamir, che rievoca la sua storia (e, allo stesso tempo, la Storia vera, con la “S” maiuscola).

Da bambino, Ben Hamir non sembra avere delle rosee prospettive di vita: è il figlio di una prostituta, dalla quale viene costretto a svolgere il medesimo mestiere; è di Sidone, antica città fenicia sottomessa all’impero romano; è circondato da persone senza scrupoli, cui fanno eccezione solo il vecchio schiavo Nadir, quasi un padre morale, e la giovinetta a cui il giovane dona il cuore. Sono la tragedia e la crudeltà a dare alla situazione una svolta drammatica: conosciuto il volto dell’omicidio, Ben Hamir è costretto a fuggire e, allontanandosi su di una nave in direzione della Grecia, sembra abbandonare dietro di sé, in Oriente, anche la propria ingenuità infantile.

Sfruttando attivamente la sua esperienza in campo erotico, il ragazzo prende concretamente in mano la propria vita con risolutezza viaggiando da una parte all’altra del Mediterraneo e, approfittando delle donne e degli uomini che ne condividono il letto, risale la china, incappando infine, a Roma, in una svolta decisiva. La capitale dell’impero è in mano a Tiberio; è controllata da un’élite di potenti; è governata da uomini ricchi e dissoluti, dei quali Ben Hamir, ben avvezzo a riconoscere vizi e debolezze tra le lenzuola, svela i più reconditi segreti.

La padronanza degli intrighi e delle trame della politica, pur in qualità di osservatore esterno, dà al protagonista un potere non indifferente, che lo porta, in breve, a diventare un’attiva pedina dell’imperatore stesso, portando idee e interrogativi nel buio delle stanze da letto, lontano (apparentemente) da occhi indiscreti. Sarà questo ruolo a indurre Ben Hamir a riprendere il suo viaggio e a tornare, vinti i fantasmi del passato, di nuovo in Oriente, in una Gerusalemme sull’orlo di una guerra e in quella Palestina dove, lontano dalle corruzioni di Roma, vive e opera Gesù di Nazareth. È proprio l’incontro tra quest’ultimo e il protagonista, che finirà per accompagnarlo negli ultimi giorni terreni, a rendere vivido il contrasto tra la concretezza spregiudicata della realtà imperiale e la fede del nuovo credo in una forza altra, immateriale.

I contrasti all’interno della vicenda sono violenti, emozionali: è vivo il dolore della morte, che torna e ritorna, e si contrappone e si intreccia al piacere carnale, in un’interpretazione romanzata della dicotomia tra eros e thanatos; ed è a sua volta vivida l’opposizione tra il piacere fine a se stesso e la ricerca del sentimento d’amore, indagato in più occasioni e in diverse nature. C’è l’amore tra il protagonista e una giovane pastorella, che insegna la tenerezza; c’è quello tra un gladiatore e una schiava, che reca il seme della fedeltà; c’è infine quello dei cristiani per Dio e per il prossimo, che supera, a chiudere il cerchio, persino la morte. All’interno di questi contrasti Ben Hamir si muove su più fronti, spinto dal desiderio di trovare una direzione, profondamente permeato dall’opportunismo ma costantemente alla ricerca di una personale serenità. Non sarà la fede a insegnargli il senso dell’interiorità, né la ricchezza a dargli appagamento; ma nella famiglia troverà, per un periodo, la propria quiete. Il simbolo è, quindi, il sigillo imperiale che il protagonista riceve da Tiberio; ma anche i gesti di sacrificio delle anime pure tra la dissolutezza del potere, le mani operose di una contadina, gli sguardi di coloro che hanno conosciuto l’amore in un mondo di turpitudine. Piccoli, grandi simboli che portano Ben Hamir, all’ombra dell’impero, a scoprire, infine, il valore della semplicità.

Anche ogni elemento di contesto, quindi, in quest’ottica ha un significato preciso. Sostenuto da una solida ricerca storica, il volume cerca in ciascun particolare di creare una suggestione completa. Nella capitale si indossano gioielli e toghe ricamate, in Palestina si portano tuniche e barbe; in Grecia si coltivano le olive, in Egitto i cereali; a Gerusalemme ci sono case basse e pozzi di pietra, a Roma domus affrescate e alte insulae. Ogni ambiente è ricostruito con straordinaria minuzia e attenzione al dettaglio, dimostrando una buona conoscenza del contesto storico e contribuendo a catturare il lettore sin dalle prime pagine. Del contesto fanno parte anche usi e costumi: a seconda delle diverse città diversa è la condizione della donna, diverso è (spesso di conseguenza) il modo di vivere la sessualità e il ruolo degli amanti nei confronti del potere. Vario è soprattutto lo spirito con cui i personaggi dell’impero affrontano i problemi quotidiani e si approcciano al mondo allora conosciuto. Che, tra le pieghe di questo romanzo, per una volta pare davvero immenso.

ADRIANO ALIVERNINI

Link: ithinkmagazine.it


© dasapere.it

Il simbolo, il romanzo storico di Damiano Leone
A cura di Raffaele Di Cecca

La storia risuona come una costante nota di bordone tra le pagine de Il simbolo, l’ultimo romanzo di Damiano Leone, narrata attraverso gli occhi di un vecchio intento a raccontare a un viaggiatore le proprie vicende di vita. Siamo nel primo secolo dopo Cristo: a Roma, dopo l’esperienza di Ottaviano, è oramai consolidato il potere imperiale, e le terre intorno al Mediterraneo sono sotto il suo controllo; la Giudea è provincia romana, e in Palestina è già nato un certo Jeshua di Nazareth, destinato a cambiare il corso degli eventi. Il protagonista, Ben Hamir, nato a Sidone da una prostituta, a prima vista non sembra tuttavia curarsi degli avvenimenti che si sviluppano parallelamente alla sua età. Avviato suo malgrado alla professione più antica del mondo, solo forzato dagli eventi si troverà ad abbandonare la terra natia inoltrandosi nel cuore del mare nostrum, alla volta di Atene e, in seguito, della penisola italica e del centro stesso dell’impero. Alla crescita del ragazzo si accompagna una presa di consapevolezza del proprio corpo, dell’innata capacità di sedurre donne e uomini in egual misura e, lentamente, delle trame che la storia intesse intorno alla sua figura, che da una condizione di sottomissione conquista, incontro dopo incontro, riconoscimenti e beni materiali. Quasi involontariamente, passando da un talamo all’altro e arrivando così a influenzare con l’arte amatoria alcune tra le più potenti donne di Roma, Ben Hamir giunge a entrare nelle grazie dello stesso imperatore Tiberio, che con lui suggellerà un legame d’inaspettato valore concretizzato in un sigillo imperiale, il “simbolo” che permetterà al giovane di accedere a numerose porte.

Coinvolto nelle trame della politica, mentre la storia scorre tra intrighi, assassinii, rivolte e avvicendamenti sul trono imperiale, le vicende del protagonista si sviluppano tra donne cupide e mariti traditi all’ombra delle domus nobiliari, tra ludi gladiatori e cospirazioni, per poi prendere una piega inaspettata con lo scorrere delle pagine: l’uomo ritornerà infatti nella sua terra d’origine e incrocerà il proprio passo con quello del Cristo, poco prima che per questi si compiano i giorni della Passione. Colpito ma non intaccato dalla predicazione del Maestro, Ben Hamir si troverà così, ancora una volta quasi senza intenzione, a influenzare pesantemente il corso della storia, vivendone le contraddizioni come un ordinario spettatore divenuto, suo malgrado, una variabile attiva.

La ricostruzione del contesto storico è di certo il punto di forza del romanzo che, filologicamente piuttosto accurato, ripercorre alcune delle più celebri vicende dell’antichità attraverso una serie di particolari che, riga dopo riga, emergono dalla narrazione come punti fermi di un quadro in movimento. Diversi elementi connotano la vita quotidiana delle varie zone dell’impero, condotta da personaggi di disparata estrazione sociale che, camminando tra le vie di Atene, Roma e Gerusalemme ne osservano i tratti caratteristici con ottima verosimiglianza. Un frontone del Partenone, un’armatura imperiale, un frugale pasto di formaggio e olive in Palestina: ogni dettaglio contribuisce a creare, riga dopo riga, un’ambientazione ricca di dettagli vividi e permeati di un evidente gusto didascalico. Se talvolta l’intento dell’autore sembra quasi superare il limite della funzionalità, esulando dal contesto della narrazione, tra l’intreccio, l’enunciazione dei fatti storici e la lista di oggetti, elementi architettonici e dettagli di contesto si crea continuamente un vivace dialogo che contribuisce a inquadrare nel tempo e nella storia una singolare vicenda umana.

Interessante in questo senso è proprio la figura del protagonista, un ragazzo divenuto uomo che a prima vista non pare acquisire, nel tempo, saggezza e spessore culturale, ma che riesce a dimostrare, infine, di padroneggiare una grande esperienza di vita vissuta. Ben Hamir, pur non presentando una particolare complessità, cattura infatti il lettore con la propria spontaneità, l’apparente ingenuità delle sue scelte giovanili, i suoi amori fugaci e la sua costante ricerca di una stabilità che, da concreta, si fa presto emotiva. L’autore e il narratore, in queste pagine, coincidono strettamente: e se il primo, talvolta, non lascia al secondo la possibilità di sviluppare una voce indipendente, la forte identità tra i due suscita allo stesso tempo uno slancio affettivo e, paradossalmente, un ottimo grado di leggerezza.
Risiede proprio in questo rapporto la vera chiave di questo romanzo che, ben lungi dal dimostrare pretese eccessive, riesce a mantenere un ottimo grado di trivialità. Il ritmo è sostenuto, e le pagine, benché numerose, sono in grado di spingere il lettore a proseguire nella scoperta della trama sin dall’incipit. Mutano spesso le ambientazioni e i personaggi, non si lesina su scene di sesso che aggiungono un tono di colore e la quantità di avvenimenti è tale da impedire, per gran parte del tempo, che sopraggiunga la noia. Un libro consigliato a chi cerca un intrattenimento gradevole ma poco impegnato, una spruzzata di ambientazione peplum e un tocco di ispirazione erotica.

Link: dasapere.it


© Leggere: tutti – 11.12.2018

Intervista a Damiano Leone, autore del romanzo Il Simbolo

Damiano Leone è nato a Trieste nel 1949. Dopo aver lavorato come chimico, decide di dare una svolta alla sua vita iniziando a produrre artigianalmente repliche darmi e armature antiche. Appassionato studioso di storia e di arte e letteratura classica, pubblica il romanzo storico Enkidu nel 2012 e Lo spettatore nel 2015. Il simbolo (Gabriele Capelli Editore, 2018) è il suo terzo romanzo, in cui narra la vita di Ben Hamir, un uomo alla strenua ricerca di sé stesso che si troverà a cambiare la Storia. Leggere:tutti lo ha intervistato.

Nel romanzo storico Il simbolo uno dei molti punti di forza è la caratterizzazione dei personaggi. Dallo straordinario protagonista Ben Hamir a Jeshua ben Yusef, da Tiberio a Jezabael, ognuno di loro è tratteggiato profondamente, con molta attenzione per il mondo interiore e per le peculiarità che ne fanno personaggi a tutto tondo, estremamente reali. Qual è stato il carattere più difficile da delineare, e che è costato un più intenso lavoro di ricerca?

“Alcuni personaggi non sono stati facili da delineare, sia per la scarsità di notizie storiche che per la delicatezza del loro ruolo spirituale. Come sarà facile immaginare, la figura di Gesù di Nazareth ha richiesto la massima documentazione possibile che però, se escludiamo i vari vangeli, non è certo abbondante. In ogni caso, anche se sembra un’apparente contraddizione perché i riferimenti dell’epoca sono abbastanza copiosi, il lavoro più approfondito lo ha richiesto la figura dell’imperatore Tiberio. Il fatto è che, secondo studi moderni, la sua personalità era ben diversa di quanto tramandato dagli storici dell’epoca che ne dipinsero un ritratto non molto edificante. Certamente, a volte e specie nella seconda metà del suo principato, Tiberio ha usato il suo potere con estrema durezza: ma se lo ha fatto, aveva almeno la scusante di esser stato crudelmente colpito dalla sorte. E questo sia nella sua carriera politica che come semplice uomo per quanto riguarda i suoi affetti più cari.”

Un romanzo storico necessita di molta cura in fase di editing, e ci si avvale spesso di consulenti esterni che aiutano nella verifica e nel reperimento delle fonti. Come si organizza il lavoro preliminare per la scrittura di un romanzo storico, e come la casa editrice è di supporto a un progetto tanto lungo e complesso?

“Se la totalità della ricerca storica è stata un mio onere, l’editing si è svolto in strettissima collaborazione con l’editore Gabriele Capelli. Di necessità, vista la mole del romanzo si è trattato di un lavoro piuttosto lungo e dettagliato, e so per certo che l’editore si è avvalso della consulenza di esperti che a volte mi hanno pressato per verificare la fondatezza storico-geografica di quanto raccontavo. Fortunatamente, anche nei casi in cui i nomi moderni di località sono diversi da quelli antichi e quindi usati nel romanzo, ho sempre potuto provare l’esattezza dei termini usati.”

Nel romanzo Il simbolo c’è una perfetta ricostruzione storica del periodo in cui è ambientata la vicenda, ma cè anche una buona dose di inventiva che dona al lettore una storia che sa incantare, commuovere e anche divertire. Come è riuscito a integrare perfettamente il racconto storico con l’originale e fantasiosa visione che ha introdotto in esso, dando quasi l’impressione che la sua storia possa essere una delle possibili versioni di ciò che è accaduto a Gerusalemme e a Roma circa duemila anni fa?

“Il lavoro di integrare in modo armonico la storia reale con quanto invece sarebbe stato possibile fosse avvenuto, si è basato soprattutto sul rispetto della plausibilità. Ho badato ad esempio di evitare qualsiasi contraddizione evidente con i fatti storici, inserendo personaggi e vicende solo dove la storiografia antica e moderna non ha ancora fatto, né forse lo farà mai, piena luce.”

Oltre a essere un grande appassionato di storia, è anche un professionista nella costruzione di repliche darmi e di armature antiche. Qual è il periodo storico che da sempre l’affascina di più, e qual è stata, nei suoi numerosi viaggi, la testimonianza del passato che l’ha più emozionata?

“Ritengo che ogni periodo storico sia interessante ma prediligo l’epoca classica. Greci e romani hanno sicuramente il merito di aver gettato le basi di quanto di meglio esiste nella cultura moderna. Senza di loro, immagino che il nostro presente sarebbe piuttosto differente da come è. Quanto alle numerose emozioni sperimentate nel corso dei miei vagabondaggi nei siti archeologici e nei musei, direi che mi è davvero difficile stabilire una priorità. Ma davanti ai Bronzi di Riace, oppure al vero tumulo delle Termopili (non quello sull’autostrada) o alla tomba di Filippo il Macedone appena riportata alla luce e ancora in corso di scavo e che ho avuto la fortuna di visitare, forse ho avvertito il cuore battere più forte che in altre occasioni.”

Vuole consigliare, a chi ha apprezzato la sua opera, autori di romanzi storici che riescono come lei a far immergere il lettore nella Storia senza però tralasciare la costruzione di una trama affascinante, poetica e avvincente?

“Questa è una domanda imbarazzante perché di ottimi autori ce ne sono davvero tanti, inoltre rispondere in modo appropriato richiederebbe uno spazio molto maggiore a quello riservato a questa intervista. Ma così, tanto per citare qualche nome e non necessariamente in ordine di bravura, senza nemmeno voler contare Marguerite Yourcenar che oltre al famoso Memorie di Adriano ha scritto pure il notevole L’opera al nero, Gore Vidal, Gary Jennings, Coolleen McCullough, Nicholas Guild e pure la sensibile Mary Renault, penso che siano in grado di soddisfare qualsiasi amante di questo genere letterario.”

Nel 2015 ha pubblicato per Leucotea il romanzo Lo spettatore, il cui protagonista, Alexandros Cristopoulos, viaggia nel passato per vivere le esperienze emotive di individui morti da millenni. Una trama molto interessante per una storia che appartiene sia al genere del romanzo storico che a quello della fantascienza. Vuole raccontarci qualcosa di più della sua opera?

“Non è facile riassumere in poche righe un romanzo così ricco di personaggi e avvenimenti che trascende il tempo e lo spazio. Ma, molto in sintesi, partendo da una storia d’amore come forse nessuno ha ancora raccontato, ne Lo spettatore si incontrano argomenti che riguardano l’intima essenza dell’umanità: specie quelli più pericolosi e che minacciano la sopravvivenza della nostra specie. Inoltre, a contorno di tutto questo, ci sono gli scopi misteriosi di un intelligenza aliena interessata a qualcosa di innato in nostro possesso, che poi é il solo valore a cui attribuisce una vera importanza.”

In un romanzo tanto lungo e complesso come Il simbolo, può succedere di avere ripensamenti su un aspetto della trama, o su un particolare episodio che forse si sarebbe dovuto tagliare o raccontare in modo diverso. Con il senno di poi, vorrebbe cambiare, eliminare o approfondire qualcosa del suo romanzo, anche in virtù del tipo di accoglienza che ha avuto tra i suoi affezionati lettori?

“Di certo, Il simbolo non è un libro per educande: anzi, visto che narra fedelmente realtà politiche, religiose e sociali di quei secoli lontani, contiene alcuni passi che qualcuno potrebbe giudicare scabrosi o addirittura irriverenti. Tuttavia, siccome al momento tutti i pareri o commenti dei miei lettori, come pure dei critici letterari, sono decisamente entusiastici, non credo di dover avere ripensamenti di sorta sulla sua stesura.”

Link: Leggere: tutti


© Free Magazine – 29.11.2018

Il simbolo di Damiano Leone: il racconto dell’esistenza di un uomo vissuto ai tempi di Gesù di Nazareth.
A cura di Antonella Quaglia

Una volta lette le ultime righe del romanzo storico Il simbolo, ci si domanda come abbia fatto Damiano Leone a concepire un’opera tanto profonda e articolata, a ipotizzare scenari di un passato antico che agli occhi del lettore risultano credibili, e a delineare dei personaggi talmente palpitanti di vita da far pensare che possano essere realmente esistiti.

Il romanzo è un viaggio simbolico e concreto nella vita di Ben Hamir, un uomo testimone di eventi che hanno cambiato il corso della Storia. Nel suo viaggiare senza sosta conosciamo le terre di Roma e Gerusalemme del primo secolo dopo Cristo, percorse da conflitti e intrighi a opera di uomini potenti e ambiziosi, di cui Ben Hamir sarà involontario testimone e a volte refrattario alleato.

Lo scrittore dipinge un quadro storico, politico e filosofico di un secolo intriso di sangue e miserie ma anche segnato da figure illuminate, forti nel loro pensiero, determinate nelle loro azioni.

Lo stesso Ben Hamir, benché uomo all’apparenza comune, da figlio di una prostituta si troverà ad essere depositario di segreti inconfessabili, e a stravolgere la Storia con un gesto considerato erroneamente senza conseguenze.

La storia di Ben Hamir conosce parabole discendenti e momenti altissimi, mostra tutta la sofferenza e tutta la meraviglia di un’anima tormentata e vagabonda, e contrappone alla magnificenza e al lusso degli ambienti imperiali la saggezza e la ricerca della verità di un uomo che non si accontenta mai di ciò che vede, sente o percepisce.

Nell’ultima parte della sua vita Ben Hamir ricercherà infatti la solitudine, e abbandonerà ricchezze e amanti in favore di una meditazione sulla sua esistenza e sulla comprensione degli esseri umani.

Un protagonista tanto complesso non può non essere circondato da personaggi altrettanto intensi: ognuno di loro porta nella narrazione la propria personale visione del mondo, e mostra i lati più luminosi e quelli più oscuri dell’animo umano.

Nelle complicate o intime relazioni che questi personaggi intrattengono con Ben Hamir si mettono in scena i momenti più alti della narrazione, in cui è possibile ammirare uno scorcio di un’epoca lontana e a volte dai risvolti indecifrabili, e si costruiscono dialoghi talmente brillanti da sostenere da soli l’intera trama.

Il simbolo è un romanzo che eccelle nell’esporre le diverse prospettive da cui osservare la Storia e le storie degli uomini, e che sorprende nella sua rappresentazione di un’umanità varia e in conflitto con sé stessa, alle prese con il tormento di appartenere a qualcosa di più grande, che dia senso a una vita spesso incomprensibile.

Link: Free Magazine


© ekojournal

Nuova intervista a Damiano Leone, autore del romanzo storico:“Il simbolo”.

Damiano Leone è un appassionato studioso della storia antica e della letteratura classica. Pubblica per Leucotea i romanzi Enkidu (2012) e Lo spettatore (2015). Nel 2018 esce il romanzo storico Il simbolo (Gabriele Capelli Editore), che racconta l’avventurosa e drammatica vita di un uomo comune, Ben Hamir, il cui destino sarà legato a personaggi illustri, e le cui gesta contribuiranno a cambiare il corso della Storia.

«Quanta ricerca c’è dietro la stesura del romanzo Il simbolo? Idealmente si immagina che uno scrittore di genere storico viaggi per il mondo esaminando fonti e cronache del periodo, aggirandosi in antiche biblioteche e spulciando in polverosi libri. Lei come ha organizzato il suo lavoro?».
Anche se conoscevo piuttosto bene il periodo storico, solo la ricerca preliminare eseguita su fonti d’epoca e attuali è durata più di un anno. Poi, in effetti, e come ci si immagina idealmente, ho messo a frutto numerosi viaggi in Italia e in diversi luoghi dell’area mediterranea. Assieme ad attente visite di musei e siti archeologici, queste esperienze accumulate nell’arco di un ventennio sono servite come base sia per la composizione che per un’ambientazione realistica del romanzo.

«Ben Hamir è quel tipo di personaggio che nelle mani giuste diventa un protagonista indimenticabile. Riesce a catturare l’attenzione del lettore cancellando la distanza temporale ed esperienziale, facendolo immedesimare totalmente con la sua storia. Qual è stata l’idea di partenza del personaggio, e da cosa o da chi è stata ispirata?».
L’idea di partenza è che la storia non è quasi mai determinata da un singolo personaggio. Per quanto sia abile e autocrate, accanto a lui ci sono sempre individui che lo hanno sostenuto, ispirato e a volte condizionato. Ma spesso di questi uomini e donne la storia ci dice ben poco se non nulla. Gli esempi sono veramente tantissimi, ma solo per citare alcuni come Bagoa il persiano divenuto intimo di Alessandro Magno, Aspasia, seconda moglie di Pericle, Antinoo, pupillo dell’imperatore Adriano, è ampiamente risaputo come abbiano influito su quelle grandi figure che hanno fatto la storia.

«Un romanzo come Il simbolo può essere considerato il lavoro di una vita: traspare infatti tutta la passione e la conoscenza che ha messo al servizio dei lettori. Non c’è un capitolo, neanche una singola scena, che sia irrilevante per la storia, non c’è un personaggio che non trasudi umanità e non c’è accadimento storico che non sia stato studiato e riportato fin nei minimi dettagli. Come si è sentito quando ha messo la parola “fine” al suo romanzo? E soprattutto, quanto tempo le è costato mettere quella piccola e per uno scrittore difficilissima parola?».
Innanzitutto voglio ringraziare per questo gentile e gradito apprezzamento alla qualità del mio lavoro. Quanto alle sensazioni sperimentate in prossimità di concluderlo, posso dire che erano diverse e contrastanti. Ad esempio non nego una certa soddisfazione per l’esser riuscito a portare a termine un romanzo così ricco di eventi storici ben documentati, ma anche di personaggi e situazioni fortemente coinvolgenti: però, assieme a questa sensazione, c’era una sorta di malinconia per dover ormai salutare personaggi che, quale fosse la loro natura e profilo psicologico, erano diventati ormai così reali da considerarli assai più che mere ricostruzioni caratteriali.

«L’erotismo e la raffigurazione del sesso nelle sue varie accezioni è un tema privilegiato del romanzo; lo stesso protagonista, Ben Hamir, riesce a farsi strada nella vita e tra i potenti proprio in virtù delle sue arti amatorie. Trovo sia stata una scelta coraggiosa inserire in un romanzo storico un argomento spesso ancora tabù, e non posso che constatare come sia stata anche una scelta vincente, perché ha dato quel tocco stuzzicante e originale a un genere che difficilmente è letto dai più giovani. Cosa l’ha spinta ad approfondire il lato erotico della vita nella Roma Imperiale, e a dotare il suo protagonista di una particolare abilità in campo sessuale che poi sarà fondamentale per la sua storia?».
L’importanza dell’erotismo nell’antichità, e non solo in quella romana, è documentata in molti testi sopravissuti ai millenni e giunti fino a noi. I vari aspetti dell’eros erano descritti senza troppi pudori non solo nella letteratura, ma pure in tutte le arti con esempi assai pregnanti ed espliciti. Accanto a questa realtà che sarebbe fuorviante ignorare, c’è la semplice considerazione che l’eros è sempre stato, e lo è ancora, il più potente padrone degli impulsi umani. Esso non solo crea la vita: ma che sia espresso in modo schietto o sublimato, è la vita.

«Il simbolo che dà il titolo al romanzo è l’anello che viene donato da Tiberio a Ben Hamir, e che gli apre le porte dell’Impero. Nel corso della narrazione si ha però la sensazione che il simbolo abbia diverse interpretazioni, e che non si riferisca solo all’oggetto suddetto. Qual è il vero significato o i significati del titolo?».
In effetti, il titolo non si riferisce soltanto al sigillo imperiale. La parola Simbolo deriva dal greco “sym-bolon” ciò che unisce: e sono davvero molte le cose che uniscono gli uomini. Ad esempio la passione o l’ideologia politica, la religione, lo sport, il cameratismo di uomini che combattono sotto lo stesso vessillo o semplicemente per proteggere i loro cari. Ma soprattutto vuole rappresentare ciò che più al mondo e al di là di qualsiasi differenza di etnia, religione e cultura, riesce a unire nella gioia due esseri umani: e cioè l’amore.

«Qual è stato il momento del romanzo che le è costato più coinvolgimento emotivo, e per cui è stata difficile ogni singola parola spesa per descriverlo?».
Un passo difficile è stato quello in cui narro la drammatica fine dell’ultimo figlio di Ben Hamir. Pur cercando di limare i tratti più crudi della vicenda riportata peraltro dal cronista Flavio Giuseppe che era al seguito delle legioni di Tito durante l’assedio di Gerusalemme, dovevo riuscire a esprimere efficacemente tutta la disperazione straziante di un padre di fronte a tale perdita. Cosa non facile perché, fortunatamente, ben pochi uomini al mondo hanno dovuto sperimentare quell’esperienza.

«A esclusione di Ben Hamir, quale personaggio del romanzo Il simbolo sente più vicino, e per cui prova un particolare attaccamento?».
In sincerità, visto il coinvolgimento necessario per riuscire a ritrarli per così dire a tutto tondo, non mi sento di fare grosse distinzioni. Comunque, per la sua grande tensione ideale Gesù di Nazareth, per la saggia umanità Nadir il tutore di Ben Hamir, e il tormentato imperatore Tiberio, occupano forse un gradino sopra la media.

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© LecceNight

Il simbolo di Damiano Leone: un romanzo storico che lascia il segno

Poco lontano da una spiaggia di Apollonia, antica colonia greca, siede un vecchio. Di fronte a lui, il mare, un piatto di fave riscaldate, il cielo che albeggia e un forestiero venuto da Atene, che porta con sé domande e interrogativi. Sciolte le formalità e la lingua con del vino libanese, l’inaspettato interlocutore offre all’anziano l’opportunità di raccontare la propria storia. Una storia lunga come i suoi candidi capelli, inquieta come le braci del suo focolare, tormentata come la tempesta che ha portato il viaggiatore a inciamparvi, lì, ai confini dell’impero.

Inizia così l’ultimo lavoro di Damiano Leone, Il simbolo, un corposo romanzo storico che fa della storia, per l’appunto, la propria chiave di volta. Incorniciata dal classico espediente del racconto nel racconto, la trama prende l’avvio dall’infanzia del protagonista, Ben Hamir, il figlio di una prostituta di Sidone che muove i primi passi tra le storture della vita nel primo secolo dopo Cristo.

L’impatto con il prossimo non è, infatti, convenzionale, né tantomeno gentile: forzato dalla madre a vendere il proprio corpo, il giovane impara sin da subito a venire a contatto non solo con pelle, muscoli e umori, ma anche con debolezze, vizi e ombre dell’animo umano, sparsi tra le genti quasi a ricalcare l’eterogeneità di colori, sguardi e sapori dell’immenso impero di Roma. Gli avvenimenti mantengono inizialmente toni foschi, sui quali si stende più di una volta l’ombra dell’omicidio, e contribuiscono a instillare nel protagonista il desiderio di stravolgere la propria condizione, prima di tutto abbandonando quella terra d’Oriente in cui non sembra esservi altro che turpitudine. È così che inizia il lungo viaggio di Ben Hamir, che, da est, si sposterà continuamente lungo lo scorrere delle pagine, da un’Atene filosofa a una Sicilia agricola, fino alla profondità del cuore di Roma. Sarà proprio questa città a costituire una svolta nella vicenda del giovane: continuando a praticare l’arte amatoria, ma con un ruolo attivo e consapevole delle proprie capacità di seduzione, Ben Hamir scoprirà che tra le lenzuola si insinuano, sottili come i loro fili, le trame della politica e del tradimento, i meccanismi reconditi della società e innumerevoli, potenti segreti. Inizia così per il protagonista un’attività redditizia che, favorita da una “dote” naturale, lo porterà ad accedere alle domus più influenti di Roma e, letto dopo letto, addirittura alla residenza dell’imperatore. Sarà proprio con quest’ultimo, così, che grazie a una singolare successione di eventi il giovane, nato schiavo, intratterrà un dialogo profondo e porrà le basi per un legame affettivo dalla svolta inaspettata. Ma l’incontro con personalità di spicco non termina a Roma, perché il viaggio riprende, e Ben Hamir incrocia lo sguardo con nuove genti e nuove usanze, vivendo quasi involontariamente straordinarie storie, amori e amicizie che lo portano a tornare nuovamente verso est, verso la Palestina di Jeshua di Nazareth e di un nuovo credo, destinato a segnare le sorti del mondo occidentale.

Il “simbolo” a cui riferisce il titolo assume diverse identità. È il sigillo che il protagonista riceve dall’imperatore, a suggellare il legame che li unisce; è il sesso, la chiave che, facendo leva sulla dissolutezza, dal piano fisico accede a un livello razionale popolato da inganni e cospirazioni; è la croce di Gesù, con il quale Ben Hamir condividerà, inaspettatamente, la fine terrena.

Sono molti, quindi, gli spunti che questo romanzo mette sul piatto, cercando di inserire all’interno di una vicenda condita di dettagli fatti, pensieri e avvenimenti storici di varia natura. C’è la Storia con la “s” maiuscola, che si dipana su di un piano fortemente realistico e talvolta affine alla cronaca, ricostruita con una straordinaria perizia di particolari, di descrizioni di ambienti, abiti, cibi e architetture ma anche di atteggiamenti e idee coerenti con il contesto geografico. Ad Atene si parla di filosofia, a Roma di potere, a Gerusalemme di guerra e di religione; e tutt’intorno si vivono, profondamente, i cambiamenti dell’impero. C’è poi la vicenda umana di Ben Hamir, un’esistenza apparentemente semplice che, scorrendo parallela alla storia, finisce con il rimanervi invischiata, con l’interferire con essa e, addirittura, con il modificarla in maniera determinante. C’è molto sesso, ci sono diversi colpi di scena, c’è una grande quantità di personaggi che gravita intorno al protagonista come una scia di meteore senza fissa direzione; e c’è addirittura il seme di riflessioni più profonde sul senso dell’amore e della vita, di morte e di rinascita. Il grande calderone in cui l’autore getta tutti questi elementi, a prima vista disgiunti, assume tuttavia, a dispetto della quantità di pagine, una direzione piuttosto ordinata, distesa sui fatti storici come un vestito un po’ largo che si adatta a un pubblico decisamente ampio. Il segreto del romanzo sta nell’ordinario che diventa straordinario, in quella sorta di “effetto farfalla” che il protagonista opera involontariamente quando, con un gesto o una parola, stravolge il corso degli eventi. Sta nella semplicità di un uomo che, vagando per il Mediterraneo alla ricerca di se stesso, incontra gli altri, quegli “altri” che, quasi per caso, reggono le sorti del mondo allora conosciuto; e sta nella disarmante sincerità che egli dimostra di fronte a essi, quasi immune, talvolta, al loro magnetismo. Ben Hamir è uno di tanti, è la variabile inaspettata che, a sorpresa, finisce per “fare” la storia.

Il libro avvince, diverte, non annoia; scorre e si sviluppa senza intoppi, a metà tra una lettura leggera e un testo impegnato, in grado di strizzare l’occhio agli appassionati di storia antica soddisfando intelligentemente, allo stesso tempo, un’audience generalista.

Link: lecce.nightguide.it


© Lettera43 – 39 steps, un blog di Stefano Gallone
27 novembre 2018

Tra caso, destino e volontà divina. “Il simbolo” di Damiano Leone

Scrivere un romanzo storico può essere stimolante e intuitivo, persino dilettevole per chi ha dimestichezza – sia essa passionale o professionale – con il dato documentaristico legato alla ricostruzione di eventi, contesti e personaggi realmente esistiti, anfratti spazio-temporali all’interno dei quali inserire le proprie invenzioni e lasciarle interagire con la frazione di umanità prescelta.

Umanità, Storia, esistenze reali. Tutti elementi che si trasformano in pane quotidiano per chi ricerca nel dato di fatto il proprio serbatoio di contenuto. Tutti riferimenti, però, che rischiano di essere messi in discussione – e per questo preservati dallo scopo stesso dell’opera – quando il riferimento storico selezionato ricade sulla figura di Gesù di Nazareth. Umano? Artefice di giri di boa millenari? Realmente esistito?

È proprio un bel dilemma, dunque, quello su cui sceglie di soffermarsi Damiano Leone per il suo nuovo e corposo romanzo Il Simbolo (Gabriele Capelli Editore, 616 pagine). Un dilemma che viene, però, abilmente aggirato grazie alla sontuosa predisposizione solo apparentemente animistica e spirituale che l’autore, con grande consapevolezza, trasforma in importante concretezza ideologica.

Il Simbolo ruota attorno alla figura di Ben Hamir, figlio di una prostituta della Palestina dominata dalle legioni romane. L’epoca cardine (perché il romanzo segue l’intera vita del protagonista) è, come anticipato, quella in cui Gesù di Nazareth si espone per ciò che tutti conosciamo. Ben Hamir è un ragazzo pieno di dubbi e incertezze relative al suo esistere, ma trova appoggio emotivo nell’affetto reciproco che si instaura tra lui e uno schiavo comprato per fargli da tutore. Un evento delittuoso, però, costringe Ben Hamir a fuggire: da qui, dunque, ha inizio un vero e proprio viaggio per il mondo grazie al quale il giovane può prima sviluppare le sue doti intellettuali ad Atene, poi esporre le sue grazie amorose in quel di Roma divenendo gradito ospite di sontuosi palazzi nobiliari. La politica imperiale lo coinvolge a tal punto da diventare amico intimo di Tiberio, prima di fare ritorno in Palestina per volere dell’imperatore. Sarà qui che il giovane, costretto a svolgere il ruolo di informatore imperiale, maturerà imponenti forze contrastanti che evolveranno, certo, il suo animo ma, per contro, gli procureranno non pochi problemi socio-politici nel momento in cui verrà a confronto con l’artefice di ciò che andrà oltre ogni sua immaginazione.

Individuare nella figura di Gesù di Nazareth un perno sostanziale su cui ruota il pilastro portante di una narrazione così imponente e importante può essere un rischio data proprio l’intangibilità, per molti, della realtà materiale riguardante il riferimento prescelto. Certo, la scelta simbolica (per l’appunto) forse la dice anche un pochino lunga sull’assenza di padri spirituali nell’epoca contemporanea. In fin dei conti, però, il ruolo del romanzo storico resta sempre quello di fare i conti col presente e ipotizzare un potenziale futuro sulla base di un infinito retroattivo a dir poco fondamentale per comprendere la nostra natura di esseri umani, fatta di carne, ossa e anche molto altro.

Proprio a tale scopo – e senza mai scadere in futili e sterili religiosismi iconici e dogmatici – Leone intavola una vera e propria sovrapposizione di spazio e tempo tra la contemporaneità e l’epoca presa come riferimento, allo scopo di sviscerare – più che dati, fatti e documentazioni – quanto di più elevatamente umano si annida nell’apparente contrapposizione tra pragmatismo politico e predicazione spirituale. Attraverso le notevoli pagine de Il simbolo, infatti, a far combaciare questi due poli opinatamente opposti è la loro medesima trattazione in forma di trampolino di lancio per un’evoluzione umana che guarda prevalentemente alla scoperta del sé e allo sviluppo di una coscienza come fulcro per un ripensamento spirituale odierno.

Se è vero che una religione – almeno per il dato Cristiano – è prima di tutto una filosofia di vita, allora la coraggiosa operazione di Leone appartiene all’audace tentativo di comprendere il grande mistero che si annida nell’essere umano attraverso un’opera complessa, certo, ma molto accurata nella trattazione dei personaggi e intelligentemente delicata nel delinearne ogni sfumatura necessaria a comprenderne le motivazioni interiori anche più oscure e controproducenti.

La stima reciproca che si instaura tra Ben Hamir e il Gesù di Nazareth visto da Leone è un concetto chiave che pone l’accento proprio sulla possibile resa che l’individuo dispone dinanzi all’incertezza tra casualità, destino e volontà divina, fato e predisposizione superiore, al solo servizio di entità più grandi di ognuno di noi, siano esse Dio, tempo, spazio o meccaniche universali.

Difficile trovare simili letterari, oggi, di tale portata emotiva, fruibilità e coraggio produttivo.

Link: Lettera43 – 39 steps


© WebMagazine24, 22.11.2018

Intervista a Damiano Leone, autore del romanzo storico Il simbolo

L’autore Damiano Leone ha svolto la professione di chimico, prima di dedicarsi alla produzione artigianale di repliche d’armi e armature antiche. Da questa passione è nata la necessità di studiare a fondo la storia antica, l’arte e la letteratura classica.
Dopo il suo ritiro dall’attività lavorativa ha trovato il tempo per realizzare un’altra sua grande ambizione: quella di dedicarsi attivamente alla narrativa. Pubblica per Leucotea i romanzi storici Enkidu nel 2012 e Lo spettatore nel 2015, mentre per Gabriele Capelli Editore esce Il simbolo nel 2018.

«Per chi ha amato il suo terzo romanzo Il simbolo e vuole conoscere il suo lavoro più a fondo, ci racconta di cosa trattano le sue due precedenti opere, Enkidu e Lo spettatore?».

Enkidu, il primo dei miei lavori a essere pubblicato dalle Edizioni Leucotea è anch’esso un romanzo storico. Ambientato nell’antica Mesopotamia e ispirato all’Epopea di Gilgamesh, narra le vicende del famoso re di Uruk e del suo amico Enkidu. L’opera originale incisa su tavolette d’argilla risale a circa cinque millenni fa, e questo ne fa il più antico poema dell’umanità di cui sia rimasta traccia scritta. Molto in sintesi, nel romanzo ho cercato di offrire interpretazioni razionali ad avvenimenti avvolti nell’alone della magia e della superstizione, restituendo al protagonista una dignità umana che sicuramente gli competeva. D’altra parte, come spiegare altrimenti la trasformazione del grande re di Uruk, dapprima noto per la sua sfrenatezza, nell’equilibrato pastore di popolo che poi ogni tradizione successiva gli attribuisce? Quanto a Lo spettatore secondo romanzo anch’esso pubblicato con Leucotea, pur includendo vari episodi risalenti a epoche diverse non è propriamente un romanzo storico: quanto una valutazione disincantata della nostra presunta grandezza, intellettuale ed etica, come razza dominante del pianeta. Attraverso una trama ricchissima e articolata in cui l’orizzonte degli eventi non riguarda solo il nostro minuscolo mondo, o il nostro tempo, il protagonista acquisisce gradualmente coscienza di sé e delle condizioni umane, ponendo e rispondendo alla domanda principe tanto in voga di questi anni: l’umanità riuscirà a sopravvivere a se stessa… e soprattutto lo merita veramente?

«Il personaggio di Fedone, colui che ascolta la storia del protagonista de Il simbolo Ben Hamir, non può non rammentare l’omonimo filosofo greco, che diventa voce narrante del Fedone platonico. L’opera di Platone ha come tema fondamentale l’immortalità dell’anima, e non sembra un caso che proprio questo misterioso personaggio diventi il depositario della storia della straordinaria vita di Ben Hamir, e che la possa tramandare ai posteri, eternando le sue gesta e rendendolo quindi immortale. C’è un criterio nella scelta dei nomi dei personaggi del romanzo? Quali di loro hanno significati che contribuiscono a dare un valore aggiunto alla storia raccontata?».

Certamente, come da voi giustamente osservato e interpretato, il nome di Fedone non è casuale. Per quanto riguarda altri personaggi inventati, che però non sono poi molti in tutto il romanzo, anche qui ci sono significati nascosti. Ad esempio Susannah, il cui nome ebraico è anche quello di un profumato e bellissimo fiore di campo, vuole sottolineare la bellezza genuina e il carattere dolce ma anche fiero della compagna più amata da Ben Hamir. Poi Jezebel, la madre di Ben Hamir porta il nome della regina moglie di Achab che la tradizione ebraica dipinge come archetipo di corruzione e dissolutezza femminile. Anche la sua morte, cadendo l’una da un terrazzo e l’altra gettata dalla finestra, accomuna le due figure. Infine ci sono alcuni personaggi tratti dalla vita reale come il gladiatore Ganthar e il centurione Lucio di cui non voglio dare altre indicazioni per ovvi motivi: ma pure il vecchio Rufo, nobile di antica data ridotto in miseria dal vizio del gioco. Per finire, e spero di non aver ecceduto ma non ho saputo trattenermi, anche il nome latino di uno dei discendenti di Ben Hamir è preso a prestito da quello di mio figlio.

«Che cosa significa per lei essere un narratore della Storia? Che responsabilità comporta raccontare di eventi tanto lontani dalla contemporaneità, costruendoci intorno storie e personaggi inventati che interagiscono con momenti e persone realmente esistiti?».

Sono ben consapevole della responsabilità di narrare, oltre che vicende romanzate, veri e propri avvenimenti storici. Io stesso non sopporto letture che riportino clamorose incongruenze con eventi reali, o comunque accettati dalla storiografia moderna. Forse per questo sono stati necessari più di tre anni per scrivere il romanzo: perché ho voluto fare molta attenzione a non falsare nulla di quanto documentato, infilando eventi e personaggi solo nelle pieghe della storia dove, reperti archeologici, cronache e letteratura, non sono ancora riusciti a gettare piena luce.

«Una parte importante del suo romanzo è dedicata alle storie d’amore, indagate nelle loro diverse esternazioni. Commuove l’amore puro e disperato del giovane Ben Hamir per Miriam, e ancora di più il sentimento profondo e totalizzante che lega la stoica schiava Lin al coraggioso gladiatore Ganthar. Questi ultimi danno a Ben Hamir una grande lezione di vita, che cambierà per sempre le sue prospettive e che lo spingerà a riflettere e a mettersi in discussione. Chi è diventato il protagonista alla fine della sua vita, quando lo incontriamo su una spiaggia solitaria, lontano dal mondo? Che cosa ha imparato da tutti coloro che ha incontrato sulla sua strada?».

Nelle ultime pagine del romanzo Ben Hamir fa un’affermazione che rivela il suo stato d’animo nel definire se stesso e nel considerare le innumerevoli esperienze accumulate nel corso degli anni: “Ho sfiorato il fulgore degli astri al vertice dell’impero e sono sprofondato nella miseria e nella disperazione. Sono stato donna e uomo assaporando il piacere in tutte le sue forme: ho osservato da vicino la luce del bene come l’orrido, oscuro baratro del male, l’egoismo e l’amore, la serenità di una famiglia o la spaventosa follia della guerra. Ed io stesso, di volta in volta, ne ho sperimentati nella carne e nello spirito la dolcezza o l’amaro…” Direi quindi che è diventato un individuo abbastanza cosciente di essere semplicemente un uomo e, allo stesso tempo, in grado di accettare con coraggioso orgoglio tutto il fardello di questa consapevolezza.

«Colpisce nel romanzo l’eterogeneità del mondo femminile: vi sono figure tragiche come Lin, altre angelicate come la Miriam della gioventù di Ben Hamir o ancora perfide e contro natura come la vedova Miriam, madre di uno dei suoi figli. E poi c’è la rappresentazione dell’erotismo e della spregiudicatezza che non risparmia neanche il sangue del proprio sangue, Jezabael, e ancora la figura di donna che è tutt’uno col potere e con la ricchezza, incarnata dall’ambiziosa moglie di Seiano. Che ruolo hanno, e che valore apportano alla storia i personaggi femminili del suo romanzo?».

Così come nella vita reale dove ogni persona possiede un proprio carattere ben definito, anche nel romanzo ho badato a delineare al meglio le varie personalità. Il valore apportato dai personaggi femminili, che sono assai spesso motore delle vicende e quindi rivestono sempre ruoli di grande importanza, è quello che detiene tutt’oggi l’altra metà del cielo: quello di condizionare, o addirittura di determinare direttamente ogni aspetto della società.

«Tra i tanti personaggi con cui Ben Hamir interagisce, rimane impressa la figura di Nadir, uno studioso ridotto in schiavitù e comprato dalla madre del ragazzo per fargli da tutore. Un uomo tutto d’un pezzo, estremamente generoso e votato al sacrificio; un faro nella vita spesso oscura del protagonista. Vuole raccontarci qualcosa di lui? È un personaggio nato dalla sua fantasia, o ha preso spunto da una o più figure realmente esistite?».

Collegandomi innanzitutto alla domanda precedente sui criteri che hanno determinato la scelta dei nomi, devo rivelare che il soprannome di Nadir, che in realtà si chiamava Nearco, deriva dall’arabo Nazir, che è la direzione direttamente verticale del luogo in cui ci si trova. Forse datogli da un mercante di schiavi per ironizzare su quel corpo minuscolo, deforme e chinato verso terra, rivela invece ben altri significati considerando che nascondeva una grande anima capace di esprimere e trasmettere le più alte virtù. Quanto alla genesi del personaggio ammetto che è di fantasia, sebbene sia ispirato da non pochi filosofi che in ogni tempo e luogo hanno destato ammirazione per le loro qualità umane e intellettuali.

«Il romanzo Il simbolo si presterebbe molto bene a una trasposizione cinematografica. Lei cosa ne pensa?».

Anche se più di qualche lettore mi ha scritto auspicando con entusiasmo una versione cinematografica, chi mai mi crederebbe se dicessi che non me ne importa? Quindi sì, sarebbe una faccenda interessante da seguire. Però ho ben presente che ci sono grandissimi romanzi storici mai presi in considerazione dal cinema, mentre altri, a volte piuttosto scadenti, sono stati scelti per esser trasposti sul grande o piccolo schermo. Inoltre bisognerebbe vedere cosa ne trarrebbe un regista: perché non sono sicuro che un romanzo così complesso e movimentato come Il simbolo che copre un secolo di storia mediterranea e narra di tanti personaggi di spicco, possa esser facilmente concentrato in un paio d’ore di proiezione. Certo, ci sono anche registi di altissimo valore che probabilmente ci riuscirebbero… ma questo, forse, sarebbe sperare troppo!

Link: WebMagazine24


© Leggere Tutti – Novembre 2018

Damiano Leone
Il simbolo

Gabriele Capelli, 2018
pp. 616, Euro 23,00

Poco lontano da una spiaggia di Apollonia, antica colonia greca, siede un vecchio. Di fronte a lui il mare, il cielo che albeggia e un inatteso forestiero venuto da Atene, che gli offre l’opportunità di narrare la propria storia.

Una storia lunga come i suoi candidi capelli e inquieta come le braci del suo focolare.

È l’inizio de Il simbolo di Damiano Leone, un romanzo storico che racconta l’infanzia di Ben Hamir, figlio di una prostituta di Sidone che si muove tra le storture della vita nel primo secolo dopo Cristo, e il lungo viaggio che lo porterà verso Atene e infine Roma.

La particolarità del romanzo sta nell’“effetto farfalla” che Ben Hamir opera involontariamente quando, con un gesto o una parola, stravolge il corso degli eventi; sta nella semplicità e umiltà di un uomo che, vagando per il Mediterraneo alla ricerca di sé stesso, incontra coloro che reggono le sorti del mondo. Ben Hamir è uno dei tanti, è la variabile inaspettata che, a sorpresa, finisce per cambiare la storia.

Irena Trevisan


© Rvl La Radio

Per #UnLibroAllaRadio Damiano Leone presenta “Il Simbolo”

Damiano Leone risponde ad alcune domande sul suo nuovo romanzo “Il simbolo”.

Link: Rvl La Radio – Radio Verbania


© Outsiders webzine

“Il Simbolo”: l’affresco storico di Damiano Leone, tra sesso e intrighi di potere

Un romanzo storico avvincente e controverso, pubblicato da Gabriele Capelli Editore: Damiano Leone ci trasporta indietro nel tempo tra le sabbie di una Palestina ancora nella morsa dell’Impero Romano, seguendo le gesta di un eroe atipico e affascinante.

La parabola esistenziale del protagonista Ben Hamir è una vera e propria Odissea nel mondo Classico, dal Medioriente alle legioni di Tiberio e Ponzio Pilato, passando per le poleis greche. La sua vicenda coinvolge mondi e culture lontani, provando ad unire i puntini nel complesso piano cartesiano della Storia. In un certo senso, o per lo meno vista da un certa prospettiva, la vicenda potrebbe far pensare alle ormai celebri peripezie di Massimo Meridio, ovvero il Gladiatore scolpito nella memoria collettiva grazie alle pellicola da Oscar di Ridley Scott. Bene inteso: i personaggi sono completamente diversi. Entrambi i personaggi si ritrovano certamente a “lottare” per la propria sopravvivenza: il primo nell’arena sportiva, il secondo in mezzo al filo spinato degli intrighi di palazzo. Ed entrambi si ritrovano a dover affrontare qualcosa che pensavano di essersi lasciati alle spalle.

Se però l’eroe romano inizia una drammatica parabola discendente frutto di un complotto alle sue spalle, il protagonista de “Il Simbolo” si configura invece come il classico esempio di ascesa sociale, nel quale si arriva a compromettersi pur non volendolo, rimanendo invischiati nelle pericolose sabbie mobili del potere.

Ben Hamir però non è soltanto di estrazione sociale bassa. La sua ascesa sociale coincide con la fuga da un mondo di squallore. La madre infatti lo costringe a prostituirsi sin da piccolo: Hamir, crescendo ne farà una vera e propria professione, che da un lato contribuirà ad aprirgli alcune porte, dall’altro lascerà sulla sua anima ferite indelebili. In questo senso il sesso sarà una chiave di lettura e di volta fondamentale nel dispiegarsi della vicenda, oltre che un’arma a doppio taglio. Ma, in camera da letto come altrove, Leone non trascura affatto la ricostruzione storica e spesso anche sociologica, non lesinando in dettagli “forti” così come in riflessioni argute.

Da un lato siamo “rassicurati” dal fatto che, nell’incipit del racconto, siamo “accolti” dal Ben Hamir da vecchio, che inizia a raccontarci la sua Storia; dall’altro i colpi di scena non mancano, nel magma caotico di intrighi che si susseguono tra una regione e l’altra. Il “simbolo” del titolo? Non poteva che essere un anello – come ci suggerisce la copertina del volume – storicamente uno degli oggetti dall’aura quasi sacrale, quasi sempre simbolo di una investitura che può essere salvifica oppure condannare all’oblio. Hamir lo riceverà dall’Imperatore Tiberio, col quale coltiverà un rapporto speciale, fino al complicarsi della matassa. Il Simbolo sarà un lascia-passare o un feticcio inutile?

La tematica dell’amore e della prostituzione omosessuale risulta più “scomoda” al pubblico di oggi che ai contemporanei e questo dovrebbe fare riflettere. Damiano leone è bravo a mescere elementi cari al romanzo storico più ortodosso con trovate più fresche e accattivanti. In tal senso, resta la voglia di capire se di questo romanzo ci saranno dei nuovi episodi…

Link: Outsiders webzine


© IndieLand Radio

Rubrica #bookland dedicata allo scrittore Damiano Leone per il suo nuovo avvincente romanzo “Il simbolo”.

Dal minuto 9:45 fino ai 21:54 lunga intervista a Damiano Leone sul suo ultimo libro “Il simbolo”.

Link: Intervista IndieLand Radio


© lsdmagazine – 25.10.2018

Il simbolo, l’accurato romanzo storico di Damiano Leone (Gabriele Capelli Editore)

È vivace ed eterogeneo come un antico affresco l’intreccio de Il simbolo, romanzo di Damiano Leone edito da Gabriele Capelli. Proprio come un intonaco dipinto intaccato dal tempo, muove sulla scena personaggi, ambienti e situazioni scaturiti direttamente da un lontano passato, disposti all’interno di una trama complessa come gli strati di un supporto pittorico.

Non è semplice racchiudere in più di seicento pagine quasi un intero secolo di storia, riuscendo allo stesso tempo a evitare l’effetto “polpettone” di cinematografica memoria. A maggior ragione se il genere di riferimento è quello dello sword and sandal che, se rinato e svecchiato negli anni Duemila, affonda le proprie radici addirittura nella metà del secolo scorso e che, in libreria, si confronta con saghe che portano i nomi di Harris, Manfredi e Jacq (e non scomodiamo, volutamente, un certo Sienkiewicz – siamo ben lontani, qui, da quel pianeta).

Leone, tuttavia, pur con dei limiti, riesce nel colpo. E non importa se con lunghi resoconti di fatti ispirati agli antichi annali o con scene che cavalcano vagamente l’onda delle Cinquanta sfumature, se con un’inverosimile incursione nei Vangeli o con dettagliate descrizioni di un contesto storico-geografico molto amato (e quasi abusato) da scrittori più o meno di talento. Il ritmo c’è, e, chiudendo un occhio, la verosimiglianza pure.

C’è un protagonista accattivante, Ben Hamir, un bel giovane che muove i suoi primi passi agli estremi orientali dell’impero romano, forzato a prostituirsi da una madre con un esasperato complesso di Edipo all’incontrario. È dal desiderio di riscatto di questo ragazzo che la trama prende l’abbrivio, dando inizio a un lungo viaggio che porta il protagonista – un novello Odisseo dalle straordinarie doti amatorie – a balzare da una parte all’altra del Mediterraneo d’influenza romana, dall’Egitto alla Sicilia, dalla Grecia a Roma, da Gerusalemme di nuovo a Sidone, in una tournée popolata di personaggi variegati. In questa versione light di un romanzo di formazione, dove il percorso di cambiamento si fa materiale e il viaggio si fa concreto, vorticano tra le pagine gladiatori innamorati, anziani precettori, imperatori depressi e donne perennemente eccitate che sembrano scivolare come seta su di un protagonista irrequieto, che si ritrova a modificare il corso della storia come un curioso testimonial della teoria del caos. Ben Hamir si sposta, parla, agisce; riesce a saltare a due a due i gradini della scala sociale, giungendo rapidamente – e, incredibilmente, proprio grazie al sesso – a divenire il confidente dell’imperatore Tiberio (e senza apparenti atteggiamenti da parvenu).

Se il contesto è preciso e storicamente accurato, sembra incredibile la capacità del protagonista di inciampare in grandi personalità: un incontro-scontro con un prefetto del pretorio, una cena sui triclini del Cesare, una passeggiata fortuita accanto a un uomo che si fa chiamare Jeshua e che in Palestina sta cambiando i cuori degli uomini. Stessa modalità si applica agli eventi: la morte dell’imperatore, le cospirazioni di corte, la crocifissione del Messia, persino l’assedio di Gerusalemme con la caduta del Tempio; Ben Hamir c’è, c’è sempre, come avrebbero voluto esserci in molti, a vivere in uno dei secoli più “densi” dell’antichità. E, intorno a lui, la minuzia di particolari di contesto, evocati da complesse descrizioni di luoghi e di genti, a richiamare alla mente cubicoli affrescati, stanze illuminate da lucerne, vicoli lastricati, navi onerarie e capanni di pastori, in un mix vincente che trova nei dettagli il proprio carisma.

Il simbolo ha molte pagine, ma è decisamente leggero. Non è una lezione di storia, ma ne richiama la suggestione. Non è un racconto erotico, ma ha quel “soft” che piace. Non ha la pretesa di un romanzo di formazione, ma ne ricalca l’esperienza. Di certo sa parlare un po’ a tutti.

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© italianotizie.net – Attualità, libri

Il simbolo: la storia di un uomo che ha cambiato la storia

Damiano Leone racconta la sorprendente e drammatica esistenza di Ben Hamir, un uomo vissuto ai tempi di Gesù di Nazareth. La sua storia si apre su una spiaggia di Apollonia da cui il protagonista ormai anziano avvista una nave in avvicinamento. Ne scenderà lo storico Fedone, che diventerà il testimone del racconto di vita di Ben Hamir. L’anziano uomo ha l’occasione di ripercorrere le memorie di un’esistenza che ha lasciato profondi solchi sul suo viso, e che è rimasta chiusa nel suo cuore, dopo anni di isolamento dal resto del mondo: “a farmi compagnia rimangono solo i ricordi e il loro narrare diventa l’ultimo piacere consentito”. Inizia quindi un tragico ed emozionante racconto che porta Fedone e il lettore a conoscere la difficile infanzia del protagonista, preda di una madre egoista e spregiudicata, e a partecipare ai numerosi viaggi che lo conducono in età adulta ad Atene, a Gerusalemme e a Roma.

Ben Hamir assaggerà nelle sue peregrinazioni il fiele e il miele dei rapporti umani, conoscerà il vero potere e la ricchezza, si troverà immerso nella Storia e a sua insaputa contribuirà a modificarla. Il simbolo è un’epica con protagonista un uomo comune alla ricerca di sé stesso, in perenne conflitto con la sua anima. L’incontro con Jeshua ben Yusef rimane uno dei momenti più alti del suo percorso di vita: nelle loro “lotte” verbali, nel loro essere due uomini votati a diverse cause, nel loro rispettarsi nonostante le visioni divergenti, si mette in scena un intenso confronto filosofico sul senso della vita e dell’agire umano. La particolarità di Ben Hamir sta nell’essere polo d’attrazione per figure importanti che hanno segnato un’epoca, e così da Tiberio a Gesù di Nazareth, da Vespasiano a Ponzio Pilato si assisterà alla forza di un uomo che nella sua modestia e sensibilità terrà testa a veri giganti. Un potere che come una luce abbagliante emana dalla sua figura, e che contrasta con la sua vita interiore, tormentata e cupa. Ben Hamir è un personaggio chiaroscurale, un uomo dalle molte facce spesso in guerra tra di loro, che troverà una precaria pace nei momenti in cui capirà che “amare significa voler dare”. Accanto a un protagonista tanto vivo e interessante, meravigliosa è la gestione delle ambientazioni, impeccabile la ricerca storica, scorrevole e lirico lo stile della narrazione. Un romanzo che non lascia respiro, che nonostante la sua mole non annoia mai; una riflessione originale e a tratti brutale di un’epoca tanto lontana da noi ma che racconta i tormenti e le paure di un uomo più vicino di quanto si possa pensare.

Link: Italianotizie.net


© Oubliette Magazine – 23 ottebre 2018

Intervista di Leonardo Biccari a Damiano Leone: autore del romanzo “Il simbolo”

Damiano Leone è nato a Trieste nel 1949.
Da oltre un trentennio si dedica allo studio della storia antica, dell’arte e della letteratura classica, e da questi interessi è nata la passione per la scrittura.
Per Leucotea pubblica il romanzo storico Enkidu nel 2012, e Lo spettatore nel 2015.
Il simbolo (Gabriele Capelli Editore, 2018) è il suo terzo romanzo: un’opera che analizza sotto originali e interessanti prospettive la storia di Roma e di Gerusalemme all’epoca della vita e della morte di Gesù di Nazareth.

L.B.: È apprezzabile nel suo romanzo la cura per particolari che molti scrittori lasciano sullo sfondo o di cui non si interessano minimamente: dal cibo, alle vesti, alla descrizione minuziosa degli ambienti fino alle marginali (in apparenza) consuetudini dei personaggi nella vita privata. Il simbolo apre una finestra sul periodo narrato e ci permette di osservare da vicino, e soprattutto dalla prospettiva di un uomo semplice, ogni aspetto della vita degli uomini contemporanei a Gesù di Nazareth. Un periodo lontano, mitico, che nel suo romanzo diventa quasi familiare. Quanto lavoro c’è dietro un’opera tanto accurata, e come è riuscito a far immergere il lettore così profondamente nella storia?

Damiano Leone: Il lavoro è durato piuttosto a lungo: pur tenendo conto che il periodo narrato lo conoscevo già in modo approfondito, solo la ricerca storica per delineare trama e ambientazione è durata più di un anno. Poi, dopo la prima stesura durata altrettanto, parecchie riletture per definire al meglio i particolari del quadro. In totale sono stati circa tre anni di lavoro a tempo pieno. Quanto al modo in cui sarei riuscito a coinvolgere così profondamente i lettori, non saprei… forse, cercando di rendere il più possibile concreti e umani i personaggi e vivide le descrizioni di eventi e luoghi.

L.B.: Ben Hamir è un personaggio davvero fuori dagli schemi: pur non essendo attratto dal potere e dalla ricchezza si ritrova ad essere elemento fondamentale nei giochi politici di uomini che hanno fatto la Storia. Dal legame intenso che intrattiene con l’imperatore romano Tiberio, alla rivalità con il contradditorio e vendicativo Ponzio Pilato, Ben Hamir arriva da solo, e a sua insaputa, a cambiare il corso della Storia. Che prospettiva originale ha dato al romanzo un personaggio che non condivide i canoni degli eroi dei romanzi storici? Perché la sua scelta è ricaduta proprio su di lui?

Damiano Leone: L’idea di base era esattamente quella di narrare le vicende di un anti eroe: insomma, ero stufo di leggere le avventure di spaccamontagne in grado di sconfiggere interi eserciti con una mano sola, di fantasiose magie, oppure di cuori puri e virtù eccelse. Gli uomini non sono affatto così, anzi. Al contrario, non essendo un manichino tutto d’un pezzo e quindi dalla mentalità piuttosto limitata, a Ben Hamir potevo affidare una libertà d’azione, ma soprattutto di pensiero, totali. In grado di muoversi a suo agio negli ambienti più aristocratici dell’impero o nelle taverne malfamate della Suburra, poteva essere sia un raffinato amatore e confidente dei potenti che un guerriero rispettabilmente coraggioso: questo almeno, quando decideva che ci fosse un motivo veramente valido per mettere a repentaglio la vita su un campo di battaglia.

L.B.: Nel suo romanzo prova a dare un’interpretazione sicuramente originale ma non per questo fuorviante della vita e del successivo significato della figura di Gesù di Nazareth. Ben Hamir ha un ruolo chiave nell’alimentare una mitologia arrivata fino ai giorni nostri. Senza dare anticipazioni su uno dei punti più importanti dell’opera, ha mai pensato che la comunità religiosa potesse non gradire il modo in cui racconta della figura e della sorte di Jeshua ben Yusef?

Damiano Leone: Certamente: perché non sarebbe la prima né l’ultima volta che, se non all’intera comunità religiosa, alcune idee risultino indigeste presso certi ambienti più conservatori. Ma se rispettosa delle altrui convinzioni, credo che la libertà di pensiero e quindi di espressione debba comunque prevalere. Per finire, quando un qualsiasi Dio si degnerà di dimostrarmi in modo inconfutabile la sua esistenza, probabilmente mi inchinerò davanti a lui: ma fino a quel momento, dovrà darsi da fare parecchio per dimostrarmi di esserlo davvero.

L.B.: Nell’ultima parte della sua vita Ben Hamir ricerca la solitudine, stato fondamentale per comprendere il proprio cammino e le scelte intraprese. Il suo arco vitale è punteggiato di dolori, di perdite, di sogni infranti ma anche di avventure, amori e soddisfazioni. Qual è l’essenza del percorso di vita di Ben Hamir?

Damiano Leone: Credo di aver lasciato un buon indizio già nella dedica riportata nelle prime pagine del romanzo: e cioè che l’essenza del percorso di vita di Ben Hamir è identica a quella di chiunque, in ogni epoca e quindi anche oggi, si trovi a voler osservare la realtà senza veli, cercando di trovare la forza di vivere in se stesso.

L.B.: Come Fedone, personaggio che accoglie la malinconia di Ben Hamir e ne ascolta per intero la storia, così lei va alla ricerca del passato e delle sue vicende, anche le più piccole e sconosciute. Cosa significa per lei il lavoro di storico e di portavoce della Storia?

Damiano Leone: Non voglio né posso indossare i panni di un portavoce della storia: non ne ho certo i meriti. Come scrittore di romanzi direi piuttosto che ho voluto rendere più comprensibili il nascere e lo svilupparsi di certi grandi sommovimenti storici. E a loro volta, che le forze all’origine di questi, non derivano affatto da fredde considerazioni utilitaristiche e nemmeno da raffinate disquisizioni intellettuali o filosofiche, che poi in realtà hanno il solo compito di razionalizzarle: ma si radicano nelle profondità delle emozioni e delle passioni umane.

L.B.: La distruzione di Gerusalemme a opera dell’esercito di Tito Flavio Vespasiano è forse una delle parti del romanzo più drammatiche e sconvolgenti. Traspare il lavoro immenso di ricostruzione dei fatti, il minuzioso reperimento delle fonti, e la scrupolosa descrizione di tutti gli aspetti della vicenda, anche i più truculenti ma purtroppo reali, come la fame e la sete che hanno spezzato gli animi e reso folli migliaia di sventurati. Il simbolo racconta senza filtri del dolore, della solitudine e della cattiveria umana, ma anche di devozione, di amore e di passione, mostrando senza remore un erotismo che è stato ed è parte importante della vita degli uomini. C’è stato un momento in cui ha pensato che stava superando dei limiti dal punto di vista della violenza e della sessualità, e quindi ha limato alcuni aspetti, o è rimasto fedele a sé stesso e alle sue idee per tutto il romanzo?

Damiano Leone: A volte qualche dubbio mi era venuto: tuttavia, se gli autori antichi che sono le mie fonti hanno voluto descrivere anche gli aspetti estremi dell’eros e della violenza, come potevo io, in un’epoca che si proclama di libera espressione, tacerli?

L.B.: Su che periodo storico si sta concentrando attualmente? Può darci qualche anticipazione sul suo prossimo romanzo?

Damiano Leone: Quello su cui sto lavorando con l’editore Gabriele Capelli non è propriamente un romanzo storico perché in massima parte riguarda invece un prossimo futuro. Tuttavia ci sono alcune incursioni nel passato e soprattutto in quel passato in cui, guarda caso, è vissuto Jeshua ben Yusef.

Link: oubliettemagazine


© Il libro sulla finestra

Oggi parliamo di “Il simbolo” di Damiano Leone.

Parlando dei viaggi di Ben Hamir, ci racconti delle sue mete e di qualche particolare non incluso nel libro.

Ben Hamir nasce in Palestina ed è contemporaneo di Gesù di Nazareth che incontrerà, al culmine del suo vigore fisico e mentale, in uno dei momenti più drammatici della vita di entrambi. Prima di allora, accusato ingiustamente di matricidio deve fuggire e rifugiarsi in Grecia dove la sua educazione, già abbastanza completa grazie al tutore Nadir, sarà ulteriormente perfezionata. Oltre a questo scoprirà che le sue doti fisiche e caratteriali sono molto ambite non solo da alcuni individui del suo stesso sesso, ma pure dalle donne della miglior nobiltà ateniese. Ma un personaggio come lui susciterà presto gelosie e per sfuggire ad alcune spiacevoli conseguenze si imbarcherà per l’Italia e raggiungerà Roma. Grazie all’amicizia di molti potenti tra cui Germanico e Druso, ma soprattutto al sorprendente rapporto che instaurerà con l’imperatore Tiberio che gli svelerà un segreto inimmaginabile, otterrà la cittadinanza romana. Ma gli eventi che seguiranno al crollo di Seiano, di cui Ben Hamir è motore non trascurabile, convinceranno il protagonista ad abbandonare l’Italia. Dopo la visita ad Alessandria d’Egitto e una crociera sul Nilo, riceverà un dispaccio dall’imperatore con l’ordine di recarsi in Palestina: il luogo in cui è nato e dove governa il suo acerrimo nemico Ponzio Pilato.
E in Palestina, dopo aver incontrato Gesù di Nazareth e l’esser sopravvissuto per un soffio allo stesso supplizio della croce, incontrerà una donna capace di legarlo a sé come mai nessun’altra era riuscita a fare prima. Trascorreranno così anni sereni fino a quando, per proteggere se stesso ma soprattutto i suoi cari da una delle tante bande armate che allora imperversavano in Palestina, impugnerà le armi in una battaglia spietata e senza tregua. Ma l’esperienza, per quanto vittoriosa, lo induce a drastiche decisioni: per mettere al sicuro i suoi cari in modo definitivo deve forzarli ad andarsene da una terra ormai diventata troppo pericolosa per viverci.
Rimarrà solo fin quando, convocato dal generale Vespasiano, sarà forzato ad accettare l’incarico di recarsi a Gerusalemme per raccogliere informazioni in vista della ormai prossima guerra. E proprio nella veste di informatore del potere imperiale sarà testimonio diretto dell’assedio e della caduta di Gerusalemme. Sopravissuto a vicende belliche che causeranno tragedie inenarrabili, sofferenze inaudite e la morte di molte decine di migliaia di individui, a uno storico di passaggio narrerà le sue vicende: assieme a quelle ancora poco note ma drammatiche di una terra tormentata.

Quanto a particolari non inclusi nella stesura definitiva del libro non ricordo proprio che ce ne siano. In genere, credo di aver narrato tutto o quasi quanto ritenevo fosse abbastanza importante da esser scritto.

Per quanto riguarda invece le mie personali mete, queste sono state sempre dettate da interesse storico- archeologico e si collocano in quasi tutto il bacino mediterraneo. Ad esempio, un viaggio è servito come base per il romanzo “Enkidu” mentre lunghe permanenze in Grecia e Spagna hanno reso plausibili molte descrizioni contenute nel romanzo “Lo spettatore”.

Link: Il libro sulla finestra


© La Fenice Magazine

ottobre 18, 2018
Il simbolo di Damiano Leone

TRE DOMANDE ALL’AUTORE

Ci parli di Lei e di cosa fa nella vita.

Sono nato 69 anni fa a Trieste da genitori di origini pugliesi. In una prima fase mi sono interessato soprattutto alle materie scientifiche con particolare riguardo per l’astronomia. Più tardi, in un momento piuttosto tormentato della mia vita, ho abbandonato la professione di chimico. In seguito, grazie all’aiuto e ai consigli di una persona conosciuta a livello internazionale per aver collaborato all’allestimento di molti film storici, mi sono dedicato alla riproduzione artigianale di armi e armature antiche. Com’è inevitabile, o almeno così pare a me, questa attività mi ha indotto a studiare in modo approfondito dapprima la storia antica, e poi, logica conseguenza, l’arte e la letteratura del tempo. Ma solo al momento di andare in pensione ho potuto dedicarmi con continuità a un proposito di vecchia data: quello di scrivere romanzi. Attualmente, oltre che a scrivere mi dedico all’astronomia, e quando posso trascorro le notti fotografando lontane galassie o diafane nebulose, che sono la culla di nuove stelle o i loro straordinari resti.

I personaggi creati sono immaginari?

Tutti i grandi personaggi e le loro azioni sono storici e trattati con sobrio rigore: da questo punto di vista non ho lasciato spazio all’invenzione. Ma poiché “Il simbolo” non ha la pretesa di esser un saggio storico ma un romanzo, ci sono pure alcune figure inventate: ma solo quelle strettamente necessarie come appunto il protagonista. Questo perché mi serviva un personaggio che fosse in grado di muoversi in ogni ceto sociale e che conoscesse in modo approfondito la psicologia più intima di uomini e donne. Tuttavia, alcuni personaggi realmente esistiti come Bagoa, il persiano intimo di Alessandro Magno, Antinoo, l’amato dall’imperatore Adriano, e perfino Aspasia, moglie di Pericle, ma anche diversi altri, mi sono serviti da ispirazione per caratterizzare la figura di Ben Hamir.

Prossimi progetti? Sta scrivendo altro?

Quello su cui sto lavorando con l’editore Gabriele Capelli non è propriamente un romanzo storico perché in massima parte riguarda invece un prossimo futuro. Tuttavia ci sono alcune incursioni nel passato e soprattutto in quel passato in cui, guarda caso, è vissuto Jeshua ben Yusef. Non voglio anticipare la trama ma, molto succintamente, si basa sul seguente presupposto: in un mondo in cui la spiritualità pare in inarrestabile declino, per riuscire a invertire la tendenza, le autorità vaticane progettano di mandare un uomo nel passato per testimoniare in modo inconfutabile l’avvenuta resurrezione del Cristo. L’esperimento riesce, ma le conseguenze non sono esattamente quelle cui si sperava: e si riveleranno assai più sconvolgenti di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare. In ogni caso, credo sia un lavoro caratterizzato da una forte tensione ideale che non mancherà di emozionare chiunque avrà la ventura di leggerlo, credente o no che sia.

Link: La Fenice Magazine


© Missione Radio

Intervista radiofonica a Damiano Leone

Missione Radio incontra Damiano Leone, per la presentazione de IL SIMBOLO, il suo ultimo romanzo storico, ambientato tra Gerusalemme, Atene, Roma e l’Egitto nel periodo della vita e negli anni successivi alla morte di Gesù di Nazareth. Un’opera complessa che affianca all’accuratezza della ricostruzione del periodo storico narrato una originale, quanto stimolante, gestione della trama e dei personaggi.

Per ascoltare: Missione Radio


© romanceealtririmedi

Blogtour: “Il simbolo” di Damiano Leone – Chi è Ben Hamir? Pregi e difetti
16 ottobre 2018 / MARA MARINUCCI

Buongiorno! Oggi partecipo al blogtour del romanzo Il simbolo di Damiano Leone (ed. Gabriele Capelli Editore). Ringrazio Rose del blog La Fenice Magazine per avermi coinvolto nell’evento.
Il simbolo è un romanzo storico ambientato tra Gerusalemme, Atene, Roma e l’Egitto nel periodo della vita e negli anni successivi alla morte di Gesù di Nazareth. Vi ho stuzzicato abbastanza?

Il mio compito è quello di presentarvi Beh Hamir, il protagonista della vicenda. Nella parte conclusiva del post troverete alcuni dettagli generali sul romanzo e sull’autore.

Chi è Ben Hamir? Pregi e difetti

Ben Hamir è il figlio di un’etera, e da lei introdotto alla prostituzione giovanile. Ma non appena giunto alla pubertà, la sua intima natura di maschio ha il sopravvento e la sua vita cambia in modo completo. Dapprima una serva della madre che gli fa conoscere i misteri della femminilità, poi il primo vero amore, lo indurranno a ribellarsi. Poi tutto il resto, come le sue peripezie nei letti femminili delle più aristocratiche patrizie, il ruolo di informatore imperiale, il suo incontro e l’intenso confronto con Gesù di Nazareth, come pure le sue insospettate doti di guerriero che affioreranno quando combatterà per la salvezza di chi ama, saranno parte di un lungo percorso di vita che avrà per sfondo quell’incredibile affresco storico che è il primo secolo dell’era cristiana.

Per quanto riguarda il carattere, come accade per la vita di ogni giorno, pregi e difetti di questo inconsueto protagonista dipendono molto dalla psicologia di chi legge il romanzo, non dal personaggio in sé. Forse alcuni potranno trovare Ben Hamir iconoclasta, vista la sua allergia al potere, alle religioni e in genere ai luoghi comuni che limitano la libertà di pensiero: mentre altri lo potranno considerare un individuo di rara indipendenza mentale provvisto pure di invidiabili doti umane. Ma proprio nelle ultime pagine del romanzo, rispondendo a uno studioso di passaggio che vuole conoscere le vicende della Palestina di quegli anni, tra molte altre importanti affermazioni, Ben Hamir fa questa che riassume almeno una delle sfaccettature della sua intensa esistenza: “Ho sfiorato il fulgore degli astri al vertice dell’impero e sono sprofondato nella miseria e nella disperazione. Sono stato donna e uomo assaporando il piacere in tutte le sue forme: ho osservato da vicino la luce del bene come l’orrido, oscuro baratro del male, l’egoismo e l’amore, la serenità di una famiglia o la spaventosa follia della guerra. Ed io stesso, di volta in volta, ne ho sperimentati nella carne e nello spirito la dolcezza o l’amaro…”

Ecco, difetti e pregi di Ben Hamir sono quelli di qualsiasi individuo abbastanza cosciente di essere semplicemente un uomo e, allo stesso tempo, in grado di accettare con coraggio tutto il fardello di questa consapevolezza.

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Intervista a Damiano Leone:
Il simbolo è un romanzo storico che apre una finestra inedita su molti, importantissimi ma a volte poco noti, avvenimenti che hanno caratterizzato l’intero primo secolo dell’era cristiana.
10 ottobre 2018 by Miriam Bocchino

“Damiano Leone è nato a Trieste nel 1949. Di formazione tecnica, nella prima parte della vita si è interessato alle discipline scientifiche; in seguito, quando alcune vicende lo inducono ad abbandonare la professione di chimico, incoraggiato da un esperto del settore inizia a produrre artigianalmente repliche d’armi e armature antiche. Fortunatamente apprezzati, alcuni suoi lavori sono stati impiegati in film storici, esibiti in programmi televisivi culturali ed esposti in musei. Da oltre un trentennio si dedica allo studio della storia antica, dell’arte e della letteratura classica, corroborando le nozioni letterarie con frequenti visite a musei e siti archeologici di tutta Europa. Soltanto dopo il suo ritiro dall’attività lavorativa, e dopo essersi trasferito in un paesino montano del Friuli, ha potuto trovare il tempo e la serenità per realizzare un’antica ambizione: quella di dedicarsi attivamente alla narrativa. Dopo aver terminato il romanzo storico Enkidu nel 2012, nel 2015 pubblica Lo spettatore. Il simbolo è il suo terzo romanzo.”

“Il simbolo” è il suo nuovo romanzo. Puoi spiegare ai lettori di cosa tratta?

Il simbolo è un romanzo storico che apre una finestra inedita su molti importantissimi, ma a volte poco noti avvenimenti che hanno caratterizzato l’intero primo secolo dell’era cristiana. Assieme a questo, grazie a una meticolosa ricerca storica è pure in grado di svelare autentici ma quasi sconosciuti gossip dell’epoca. Il protagonista Ben Hamir è un personaggio davvero fuori dagli schemi: messo al mondo da una madre ben diversa di quella che allevò Gesù di Nazareth, proprio dalla genitrice viene avviato alla prostituzione giovanile. Ma non appena giunto alla pubertà, grazie alla fanciulla che gli farà conoscere i misteri della femminilità, e subito dopo al primo amore, si libererà del pesante influsso della madre divenendo libero di decidere il proprio destino.

Più tardi, pur non essendo attratto dal potere, si troverà a essere suo malgrado elemento importante nei giochi politici di uomini che hanno fatto la Storia. In grado di muoversi a suo agio negli ambienti più aristocratici dell’impero o nelle taverne malfamate della Suburra, sarà un raffinato amatore e confidente dei potenti: ma anche un guerriero rispettabilmente coraggioso. Questo almeno, quando deciderà che esiste un motivo veramente valido per mettere a repentaglio la vita su un campo di battaglia. Per una sintesi della trama, posso anticipare che Ben Hamir è lo straordinario cronista che accompagnerà il lettore durante un lungo viaggio nel tempo e nello spazio: dalla Gerusalemme resa splendida da Erode il grande, alle meraviglie di un’Atene ricca di reminescenze classiche, a una Roma ormai capitale del mondo e ancora all’Egitto e infine alla Palestina; là dove conoscerà Gesù di Nazareth e sarà parte importante nel tragico assedio di Gerusalemme per opera delle legioni di Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano.

È un’opera complessa la sua, in quanto ambientata nel periodo della vita e negli anni successivi alla morte di Gesù di Nazareth. Ha svolto delle ricerche approfondite per riuscire a contestualizzare la vicenda in quel dato periodo o è tutto frutto di fantasia?

Sì, è un’opera complessa non solo perché copre un intero secolo di storia, ma anche per la profondità dei vari personaggi storici. Nonostante quel periodo lo conoscessi già in modo abbastanza approfondito, le sole ricerche storiche preliminari sono durate circa un anno. Ma è stato un periodo speso bene perché mi ha permesso di accantonare molti luoghi comuni. Ad esempio alcuni storici antichi erano piuttosto discordi sull’imperatore Tiberio, con toni spesso assai critici nei suoi confronti: ma le evidenze storiche, legislative e archeologiche, hanno permesso alla storiografia moderna di tracciarne un quadro ben diverso.

Nei loro tratti fondamentali, tutti i personaggi principali sono storici e trattati con il massimo realismo: per necessità narrative fanno eccezione il protagonista e pochi altri legati alla sua sfera privata.

Non crede possa essere ostico per un lettore leggere una storia in cui Gesù ne fa parte?

In questo romanzo provo a offrire un’interpretazione sicuramente originale ma non per questo fuorviante della vita e del significato della figura di Gesù di Nazareth. Non vedo perché anche un credente non possa apprezzare la grandezza della sua umanità, il suo altruismo e il suo coraggio. Inoltre, anche se per nascita, cultura e modo di vivere Gesù di Nazareth e Ben Hamir non potrebbero essere più diversi, per quanto serrato e acceso sia il loro confronto, questo è basato su un sincero rispetto reciproco e perfino su un sentimento che mi permetto di definire amicizia. Credo che questo possa solo incontrare l’approvazione di qualsiasi individuo di buona volontà, credente o no che sia.

Ha una storia particolare alle spalle, in quanto da chimico è passato ad occuparsi di repliche d’armi e armature antiche e allo studio storia antica, dell’arte e della letteratura classica fino a giungere alla narrativa. Cosa l’ha condotta ad un tale evoluzione della sua vita?

Forse tutto è cominciato quando, in un momento piuttosto problematico della mia vita, ho cambiato mestiere grazie all’aiuto e ai consigli di una persona conosciuta a livello internazionale per aver collaborato all’allestimento di molti film storici. Ma siccome sono curioso per natura non potevo accontentarmi di creare riproduzioni di armi antiche senza conoscere la loro ambientazione. Insomma, quando realizzavo un’arma magari usata da un famoso condottiero come Alessandro Magno, non potevo fare a meno di conoscerne la vita e le gesta. All’inizio mi limitavo a questo ma poi, subito dopo e comprendendo che la storia è un flusso continuo e non l’insieme di episodi isolati, per puro desiderio di conoscere cominciai a studiare davvero e in modo ordinato.
Allo stesso tempo mi resi conto che molte informazioni potevano esser tratte dalla lettura di testi classici e così mi inoltrai anche in questo campo. Poi, quando visitavo un museo per documentarmi, non potevo restare indifferente alle stupende espressioni artistiche dell’antichità: e così nacque pure la passione per l’arte.
Così per circa trent’anni ho cercato di ampliare le mie conoscenze storiche e artistiche: ma solo al momento di andare in pensione ho potuto dedicarmi con continuità a un proposito di vecchia data, e cioè quello di scrivere romanzi.

Ha già in programma un prossimo libro?

Certo: ci sto lavorando con l’editore Gabriele Capelli. Però non si tratta di un romanzo storico perché è ambientato in un prossimo futuro. Tuttavia ci sono alcune incursioni nel passato: e proprio in quel passato in cui è vissuto Jeshua ben Yusef.
Senza anticipare troppo la trama posso dire che, per riuscire a invertire la tendenza al declinare della spiritualità nell’occidente cristiano, i vertici vaticani progettano di inviare un uomo nel passato per testimoniare in modo certo l’avvenuta resurrezione del Cristo. L’esperimento riesce, però le conseguenze non sono quelle sperate: e si riveleranno assai più sconvolgenti di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare.

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© ukizero.com

LE MUSE10 ottobre 2018

Intervista a Damiano Leone, autore del romanzo “Il simbolo”
by ukizero

Una storia struggente ambientata in Palestina durante le vicende del Messia cristiano ed un Impero Romano spietato

“Damiano Leone è un chimico convertito allo studio della storia e della letteratura classica. Pubblica per Leucotea i romanzi “Enkidu” (2012) e “Lo spettatore” (2015). Nel 2018 esce il romanzo storico “Il simbolo” per Gabriele Capelli Editore, un’opera struggente con un protagonista indimenticabile: un omaggio alla Storia e alle storie di chi l’ha fatta, l’ha subita e l’ha osservata.”

– Il simbolo è un romanzo dalle molte sfaccettature, che ripercorre un periodo importante della storia antica creando interpretazioni e legami nuovi e credibili. In un’opera tanto fedele alle cronache dell’epoca, in cui vi è una grande attenzione per il dato storico e in cui si ravvisa una profonda cura per ogni dettaglio, come si riesce a introdurre elementi e situazioni finzionali senza snaturare l’essenza e il valore di un romanzo storico?

Ricercando innanzitutto la plausibilità: poi altrettanto necessariamente si devono evitare incongruenze con il momento storico narrato. Al tempo stesso bisogna saper approfittare delle tante pieghe oscure e delle ambiguità che la storia ancora nasconde: e in quelle inserire eventi e personaggi. Inoltre, anche se parecchi scrittori come Salgari hanno descritto ambienti esotici senza averli mai visti con il risultato di ottenere buoni romanzi, io preferisco ambientare i miei lavori in luoghi di cui ho esperienza diretta. Resti archeologici, manufatti custoditi nei musei e perfino taluni personaggi incontrati nel corso di viaggi, sono serviti per creare un verosimile sfondo storico, geografico e umano, per l’intera narrazione.

– Ben Hamir/Annio Rufo è un protagonista straordinario, di quelli che da soli potrebbero sorreggere un’intera narrazione, e su cui il lettore ripone un cieco affidamento lasciandosi trasportare nella sua vita e nei suoi pensieri. La genesi di questo personaggio è il risultato di testimonianze trovate durante il lavoro di ricerca sulle fonti storiche, o è frutto della sua immaginazione?

Assai di rado la storia ci ha tramandato le vicende di personaggi con un profilo psicologico somigliante a quello di Ben Hamir: troppo poco amanti del potere in se stesso per lasciare una traccia diretta della loro esistenza. Tuttavia posso dire che Antinoo, l’amato dell’imperatore Adriano, Bagoa, l’eunuco persiano divenuto intimo di Alessandro Magno, Aspasia moglie di Pericle e molti altri uomini e donne cui la storia accenna appena, sono serviti da ispirazione. Questo nel senso che le loro qualità fisiche e morali hanno influito profondamente sugli individui che hanno gestito imperi e di conseguenza sulla loro politica.

– Cosa significa la scrittura per lei? Cosa prova quando un’idea si palesa nella sua mente e nei successivi concitati momenti in cui comincia a reperire le fonti, a studiare la trama e a familiarizzare con i personaggi?

Di certo, ideare una trama è fonte di grande eccitazione. Forse simile a quella di avventurarsi in mondi inesplorati in cui le barriere del tempo e dello spazio cessano quasi di esistere. Poi, una volta stabilita la rotta e durante la stesura del romanzo mi immergo completamente nei personaggi e negli eventi narrati: tanto che spesso la mia compagna deve ripetermi le domande più di una volta per riuscire a penetrare il guscio in cui mi sono isolato. Insomma, mi accade di vivere due realtà: e non è detto che quella di ogni giorno sia la più vivida.

– Il simbolo ha il pregio di utilizzare uno stile semplice e scorrevole per creare scene di forte impatto emotivo, in cui al lirismo del linguaggio si accompagna un gusto raffinato per la trattazione storica. Nonostante l’ingente mole del romanzo e le difficili tematiche narrate, riesce a catturare il lettore e a condurlo per mano nella storia senza mai far scemare il suo interesse. Lei ha fatto in modo che Il simbolo possa sia intrattenere come un romanzo che insegnare e informare come un saggio. Come si bilanciano questi due aspetti senza che uno prevalga sull’altro?

É vero, ho cercato di coinvolgere chi mi legge pur narrando eventi che magari non rientrano tra i suoi principali interessi, come la storia: ma in che modo ci sono riuscito mi è difficile dirlo perché credo che dipenda in gran parte dal mio stile di scrittura. Però forse posso aggiungere che trae origine anche dal mio modo di comunicare con il lettore: considerando quest’ultimo non come un alunno cui insegnare qualcosa, ma piuttosto come un amico da intrattenere in modo gradevole.

– Il dialogo che Ben Hamir intrattiene con Jeshua ben Yusef è tra i momenti più intensi della narrazione. Due personaggi che non potrebbero essere più diversi, uno non crede in niente e l’altro è un incontenibile idealista, ma entrambi con il cuore al posto giusto. Due anime differenti e al contempo affini, che nonostante un acceso scontro verbale vedono nascere una stima imperitura l’uno per altro. Come è riuscito a far interagire il suo protagonista con un personaggio che il lettore carica di un immenso significato solo a sentirne pronunciare il nome, rendendo il loro dialogo e il loro rapporto tanto naturali quanto assolutamente plausibili?

Comunque la si pensi in fatto di religione, quella cristiana sostiene che, pur essendo Dio, Jeshua era anche uomo: di conseguenza così è stato interpretato e descritto nel romanzo.

– Il Fato può essere considerato un personaggio a tutti gli effetti nel suo romanzo. Ben Hamir si fronteggia con lui dall’inizio alla fine della sua vita, e solo in età matura ne accetta l’ineluttabilità. Come un eroe delle tragedie greche, egli riflette la caducità dell’essere umano ma anche la forza di non arrendersi e di lottare per migliorare il proprio destino, pur se ogni segno preannuncia che sia già scritto nella pietra. Di che messaggio è portatore Ben Hamir nel suo struggente confronto con il Fato?

I messaggi sono molti e lo si può scoprire durante la lettura del romanzo. Ma se devo qui citarne uno, allora è la consapevolezza della fragilità ma anche della straordinaria grandezza dell’animo umano. In qualche modo è l’orgoglio di Ulisse che, navigando nei mari tempestosi della vita, non si piega agli eventi né agli dei.

– Nel suo primo romanzo storico, Enkidu, mette in scena un epico confronto tra il personaggio di Enkidu e la mitica figura di Gilgamesh, re di Uruk. Cosa la attrae tanto delle vicende del passato antico, e cosa l’ha spinta a cambiare radicalmente la sua vita lasciando la professione di chimico per dedicarsi allo studio della storia e della letteratura classica, e in seguito a diventare scrittore?

Sul passato si reggono le fondamenta del nostro essere oggi. La civiltà odierna sarebbe di gran lunga più equilibrata e forse migliore se tutti ne avessimo una discreta conoscenza. In breve: La storia è un’ottima maestra, peccato che gli uomini siano pessimi alunni. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda potrei citare Dante: “Nel mezzo del cammin di nostra vita…” Ma temo che sarei troppo succinto. Così spiegherò che in un momento molto difficile della vita ho avuto la fortuna di incontrare una persona che mi ha introdotto alla storia antica: e poiché sono curioso per natura, compresi subito che il miglior modo per conoscere gli uomini, e quindi me stesso, era di studiare l’esistenza e le opere di chi ci ha preceduto su questa terra.

Antonella Quaglia

Link: www.ukizero.com


© Il colore dei libri
06.06.2018

Recensione: Il simbolo di Damiano Leone

Editore: Gabriele Capelli Editore
Genere:Narrativa Storica
Pagine: 616
Data d’uscita: 9 Marzo 2018
Prezzo: €23,00
E-book € 9,00

TRAMA

Contemporaneo di un uomo passato alla storia con il nome di Gesù di Nazareth, il figlio di una prostituta muove i primi passi nella Palestina dominata dalle legioni di Roma: due vite assai diverse ma destinate a incrociarsi nei loro giorni più drammatici.
Avviato alla prostituzione, il giovane Ben Hamir trova conforto nell’affetto di uno schiavo comprato per fargli da tutore. Costretto a fuggire, dopo un’istruttiva permanenza ad Atene conquista Roma – o meglio i cuori delle romane – divenendo gradito ospite dei più esclusivi palazzi nobiliari.
Coinvolto nella politica imperiale fino a divenire intimo di Tiberio, proprio da lui apprenderà quanto beffardo possa mostrarsi il fato. Tornato in Palestina per ordine dell’imperatore, ad attenderlo troverà sia un nuovo che un antico amore: ma anche l’odio feroce di Ponzio Pilato, il suo più mortale nemico.
Dopo aver compiuto un gesto in apparenza marginale ma destinato a sconvolgere la storia, abbandonati i lussi e le amanti sceglierà di restare lontano dai clamori del mondo.
Ma Roma non si è dimenticata di lui: dovrà accettare lo sgradito incarico di informatore imperiale, assistendo così a eventi che andranno oltre ogni sua immaginazione.

IL MIO PENSIERO SUL LIBRO

Nell’antica Roma imperiale Tiberio detiene il comando saldamente non pensando minimamente che un giorno un ragazzo dalle umili origini come Ben Hamir riuscirà ad avvicinarsi a lui talmente tanto da diventarne amico e poi consigliere.
Ben Hamir non ha avuto una vita facile, la madre lo costringe alla prostituzione sin da bambino segnandogli il destino per sempre.
Conduce una vita all’apparenza sfarzosa ed appagante ma lui non è felice ed è stanco di essere semplicemente una fonte di profitto per la madre ed uno strumento di piacere per i clienti.
Grazie agli insegnamenti dello schiavo Nadir ,che lo spronava a migliorarsi ecco che si ritrova con un bagaglio culturale molto vasto e gli servirà in svariate occasioni.
Purtroppo molti eventi spiacevoli lo costringeranno ad abbandonare la sua terra per ripare in Grecia e successivamente a Roma.
Eventi fortuiti e la sua fama di “amatore dalle grandi doti” lo avvicineranno a Tiberio conoscendo così l’uomo che si cela dietro al granitico imperatore, ne diventerà amico e poi confidente ed infine emissiario in terre lontane.
A lui sarà affidato un anello molto prezioso, simbolo che agisce per mandato di Tiberio e questo simbolo segnerà tutta la sua vita.
Gli intrighi della capitale lo soffocheranno poco alla volta tanto da indurlo a voler tornare alla terra delle sue origini e sarà proprio lì che incontrerà l’uomo più famoso del momento : Jeshua.
Troppo tempo in mezzo a segreti e sotterfugi, intrighi e tradimenti, ipocrisia e cattiveria, crudeltà e ferocia lo renderanno un personaggio scomodo tanto da avere una lunga lista di nemici che già più volte hanno attentato alla sua vita e lo metteranno in seria difficoltà.
Jeshua vedendolo nei guai lo accoglie tra la sua gente e Ben Hamir resterà affascinato dal suo carisma, anche se non condividerà la sua visione del mondo, nonostante ciò si affezionerà a lui tanto da far parte della sua passione-morte-rinascita che è giunta sino a noi.

L’autore riesce a mantenere vivo l’interesse del lettore aggiungendo una nota piccante che non pregiudica assolutamente il livello della storia.
Anzi il fatto che il protagonista eserciti uno dei mestieri più antichi del mondo da modo di capire l’approcio che avevano le varie popolazioni con il sesso, i ruoli che ricoprivano le donne e come risolvevano i problemi quotidiani.
Il protagonista eserciterà il suo lavoro restando piacevolmente colpito dai dissoluti romani, meravigliato dai peccaminosi greci ed infine di nascosto ai moralisti palestinesi che potrebbero decidere di condannarlo a morte.
Il sesso qua sarà la chiave per entrare nelle case, e nelle grazie, di molteplici personaggi influenti carpendone segreti e informazioni preziose che salveranno la sua vita e quella di altre persone in più momenti.

Il libro ,nonostante la mole, è scorrevole e coinvolgente; i fatti storici sono descritti accuratamente da un punto di vista decisamente diverso da quello cui siamo abituati dando una nuova prospettiva alla storia antica.

Lo consiglio a chi ama i romanzi storici ben strutturati e sviluppati, con ricerche decisamente minuziose e ricostruzioni di eventi passati in modo interessante e niente affatti scontato.

Il nostro giudizio: 5/5

Link: Il colore dei libri


© Literary nr. 4/2018

Il simbolo di Damiano Leone
Recensione di Luciano Nanni

Narrativa. Già definito in copertina romanzo storico, quest’opera si colloca nel solco di un’antica tradizione, quando non esistendo certi tipi di spettacolo il libro sostituiva una rappresentazione che attraverso le parole ricreava ambienti e personaggi. Ben si attaglia il termine affresco a Il simbolo, in quanto solo chi è veramente esperto nell’arte della scrittura riesce a sostenere per circa seicento pagine una vicenda il cui fondo storico viene sempre mantenuto e addirittura caratterizzato.

Siamo nel periodo in cui Tiberio regge l’impero romano, e allora come ora gli intrallazzi e la sete di potere sono all’ordine del giorno. In realtà l’imperatore inizia con alto senso di giustizia, per poi gradualmente adombrarsi, finendo per disperdere quel patrimonio di equità che lo aveva contraddistinto: un percorso simile a quello di Nerone. L’eros che fa notare in diversi casi la sua presenza è una forza straordinaria che a volte sembra prevalere sulla brama di comando. L’eroe del romanzo avrà una vita avventurosa, talora confondendo eros con amore, e solo alla fine, dopo un’esperienza traumatica – Tre croci sul Gulgolet è un capitolo chiave – comprenderà la vanità delle cose ormai “futili e lontane”. Altre figure di spicco e concretizzate a tutto tondo quelle di Seiano e Ponzio Pilato, e tra gli episodi da segnalare, a p. 357, un racconto che rievoca in qualche modo il caso Rampi di tanti anni fa.

La competenza sul periodo trattato è notevole, ne risulta uno stile conseguente, con note per vocaboli specifici, e avvicinandosi alla conclusione la narrazione diviene incalzante: il lettore, malgrado i circa duemila anni trascorsi da quando è collocata la vicenda, ne viene coinvolto, poiché certi sentimenti sono praticamente uguali in qualsiasi epoca o latitudine, e il pregio forse maggiore dello scrittore è proprio di aver dato vita a una storia storica, dove l’invenzione sembra essere quella parte di storia possibile ma non certa, e tuttavia affascinante in virtù della scrittura creativa: il vero dunque è ciò che si pensa sia. A dimostrazione di come le descrizioni ambientali e di costume siano credibili c’è una bibliografia aggiornata sui vari aspetti, assai posteriore quindi al saggio di Palazzi e Untersteiner.

Link: Literary.it


© EXTRA SETTE 21, 4.05.2018

Tra le righe
Nuove uscite e sorprese in libreria
a cura di Sergio Roic

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© Amazon.it

“Il simbolo” di Damiano Leone
Anna Maria Zanetti, 25 aprile 2018

Formato: Formato Kindle

“Il simbolo”, terzo romanzo di Damiano Leone, dopo “Enkidu” e “Lo spettatore” che tanto apprezzai negli anni scorsi, è risultato anche questa volta un’opera letteraria capace di farsi amare e ricordare nel tempo.
La trama a fondo storico è capace, per la scrittura fluida, elegante e sapientemente vivida, di catturare il lettore, trascinandolo con sé dentro i fatti narrati.
Nulla viene lasciato in secondo piano: né la caratterizzazione del più insignificante dei personaggi, né l’ambientazione. Infatti le descrizioni sempre accuratissime sono dettagliate, precise e vivide e lasciano intuire una puntuale conoscenza di tutte le realtà di cui l’autore narra parlando dei viaggi del protagonista tra la Palestina, l’Egitto, la Grecia e l’Italia sia dal punto di vista paesaggistico che di quello artistico anche nelle più moderne ricostruzioni proposte dagli storici dell’arte.
Il protagonista in assoluto, l’eroe della narrazione, è Ben Hamir/Annio Rufo che racconta ad un giovane storico ateniese Fedone la propria vita, apparentemente per dargli notizie di prima mano su Jeshua chiamato Christus da lui conosciuto e per il quale dichiara di aver provato una amicizia sincera, ma in realtà per un bisogno insopprimibile di rompere il silenzio in cui viveva da troppo tempo e raccontare prima della morte la storia della propria esistenza. E lo fa narrandola minuziosamente, senza nulla nascondere e senza tralasciare alcun particolare per quanto scabroso possa essere, tentando in questo modo di lasciare, attraverso le parole che Fedone trascriverà, qualche traccia del proprio passaggio su questa terra.
Sulla trama non dirò altro, tranne rimarcare la piacevolezza della descrizione dei ripetuti incontri di Ben Hamir con Jeshua le cui strade continuano fatalmente ad incrociarsi fino ad arrivare accumunati in unico destino al Golgota e la mia ammirazione per il brillante escamotage riguardante i fatti immediatamente successivi la morte di Jeshua che definirei geniale.
Infine quanto sulla scelta del titolo “Il simbolo” per il romanzo condivido la felice spiegazione che ne abbiamo per bocca di Ben Hamir che dice:
«Sai, Fedone, se come sosteneva il mio precettore Nadir, gli uomini hanno proprio bisogno di un simbolo in cui credere per trovare la forza di vivere… Beh, forse allora farebbero bene a scegliersene uno che genera la vita e non la morte, la gioia e non il dolore, la speranza e non la disperazione…» e così sia…


IL SIMBOLO di Damiano Leone
7 aprile 2018 ~ Lettrice Assorta

Di libri in questo periodo devo confessare di averne letti parecchi, ma ce ne sono alcuni che lasciano il segno e si fanno ricordare a lungo. Ecco! Il Simbolo di Damiano Leone è uno di questi. L’autore con grande maestria riesce fin dalle prime pagine ad attrarre il lettore con una scrittura fluida, scorrevole, capace e sempre pertinente. La trama è avvincente e sapientemente modulata. Non sono riuscita a staccare gli occhi dal romanzo fino alla sua conclusione!

LA TRAMA

Il romanzo comincia con la presentazione di Fedone, un ateniese, costretto ad una sosta forzata nel porto di Arsuf (Apollonia) a causa della sua nave in avaria. Scortato da una decina di mercenari, diretto ad Ascalon e da lì a Gerusalemme, egli è in cerca delle tracce di un avvenimento occorso laggiù più di mezzo secolo prima. Fedone è uno storico commissionato da una nobildonna romana per scoprire quanto c’è di vero circa i seguaci di una nuova setta religiosa, i cristiani, e del suo fondatore. Per una strana bizzarria del destino, Fedone incontra ad Arsuf l’anziano Ben Hamir, il quale sostiene di aver conosciuto un certo Christus nei suoi ultimi giorni di vita. Non avendo altre alternative che l’attesa, Fedone decide di ascoltare il racconto del vecchio…

Sulla trama come mia abitudine non aggiungerò altro. Non intendo guastare la sorpresa di quanti decideranno di leggere il romanzo. Si tratta, com’è facile intuire, di una narrazione a sfondo storico, finemente cesellata di precisi dettagli e vivide ambientazioni. Le descrizioni sono precise, il contesto splendidamente reso. Le pagine trasmettono la competenza e l’essenza di un saggio storico contornato da una storia capace di catturare l’attenzione di tutti i palati. Il lessico è accurato e mantiene la sua coerenza stilistica lungo tutta la narrazione. Le vicende raccontate sono quelle di Ben Hamir che si ritrova a Gerusalemme dopo essere fuggito da Sidone con la sua mamma, Jezabael. Troppo presto l’infanzia del ragazzino è spezzata dal turpe mercanteggio del suo corpo ancora acerbo ad opera della madre, donna bellissima ma priva di scrupoli, la quale lo vende puntualmente agli uomini che ne fanno richiesta. Il giovinetto piange e si dispera sulle spalle di Nadir, lo schiavo acquistato da Jazabael. per fargli da precettore, che diventerà un sostegno morale e dispensatore di saggi consigli oltre che amico e confidente.

La narrazione è un viaggio avvincente e avventuroso compiuto da Hamir da Gerusalemme ad Atene, dalla splendida Roma alla Sicilia, fino all’Egitto, granaio dell’Impero, per poi fare ritorno, per una strana ironia del fato, nella terra di Palestina, dove, divenuto adulto, il destino ne guida i passi di figlio e inviato segreto dell’uomo più potente del mondo. Ho trovato superbe tutte le immagini descritte, soprattutto quelle relative ad Atene, con la sua aria cosmopolita e il modo di pensare libero e disincantato dei suoi abitanti, del Tempio di Atena nell’Acropoli e dell’Agorà, e ai fasti dell’antica Roma di Tiberio, con i marmi lucenti delle costruzioni patrizie e gli intrighi di potere. Grande impatto emotivo e immaginifico ha suscitato in me il racconto di Hamir sulla visione dell’immensa mole dell’Etna, sormontata da un vistoso pennacchio fumante. Decide di visitare quell’arido paesaggio silenzioso, battuto dal vento e percorso da fessure nel terreno scuro da cui fuoriescono fumo, vapore e, dopo un roboante sussulto, fontane di fuoco. Questa sconcertante visione è motivo di riflessione per Hamir, il quale la considera come una rappresentazione dell’amore degli dèi, visto, non come di solito si raffigura nelle liriche dei poeti, ma come furiosa, incontenibile, incandescente, sublime frenesia. Lungo tutto il romanzo, scorre un intreccio sapiente tra arte, religione, storia: tutto mescolato con sapienza per creare un mix che cattura e sorprende. I fatti storici, visti attraverso gli occhi del protagonista, costituiscono la fonte delle sue meditazioni. Filtrate attraverso l’esperienza con un padre pragmatico, concreto e una madre cinica e disincantata, esse sfociano in speculazioni e considerazioni sulla lotta timorosa per vivere in un mondo troppo complesso e misterioso per essere spiegato e si chiede se mai si sarebbe giunti a scoprire tutte le strane e misteriose leggi che governano il mondo, se mai si potranno debellare carestie, malattie, guerra e ingiustizia. (Nonostante la schiavitù fosse comunemente accettata, Ben Hamir la rifiuta dopo una presa di coscienza e lo dimostra lungo tutto il romanzo).

Particolarmente suggestivo, l’incontro di Hamir con Jeshua. Le loro strade continuano fatalmente ad incrociarsi e i dialoghi tra i due sono brillantemente improntati sulla dicotomia di opinioni: Hamir dominato dalla coltre brillante e gelida dell’intelletto e Jeshua dalla fiamma della fede.

A differenza di altri romanzi storici (potrei farne i blasonati nomi ma me ne astengo) che di storico hanno solo il nome o l’ambientazione in cui si svolgono, questo è uno scritto con delle fondamenta solide. Destinato ad un pubblico prevalentemente adulto a causa di scene piuttosto esplicite in esso presenti, si distingue per un forte carattere, un’impronta storica rilevante ed una serie di avvenimenti intriganti. Nonostante la notevole mole di pagine, scorre meravigliosamente ed è ricco di curiosità, colpi di scena e paesaggi mozzafiato. Un romanzo sulla ricerca del sé e dell’amore, quello vero, come il sentimento tra la schiava Lin e il gladiatore Ganthar che fa capire al protagonista che il potere più grande non è quello imposto da un imperatore al suo soldato, ma quello irrazionale quanto incontrollabile dell’amore. Oppure l’amore di Jeudah per Jeshua, uno di quei tanti casi in cui un amore, illimitato eppure cieco, non tiene conto delle vere necessità della persona amata. Personalmente ho trovato alcuni passaggi davvero toccanti e di grande impatto emotivo. Sul finale, quando si parla di guerra, carestia e perfino atti di cannibalismo, consapevole della cruda realtà dei fatti raccontati, ho pianto.

Questo romanzo si distingue per la precisione maniacale di tutti i dettagli. Ogni cosa è studiata e nulla è lasciato al caso. Il titolo, Il Simbolo riflette lo spirito della narrazione. La sua ermeneutica si svela completamente e in tutte le sue sfaccettature, solo alla fine. Inizialmente il Simbolo rappresenta la manifestazione della grande potenza e della inarrestabile forza rinnovatrice della natura che si esprime attraverso una particolare dote del protagonista, successivamente si rivela nell’anello che viene donato a Ben Hamir, che apre tutte le porte dell’Impero, emblema di grandissimo potere, poi nel Tempio, simbolo di Gerusalemme, per cui ogni Israelita è pronto ad immolarsi, infine il Simbolo, come bisogno intrinseco di ciascun membro dell’umanità di credere in qualcosa, per trovare la forza di vivere. Un romanzo “ricco”, un’esperienza unica, un viaggio indimenticabile, una storia carica di emozioni.

Buona lettura

La Lettrice Assorta


7 thoughts on “Damiano Leone “Il simbolo”

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