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© Corriere del Ticino, 22.04.2022

Due voci autentiche immerse nei tortuosi percorsi della vita

POESIA / Le intense raccolte in versi di Fabiano Alborghetti e Giuliana Pelli Grandini svelano al lettore, con originale e ispirata sensibilità, le asperità e le sorprese del quotidiano confronto con la sofferenza e la meraviglia dell’esistere.
Di Laura Di Corcia

Alcune affinità, al di là delle sostanziali distanze e differenze, legano due libri di due autori ticinesi freschi di stampa, ed entrambi pubblicati presso editori che operano sul nostro territorio. Corpuscoli di Krause di Fabiano Alborghetti (Premio svizzero di letteratura per il libro Maiser), pubblicato per Capelli editore, e Talismano di Giuliana Pelli Grandini, uscito per i tipi della casa editrice Alla chiara fonte, mostrano infatti due scritture nervose, mai appagate, che cuciono un rapporto certamente molto diverso con la realtà ma in entrambi casi non pacificato e traballante.

«I corpuscoli di Krause – precisa Alborghetti, spiegando il senso della sua ricerca condensata nell’ultimo libro – sono recettori sensoriali termici e tattili. La cute possiede 150 mila recettori di Krause per il freddo, mentre soltanto 15 mila di Ruffini per il caldo. I corpuscoli di Krause si attivano già a temperature molto basse, prossime allo zero, e interrompono la trasmissione dell’impulso a 40 gradi». E quindi questi testi, organizzati in sei sezioni – quasi dei libri dentro al libro – e con ampie parti dedicate alla pandemia e al lockdown, al tema del lavoro e della giustizia sociale, alla violenza, sono, secondo il poeta, «corpuscoli, sollecitazioni termiche e sensoriali emergere dalle cronache o dalle molte realtà. Temperatura del mondo, riattivata quando essa diventa disfunzione». Abbonda in questi testi il punto interrogativo, come segno di incertezza verso una realtà disgregata come quella della pandemia. «Ci si aggira nel vuoto, una vita / accanto a una vita, accanto a una vita. / La mia paura somiglia un poco alla tua?», recitano alcuni versi molto forti, che accolgono il disorientamento provato durante gli interminabili mesi di lockdown.

Incertezza che emerge anche fra le pagine potenti e visionarie di Giuliana Pelli Grandini, che alternano versi e prosa poetica: «Liscia il femore ( lungo) / maschio papà… nonno? ». Se nell’impianto di Alborghetti abbiamo un confronto più diretto con la realtà e la storia, in quello dell’autrice c’è, come fa notare la giornalista culturale e critica Manuela Camponovo, un’attenzione e una cura verso l’universo familiare, e quindi verso «le storie, avventure e tragedie, che affondano nel passato e che proseguono con i figli e nipoti, quell’universo-bambino che tanto influenza, anche nella forma stilistica, la scrittura ». Interessante citare alcuni versi: «Lui sa tutto (o quasi) di Robin Hood e dei cavalieri della tavola rotonda. Riempie a matita pagine e pagine di lettere e numeri alti e sgangherati. Non cancella mai. Io non capisco se è grande o piccolo, se il suo è il mondo degli adulti o il mio di bambina».

Spiraglio oltre il dolore

Dicevamo un rapporto diverso con la realtà, fra i due autori: la ricerca letteraria di Fabiano Alborghetti è infatti tutta o quasi tutta improntata su un confronto diretto e non mediato con le cose di cui ha scritto. Per scrivere, sembra dire l’autore, bisogna prima immergersi, toccare con mano, vivere in prima persona. «Prima di scrivere l’Opposta riva – precisa infatti il poeta – sono stato tre anni a contatto con i clandestini. E per quanto riguarda Maiser, ho vissuto sette anni con il protagonista, malato di Alzheimer. La poesia, per me, è quel linguaggio che permette la distanza come la vicinanza: quando scrivo sono per me sullo stesso piano. Entrambe le cose, quindi la distanza e la vicinanza, diventano il palcoscenico alla normalità avendo a paragone l’opposto; rendono vivibile e guardabile ciò che è inaccettabile».

Se l’occhio di Fabiano Alborghetti tende a soffermarsi sui soprusi che la storia fa subire alle vite di ciascuno, il mondo di Giuliana Pelli Grandini è racchiuso nella fiaba e nel mistero della vita vissuto come percorso iniziatico. «I miei testi sono sono fortemente connessi alla mia vita – spiega l’autrice. Molte volte sono andata indietro, a cercare i momenti legati all’infanzia e man mano mi sono avvicinata all’età matura. Fra me e la fiaba c’è un rapporto fortissimo, ma la fiaba non arriva tutti i giorni. Quando mi viene a bussare alla porta, però, si tratta sempre di una rivelazione. È proprio lì, nel suo nucleo più profondo, che avviene la mia scoperta, ovvero quella di essere qualcuno al centro di questa fiaba. Questa operazione non è facile, essere infante e avere la forza di raccontarlo. È doloroso ». Molto spesso il mondo degli adulti e quello dei bambini si mescolano, nell’universo di Giuliana Pelli Grandini, e non si capisce chi faccia parte di un insieme e chi dell’altro. «Scrivo quando sento questo grumo dentro di me, che è qualcosa che si muove e che mi mette sulla strada del racconto ».

Infine, queste due scritture, sembrano accomunarsi su un punto: l’idea che, al di là del dolore, possa e debba esistere uno spiraglio. E così entrambe le raccolte si chiudono con un omaggio alla vita, ai suoi percorsi tortuosi ma autentici. Scrive Alborghetti: «La speranza, ho imparato, canta sempre sottovoce. / Ha un canto basso, in controluce. Sembianze nitide e tenaci / e guarda bene: non somiglia a tutti noi?»

Link: CdT


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