© Il Cittadino di Monza e Brianza, 13.06.2019
Il Mago di Cantone da Vimercate alle terre elvetiche
di Bernardino Marinoni
Nel buio della chiesa “il suo Signore lo ascoltò attentissimo”. L’interlocuzione non è del guareschiano don Camillo, ma di un don Tommaso, prete di valle nel baliaggio svizzero sul confine con il ducato di Milano, nella temperie seicentesca appassionatamente frequentata da Carlo Silini fin dall’esordio narrativo – “Il ladro di ragazze” (2015) – dove impera un oscuro personaggio, il Mago di Cantone, riparato da Vimercate nelle terre elvetiche, pratico di negromanzia e perpetratore di stupri e assassinii cui scampa però una giovane donna, Maddalena de Buziis, che di “Latte e sangue” diventa protagonista. E dal villaggio della Brianza, dove cura i nonni putativi con erbe, di cui conosce i segreti, e sorrisi, deve tornare nei luoghi di confine dove Silini costruisce la nera spirale di un seguito ad alto tasso di autonomia, per quanto lo solchi come un fiume carsico l’”antefatto” racchiuso virtuosisticamente nelle due pagine che schiudono il nuovo romanzo.
Non meno avvincente del “Ladro di ragazze”, è disegnato sulla carta topografica dei titoli di rapidi capitoli il cui perno è il convento comasco di San Giovanni in Pedemonte, polo dell’Inquisizione davanti al cui tribunale è condotta la protagonista con gli addebiti mossi alle streghe. Addebiti, orditi da chi la perseguita con manovre che Carlo Silini traduce in narrazione stringente, cui la donna è determinata a non arrendersi: lo sguardo di Maddalena de Buziis buca le pagine, il volto che aveva dato alla pittura di una Madonna affiora via via luminoso nella composita trama di cui tempera il nero – a tratti più nero del nero – di un’epoca fastosamente cupa. Il rango dell’antagonista deve essere all’altezza dell’eroina: vi concorrono i colpi di scena che Silini distilla come si conviene all’eminenza grigissima, un personaggio quanto mai fosco che da un romitorio sul monte Generoso attende di rivelarsi tendendo trappole feroci alla donna, ossessione per cui scatena briganti e intreccia nequizie. Della falsariga storica sulla quale sviluppa la narrazione, con puntuali note in calce al romanzo, Silini fa, meglio, conferma uno stile dove verosimile e fantastico sono inestricabili.
Vi concorrono molteplici figure di varia statura, il cocciuto prete di montagna citato, prima di tutti, e se una giovane innocente che sul patibolo chiede di avere le mani libere immaginando poi di poter spiegare il volo, così come il protettivo coro delle vittime del mago diventa voce guida nei meandri quasi fantasy cui Silini a tratti, anche liricamente, s’inoltra, l’appellativo “Mea Pulpa” è congruamente carnale per la ex “prevadessa” – sorta di aristocrazia del meretricio: la prostituta riservata al clero cui nel romanzo è riservato un geniale colpo di coda – che intesse anche di sonorità il versante sensuale del romanzo che giunge all’acme nella danza di Maddalena, attenzione, davanti all’Inquisitore di Como. Ma costui, Camillo Campeggi, è tra quei che segnano la svolta della Chiesa in difesa degli imputati di stregoneria, storicamente. Così come, attestano le cronache coeve, nel convento comasco a metà Seicento davano ancora fiori e frutti le due piante di agnocasto messe a dimora, più di tre secoli prima, da san Pietro martire.
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