Il ritorno di Maddalena dal torbido Seicento


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© Corriere del Ticino, 18 marzo 2019

Il ritorno di Maddalena dal torbido Seicento
Si intitola “Latte e sangue” il secondo appassionante romanzo storico di Carlo Silini
di Tommy Cappellini

Conoscete Maddalena de Buziis? Io sì. È la ragazza che molti ticinesi, almeno una volta nella vita, hanno sognato di sposare, salvo poi decidere – saggiamente o meno, chi potrà mai dirlo – per situazioni più tranquille.

La passionale Maddalena sa come cavar da un uomo altrettanto ardore. Con lei c’è da uscir di senno, poiché è indomita fino all’aperta provocazione; non ci s’annoia. È naturaliter avventurosa, come riescono a esserlo le donne: un po’ per sbaglio un po’ per amore, mai in solitaria, dunque tirandosi dietro una carovana di frangenti rocamboleschi e di pruriginose attenzioni. Non stupisce che sia sempre a contatto con la natura e il sesso.

Io l’ho incontrata per la prima volta tre anni fa nelle pagine del Ladro di ragazze, il romanzo di Carlo Silini che ormai è long-seller in terra ticinese. E l’ho rivista un mese fa – se possibile ancora più affascinante – in Latte e sangue, il sequel, ovviamente stesso autore e, bel segnale, stesso editore (Gabriele Capelli, pagg. 480, franchi 28). È in tutte le librerie del cantone e sta macinando copie (testimonianza oculare) e potete riconoscerlo a colpo d’occhio dalla copertina con Sant’Agata visitata in carcere da san Pietro e l’angelo, un dipinto del 1613-14 di Giovanni Lanfranco. Scelta azzeccatissima dal momento che, seppur di gran lunga meno santa, Maddalena evoca nel lettore di Latte e sangue la medesima atmosfera, ebbene sì, delicatamente carnale e morbosa.

En passant, Latte e sangue è stato notato nelle alte stanze dove la Giuria dei Letterati del premio Campiello valuta quali opere far entrare nell’ambita cinquina che verrà poi sottoposta alla Giuria dei Trecento, meno qualificata, altrettanto decisiva. Indizio che la narrativa ticinese, quando vuole, può ben raccogliere la sfida con quella italiana. Dovrebbe anzi desiderarlo più spesso, puntando su trame massimaliste proprio come Latte e sangue.

Siamo nel Seicento, tra Ticino e Lombardia. L’epoca successiva al Concilio di Trento e di piena Controriforma: religiosità e violenza diffuse, come in certo Medio Oriente d’oggi, traslato però nel chiaroscuro di quattro secoli fa. Anche il Ticino non faceva eccezione, attraversato com’era, in lungo e in largo, da avventurieri e masnade senza tetto né legge, in cima gli appartenenti alla banda Fontana, con base a Brusata di Novazzano. In altre parole: «La gente era povera, ignorante e vessata. La terra bella, ruvida e avara. I potenti pochi, sciocchi e ingordi. In quel tutti contro tutti dove il punto di partenza (ricchezza o povertà, nobiltà o servitù) faceva tre quarti della differenza, il quarto restante era un balletto sulla lama di un rasoio».

Uno spadroneggiar né più né meno mafioso, quello dei Fontana. Il boss Cesare, detto l’Imperatore, aveva la surrettizia autorizzazione dei landfogti a portare le armi e a violare le leggi, a vessare, derubare, stuprare. Idem, dopo di lui, il nipote Carlo Fontana (omonimo del celebre architetto), vendicativo, sbraitante, colmo di sospetti, detto Caligola, e i suoi sgherri Buleta e la Bestia, e tanti, troppi altri. Scorrerie, assalti e risse, botte date e prese, ricatti e delazioni, pugnali sguainati, sangue versato: zero noia per chi legge. Tra parentesi, alcuni resistano alla gustosa tentazione, stante che l’autore è ottimo e premiato giornalista: Latte e sangue non è un roman à clef, è storia sovente con la S maiuscola (come quando riporta alla luce le vicende del convento comasco di San Giovanni in Pedemonte, il più grande centro dell’Inquisizione a sud delle Alpi) e non indiretta cronaca o critica dell’oggi, finanziaria o teologica che possa sembrare, imbellettata d’antichità.

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Casa Albisetti, covo dei Fontana in località Brusata di Novazzano.

In mezzo a queste torme di farabutti, Maddalena fugge, o avanza, dipende dai punti di vista. C’è chi la vuole, e c’è chi la vuole morta, in primis l’Uomo dei Trii Böcc, tessitore di trame oscure arroccato sopra Mendrisio. Egli stacca di diverse lunghezze balordi e banditi che lo circondano: parla il latino, legge la filotea di Francesco Saverio, c’è del religioso in lui, ma di una religione nera e meschina. Maddalena è la sua «vipera bianca», la sua ossessione: «Doverla consegnare a un altro – a un inquisitore magari persino più spietato di lui – lo faceva sentire privo del sacro diritto e del sommo piacere di disporre di quell’esistenza sensuale e vagabonda che braccava invano da quando l’aveva vista nuda e invincibile dentro una grotta di bassa montagna». L’Uomo dei Trii Böcc avrà il filo da torcere che si merita, fronteggiato da una Maddalena ostinata ed esplosiva, decisa al contrattacco. Da tal punto di vista, Latte e sangue appartiene al nostro presente, all’unica vera rivoluzione che sia accaduta negli ultimi due secoli, quella femminile.

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Il tetro ingresso della Grotta Bögia sul Monte San Giorgio.

Tre personaggi restano impressi più di altri. Di Maddalena abbiamo già detto, e lasciamo innamorarsene gli incauti lettori. Dopo di lei c’è Mea Pulpa, una vetula, ovvero una prostituta «in età», ricalcata da Silini su una figura simile realmente esistita. Strabordante, mezza saggia quanto può esserlo una di lungo corso nel mestiere, furba d’orgoglio malriposto, simpatica. Ve la farà spassare in modo disimpegnato.

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Il frontespizio di uno dei manuali di caccia alle streghe di Bernardo Rategno, priore alla fine del Cinquecento a Como.

E infine, ma primeggiante, c’è don Tommaso, sola figura veramente positiva del romanzo e animo novecentesco incastonato con precisione nel Seicento. Arrossisce, balbetta, incespica indeciso sulle parole e sulle azioni, tuttavia sa cosa è giusto e cosa è sbagliato in un’epoca in cui molti suoi colleghi tenevano l’archibugio sotto l’altare. È un tormentato di sicura fede, ricorda certe pagine di Bernanos, e non a caso. Vi farà da specchio, vi confesserà senza che lo vogliate.

Nota finale, per così dire, estetica. Vivido e diretto, disincantato e brutale, mai splatter, visivo ma non televisivo, lo stile di Latte e sangue illumina la trama dalla prima all’ultima riga, tessendo una scenografia dettagliata che, rispetto al Ladro di ragazze, trova la giusta misura della propria presenza. Ne esce una fabula dai colori d’un arazzo, dal rosso scuro del sangue al sabbia dei boschi d’autunno. Un racconto che resterà.

Link: articolo CdT


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Imposed Flat @ Impose ( Cop. Il ladro di ragazze 1b.pdf, page 1 @ Apogee Preflight )

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