Contiene frutta secca

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Umberto Domina
Contiene frutta secca

15×21,
184 pp, PB

ISBN 978-88-87469-64-6

CHF 22,–
Euro 14,–

La storia di un meridionale che aspira al Nord e di un settentrionale che viene aspirato dal Sud.

La vicenda è ambientata a Catrojanni, Sicilia. Città che diventa – ad opera del ragioniere milanese Gualtiero Borletti (impiegato dell’Agenzia Internazionale Ricerche di Mercato finanziata dal governo degli Stati Uniti d’America) il teatro di un’incredibile operazione di Marketing.
Gaetano Zappalà – giornalista, direttore e fondatore dell’unico giornale cittadino – viene convinto dal nordico a collaborare con l’AGIRM per la buona riuscita del progetto.
L’operazione è il fulcro attorno al quale si muovono tutta una serie di personaggi che con il loro carattere,le loro convinzioni e manie riassumono lo spirito segreto del Siciliano preso come specie a sé, confrontato con un’altra specie diametralmente opposta, il Cisalpino.
Il romanzo di Domina è uno zampillare continuo di battute, trovate geniali e freddure con colpo di scena conclusivo.

Con “Contiene frutta secca”, l’autore ennese nel 1966 si aggiudica il premio “Bordighera” per la letteratura umoristica.


Umberto Domina (Enna, 1922 – Milano, 27 maggio 2006)
Umberto Domina era noto (in famiglia) per essere stato l’autore di alcuni libri umoristici e di un impianto elettrico che accendeva la luce del bagno quando si spegneva quella dell’anticamera.
Cominciò a scrivere a sei anni (allora le scuole materne non c’erano) e continuò imperterrito. Un suo romanzo, L’Anonima Concimi, è stato un duro colpo per la mafia. Gli altri, La moglie che ha sbagliato cugino, Garibaldi ore 21, Morti di nebbia, Siamo tutti umoristi, Ma tu pallida oliva, perché…, L’incredibile relatà sono stati un duro colpo per l’editore.
Ha scritto per la RAI (sketch) e per suo figlio (temi), ha vinto due volte il Premio Bordighera e raramente il Nobel, raccoglieva ogni sorta di stranezze e non sapeva dove fosse Terni.
Profondo cultore delle scienze esatte, quando non scriveva, escogitava.
Privo del più elementare senso dell’orientamento, trascorreva il tempo libero su tram che andavano nella direzione opposta. Si doleva di non essere mai stato l’unico superstite e di non aver mai assistito ad uno di quegli episodi che i giornali riportavano sotto il titolo: «Avvenente svedese si denuda improvvisamente per strada».


Estratti dai capitoli

Castrojanni è una città verticale. Si sale per andare dalla stazione in città, dal cimitero alla Chiesa Madre, dalla sala da pranzo alla camera da letto; per cui chi parte, muore o va a colazione, più che scendere precipita.
Le case non vengono costruite ma applicate al costone della montagna, come per fare da scalini ad un gigante e tra le più basse e quelle in alto il dislivello è tale che un comune trasloco costituisce un vero e proprio cambiamento d’aria.
Situata al centro della Sicilia per un deprecabile errore dell’istituto Geografico De Agostini, ha clima rigido, con vento neve e nebbia nella stagione invernale ed uno vagamente salubre in quella estiva. Ma splendido è il cielo: il più azzurro ed il più basso che esista, pieno zeppo di rondini che vagano a leggero contatto d’ali, bassissime, quasi a carezzare gli abitanti.

Una città unica nel suo genere, com’è facile capire. Una città che non poteva non essere prescelta dalla bizzarra sorte per dare i natali a Gaetano Zappalà, uomo ambizioso e stravagante che asseriva di avere scelto la professione di giornalista solo perché finiva in “ista”, persuaso com’era che le professioni in “ato” e “ore” – senza altra plausibile spiegazione – facessero schifo.
Come dire, insomma, che Gaetano Zappalà, pur essendo un uomo medio nel senso più statistico della parola, cercava di sortirne con ogni mezzo, compreso quello di un’originalità spinta. Anche se, ed assai spesso, si trovava nella penosa necessità di dovere dividere tale prerogativa con la maggior parte dei suoi concittadini.
Per il resto era un tipo normale. Uno di quei tipi, per intenderci, che se viene a cercarvi e voi non siete in casa, al vostro rientro la portinaia vi dice: «È venuto a cercarla uno». E basta.
Ma a conoscerlo bene appariva tutt’altro che mediocre. Senso spiccatissimo dell’umorismo, parola e battuta facile, assoluta superficialità nel giudicare e nel risolvere ogni sorta di problema, facevano di lui un amico interessante ed un compagno piacevole. E ne avrebbero fatto anche un marito ideale se la sua ostinata tendenza a considerare donne solo quelle che vivono al di là del Po non lo costringesse ancora oggi ad un prudente stato di celibato.
Scanzonato e timido, illogico e intelligente, stravagante e conformista: ecco la sua forza. Una sorta di incoerenza che lo rendeva simpatico non tanto ai suoi concittadini (che per atavica indifferenza si guardavano bene, del resto, dal giudicare l’operato altrui) quanto a se stesso.
Ora, dire che un uomo incoerente non ha alcun obbligo di essere coerente apparirebbe ovvio se non precisassimo che il giornalista Gaetano Zappalà non rispettava neppure la propria incoerenza: non aveva alcuna regola di vita, né morale né immorale, né logica né illogica. E poiché non aveva né moglie né figli, né superiori né prossimo cui dovere rispondere, era felice.
Il fatto che non avesse neppure lettori, era un fatto secondario.
La sua aspirazione, certo, era quella di trasferirsi al Nord. Ma sembrandogli banale perché condivisa da almeno il 97% dei giovani castrojesi, se la teneva rabbiosamente chiusa in sé.
Non tollerava infatti né l’ovvio né il luogo comune e li avversava anzi con una tenacia che sconfinava nella mania. Il disagio del Sud, ad esempio, egli l’avvertiva attraverso canali specialissimi: la gelosia, il fatalismo, la superstizione, la densità demografica lo lasciavano indifferente; lo indispettivano invece la furberia spinta a morale, il parlar complicato, il mito dell’eterna primavera, quello del profumo delle zagare e – chissà perché? – la Targa Florio.
Un uomo imprevedibile, insomma.
E poiché agli uomini imprevedibili accadono solitamente cose prevedibili, la vicenda che sta per avere inizio rappresenta un’eccezione.
I fatti risalgono all’estate del 1965, quando un caffè costava ancora cinquanta lire, un dollaro valeva seicento lire e la Sicilia era una zona depressa. Ma da quell’anno è come se fosse passato un secolo: non tanto perché il caffè costa oggi duecento lire, un dollaro vale novecento lire e la Sicilia continua a essere depressa, quanto, piuttosto, perché col ’65 è finita un’epoca.

Quando bussarono alla porta dell’ufficio di Zappalà erano esattamente le 9 e 31 del 7 agosto e l’abbigliamento del giornalista disponeva di due ciabatte, di un paio di pantaloni e di una canottiera.
La maniglia della porta girò lentamente ed un giovane entrò, con sorprendente simultaneità, nel suo ufficio e nella sua vita.
«C’è il direttore del giornale?» chiese.
«Non c’è» rispose Zappalà.
«Sono Gualtiero Borletti» disse l’altro.
«C’è» si corresse Zappalà ed indicò una porta.
Gualtiero Borletti lesse: «il direttore – si prega di busare» annotò sul suo taccuino la mancanza di quella “s” di sughero che aveva lasciato sul cartello una debole ma antichissima traccia di colla, bussò e non trovò anima viva.
Si guardò lentamente in giro.
Sul tavolo, tra i molti giornali, notò una copia del «Times», una pipa, un paio di forbici, un righello ed un piattino con alcune fette di carota.
Annotò: «carote» e seguitò l’ispezione.
L’ambiente era talmente squallido che a descriverlo si rischierebbe comunque di ravvivarlo. Il Borletti, freddo ed impassibile come un notaio, continuò ad appuntare:
– scaffale decrepito;
– libri inutili (Le parfait parfumier. Incremento del consumo di vinaccia nel maceratese. Il sesso dei coleotteri).
Borletti voltò pagina ed aggiunse:
– due sedie;
– cestino per la carta;
– quadro alla parete con il numero 1 de «La spada», quotidiano indipendente di Castrojanni.
Poi si avvicinò ad un rudere di macchina da scrivere, posò uno sguardo sul foglio appena inserito e completò mentalmente la frase con le lettere mancanti. Leggendo “a” in luogo di “q”, interpretando alcuni “%” “=&” riuscì a ricostruire lo storico avvio di un articolo di fondo:
«Amici lettori, queste sono le ultime parole che Gaetano Zappalà vi rivolge da queste colonne. Domani, il vostro Direttore lascerà Castrojanni. Per sempre.»
Borletti trasalì.
Se avesse letto: «Gualtiero Borletti è becco» il suo disappunto sarebbe stato certo di minori proporzioni, non solo e non tanto perché celibe quanto perché non avrebbe mai sospettato che il giornalista intendesse abbandonare Castrojanni!
Il quale giornalista, nella stanza accanto, infilatasi una camicia, andava ripassandosi la sua stravagante teoria sulla finale dei cognomi: «A, dal Sud. I, dal Nord. Ci sono gli U che sono sardi, tutti gli altri son bastardi… Borletti… Non può che essere un settentrionale. Milanese, forse».
Ed era stata questa strana teoria, confortata dalla non meno strana credenza castrojese che da un colloquio con un milanese dovesse necessariamente scaturire un affare, che aveva determinato il mutamento di rotta dello Zappalà quando prima s’era corretto, dicendo che il Direttore c’era.
Entrò quindi nel suo ufficio e si diresse verso l’ospite:
«Permette? Gaetano Zappalà, Direttore della “Spada”.»
Borletti fu istintivamente tentato di dirgli che si erano già conosciuti, ma tacque e gli tese la mano, incerto se prenderla alla larga o entrare subito nel vivo del discorso.
Soffriva di una forma di indecisione che è tipica dei giovani lombardi. La cosiddetta “american manual hesitation” che consiste nello starsene con un piede nella spontaneità e con l’altro in America. Così, pensando di doversi attenere alla norma del manuale che dice «Se conoscete le sue idee politiche, assecondatelo» lo fece e commise il suo primo errore.
«Caro Zappalà, ho anch’io notevoli simpatie per il socialismo…»
«Signore» intervenne l’altro rapidissimo «non avverto la necessità di quell’anche dal momento che io non nutro veruna simpatia per il socialismo.»
«Sulla porta d’ingresso avevo notato la testata dell’“Avanti!”» ribatté, mortificato, il Borletti «e credevo che lei ne fosse il corrispondente da Castrojanni…»
«Quel ritaglio di carta sta per indicazione generica di Entrate pure… Se esistesse il giornale “Accomodatevi”, democristiano, ne avrei usata la testata senza discriminazioni ideologiche.»
«Comprendo» rispose il Borletti che in effetti non aveva compreso ed appuntò sul taccuino un rapido: «Avanti!»
Poi il telefono squillò.
«Chi va là?» fece automaticamente il giornalista sollevando la cornetta.
«Chi va là, un corno! Sono Impellizzeri. Chi parla?»
«Macelleria Lo Giudice» rispose Zappalà.
Borletti dilatò gli occhi ed annotò un «Chi va là?» ed una «Macelleria Lo Giudice» che furono seguiti da diciassette punti esclamativi solo perché sul foglio non ce ne stavano altri.
Appare evidente che il primo contatto Borletti-Zappalà, pur tenendo conto del dirottamento telefonico di quest’ultimo, si avviava verso il più completo insuccesso.
Il giornalista, non sospettando che il Borletti era destinato ad entrare nella sua vita e indispettito dall’allocuzione sul socialismo, aveva trascurato la sua teoria cognometrica ed aveva trattato il titolare di una finale “i” come un normale finalista in “u”; mentre il Borletti, dal canto suo, per seguire il manuale era uscito di strada.
Delicata situazione, la loro. Un rappresentante del Nord ed uno del Sud si incontravano in un evento che minacciava di diventare più storico di quello di Teano. Partivano entrambi da posizioni di favore (perché il meridionale avvertiva quel necessario complesso di inferiorità che consente al Nord di concludere i propri affari ed il settentrionale era vittima di quell’immancabile fascino del Sud che permette al Sud di approfittarne…) eppure, eccoli lì, bloccati! Il Borletti – parlatore e persuasore di professione – bloccato dalla gravità di ciò che stava per dire e lo Zappalà – scanzonato e stravagante – bloccato dalla sorpresa di quella visita.
Poi, finalmente, il cisalpino chiuse il manuale che aveva in testa ed entrò decisamente in argomento:
«Vengo da Milano…»
«Ovvio» sussurrò lo Zappalà, con riferimento all’affare delle finali.
«Vengo da Milano ed ho bisogno del suo aiuto per eliminare un possidente cinquantacinquenne, sesso maschile, coniugato con due figli, reddito annuo 12’000’600 lire più una casalinga, ventunenne, sesso femminile, nubile, reddito inferiore alla media.»
Aveva parlato d’un fiato.
Gaetano Zappalà chiuse gli occhi ed alla sua mente si affacciarono, confusi e disordinati, i concetti di pazzia, di mafia e di spionaggio.
Pensò anche ai messaggi speciali di guerra.
Poi si mise a sedere, pallidissimo, e quando ritenne di dover urlare non ci riuscì. Tentò allora di qualcosa ma continuò ad aprire la bocca a vuoto come fanno i pesci e appena l’altro gli porse una scatola d’argento rifiutò.
«No, grazie», disse «fumo la pipa» cominciando a riempirla con estrema lentezza per prendere tempo.
Indi, eseguito un rapido conteggio delle ipotesi ed accortosi che erano una ne cercò conferma:
«Scusi, signor Borletti, mi sbaglio o lei è pazzo?» chiese.
«No, Zappalà» fece l’altro serissimo, come se gli avesse chiesto se era ammogliato. «Sono un funzionario dell’AGIRM: Agenzia Internazionale Ricerche di Mercato.»
«Ah…» rispose il giornalista, dando l’impressione che lo smontaggio della sigla avesse chiarito la faccenda.
«Ha capito, ora?» ribatté il Borletti.
«No!» fece Zappalà.
«Non importa, capirà quando avrà letto questo breve promemoria.» E gli consegnò una busta.
Poi si alzò, indicò il quadro con la copia numero 1 de «La spada» e con fare stentoreo pronunciò la storica frase:
«Lei è il Direttore dell’unico quotidiano castrojese. Lei fa l’opinione pubblica: io farò la sua fortuna.»
Salutò il giornalista (se avesse salutato una statua sarebbe stata la stessa cosa) ed uscì.

Una giornata qualsiasi quell’x meno 90, come dicevamo all’inizio, ma non per Gaetano Zappalà che si trovava ad un bivio dotato di due cartelli. Uno che indicava: «lire 500’000 mensili. rallentare» e l’altro: «operazione pericolosa». Ma non essendo riuscito a prendere sonno, oltre che al bivio si trovava anche in quella maledetta redazione dalle cinque del mattino.
Lo scritto del Borletti l’aveva scolpito in testa, parola per parola, virgola per virgola e mai prima di allora aveva sospettato che il termine promemoria andasse preso alla lettera.
Riafferrò per l’ennesima volta il foglio lasciatogli dal settentrionale, lo spiegò scrupolosamente davanti a sé, afferrò una fetta di carota e guardandolo svagatamente rilesse:
«Promemoria per il Dr. Gaetano Zappalà.
«Premesse e meccanica dell’operazione C.
«Premesso che l’Agenzia Internazionale Ricerche di Mercato (AGIRM) ha ricevuto l’incarico dal governo degli USA di svolgere una vasta indagine nelle zone depresse del Sud Italia (ZODESIT) per stabilire l’esatta destinazione del reddito di quelle popolazioni, onde esaminare l’opportunità di effettuare alcuni rilevanti investimenti finanziari in dette zone;
«Premesso che dopo due anni di scrupoloso lavoro l’AGIRM è venuta in possesso di tutti i dati relativi ad ogni singolo abitante di dette zone, quali: attività, mestiere, professione, età, sesso, stato civile e reddito annuo;
«Premesso altresì che il problema è quello di conoscere come realmente i depressi spendano il modesto reddito di cui dispongono, onde evitare che gli investimenti targati USA vadano poi a finire in generi voluttuari o – si fa per dire – a donne;
«Premesso che per condurre un’indagine del genere non è necessario intervistare tutti coloro che dell’inchiesta formano oggetto ma che basta operare su di un determinato campione;
«Premesso che dei classici campioni formati di mille unità, l’AGIRM, per prudenza, fa uso molto limitato;
«Premesso che nella fattispecie il campione non poteva essere costituito da meno dell’1% dei depressi e che i depressi ammontano a 3’335’000;
«Premesso altresì che per un rarissimo ma non assurdo gioco delle coincidenze la città di Castrojanni (Sicilia) raggruppa esattamente 33’352 persone perfettamente suddivise nelle classi desiderate dall’ipotesi del campione: secondo cioè l’attività, il mestiere, la professione, l’età, il sesso, lo stato civile ed il reddito annuo voluti;
«L’AGIRM è venuta nella determinazione di: abbandonare il tradizionale sistema di indagine condotta attraverso questionari ed interviste, traendo vantaggio dal fatto di poter disporre di un campione già bello e pronto.
«I due elementi da eliminare (metaforicamente) dal campione, perché risultano in più, sono:
« – un possidente cinquantacinquenne, sesso maschile, ammogliato con due figli, reddito annuo 12’000’600;
« – una casalinga, sesso femminile, nubile, reddito annuo inferiore alla media.
«Il Dr. Gaetano Zappalà, in qualità di direttore de “La spada” potrà offrire il suo valido apporto all’Operazione C convincendo i Castrojesi – attraverso il quotidiano da lui diretto – che essi, avendo la fortuna di far parte di un eccezionale campione, hanno tutto l’interesse di collaborare al buon esito dell’esperimento.
«Firmato: G. Borletti
«PS. Al Dr. Zappalà verrà corrisposto un rimborso spese di L. 500’000 mensili per tutta la durata dell’anno C.»
Eccolo il dannato PS del C!
Cinquecentomila lire al mese nel ’65 avrebbero fatto impazzire anche un nordico. Figurarsi un modesto giornalista di provincia che aveva più volte ammesso di non avere mai ricevuto un assegno con un numero di zeri superiore a cinque…
Gaetano Zappalà sollevò gli occhi dal dattiloscritto e riaccese la pipa, sebbene, più che altro, si limitasse ora a respirare affannosamente attraverso un bocchino di radica…
D’accordo sulle premesse. Ma le conseguenze? Che il piano, da un punto di vista tecnico, fosse realizzabile o meno era una faccenda di stretta pertinenza dell’AGIRM. Ma dal punto di vista giuridico, si trattava di un fatto lecito?
Non che Zappalà fosse un onesto, ché, anzi, lo era moderatamente. «L’onestà» sosteneva infatti con formula assolutamente personale «ha la stesa unità di misura dei motori: l’HP (Honestas Provisoria)» e lui stesso si definiva un onesto da 30’000 HP perché tale era la cifra massima che aveva avuto il coraggio di rifiutare. Ma qui si trattava di ben 6’000’000 HP…

Gaetano Zappalà nascose istintivamente lettera e assegno sotto la copia del «Times» ed alzò la cornetta.
«Parlo con la macelleria Lo Giudice?» fece una voce dall’altra parte del filo, imitando il sistema di dirottamento telefonico del giornalista.
«Borletti, non faccia dello spirito fonico e venga a trovarmi» disse lo Zappalà attraverso la pipa. «Ho bisogno di parlarle.»
A Gaetano Zappalà, la battuta della macelleria Lo Giudice non era dispiaciuta. Tutto sommato, gli era simpatico quel Borletti. Fosse il PS del PM, fosse il fascino del Nord, sentiva che quell’uomo stava per diventargli amico.
Borletti alla risposta telefonica dello Zappalà dovette precipitarsi se giunse in redazione pochi secondi dopo, quasi provenisse dalla cornetta.
Vestiva un impeccabile abito di grisaglia chiara con cravatta a righe ed aveva un’espressione serena, sorridente: un’espressione da manuale. Sapeva per certo che quello sarebbe stato un colloquio decisivo e c’era da giurarci che prima di uscire aveva dato un rapido sguardo a: L’arte di riuscire simpatici.
Povero cisalpino… E pensare che il modo più semplice per riuscire simpatici è quello di esserlo. Con l’aggravante che i cisalpini il più delle volte lo sono, ma temendo di non farcela annaspano in un mare di manuali (sorridono, si occupano della nostra salute, ci chiedono notizie degli affari e dei figli…), poi si stufano e vanno giù piatti. Insomma, partono a braccetto dell’America e poi la mollano per strada.
Il colloquio con Zappalà aveva infatti preso ancora una volta l’avvio sul binario sbagliato e la colpa era stata, ancora una volta, del nordico per quella sua dannata mania («Colpisci l’avversario con la conclusione») di iniziare il discorso dalla fine.
«Per prima cosa, caro Zappalà, qui abbiamo bisogno di un giornalista…»
«Già, perché sino ad oggi il giornale chi l’ha fatto? Un idraulico?» rispose l’altro, risentitissimo.
«Intendevo dire che abbiamo bisogno di un giornalista in più. Di un altro giornalista disposto ad immolarsi per la… nostra causa.»
«Lei parla come se io avessi già accettato» fece Zappalà scuotendo il capo.
«Lo ritenevo scontato, dal momento che è stato lei a sollecitare questo colloquio. Del resto il mio promemoria era chiaro…»
«Un corno.»
Borletti chiuse gli occhi e Zappalà ingoiò una fetta di carota.
«Non mi dirà che non ha capito nulla?» chiese il cisalpino.
«Glielo dirò.»
«Nulla?»
«Le premesse, sì. Ma le conseguenze? E l’utopia di certe situazioni?»
«Cioè?» chiese il Borletti.
«Prenda ad esempio quest’altro giornalista che lei vuole assumere. Tra i castrojesi non può certo sceglierlo perché non esiste e se scegliesse, metti caso, un manovale che ha l’hobby dello scrivere, l’equilibrio statistico delle qualità professionali del campione andrebbe a farsi benedire.»
«Zappalà, vede dunque che lei ha capito?»
«Le premesse sì, come le ho già detto, ma io mi preoccupo delle conseguenze…»
«Delle conseguenze, se mai, dovrà preoccuparsi l’America!» ribatté il Borletti. E con questa asserzione che stava tra lo spavaldo e lo storico, si alzò.
«Mi stia bene a sentire, caro direttore, questo giornalista ci serve e noi lo scoveremo. Qui, a Castrojanni.»
«Le ho già notificato» replicò Zappalà lusingato dal “caro” ma cocciuto «che a Castrojanni c’è un solo giornalista e che questo, modestamente…»
«È lei, d’accordo. Ma ci sarà pure in questo benedetto paese un altro che sappia scrivere?»
«Certo. Ma se lei mi dice che ha bisogno di un bouquet di fiori, io non posso sottoporle una corona da morto…»
Il cisalpino apprezzò la delicatezza dello Zappalà che pur piazzandosi in un bouquet aveva scelto un paragone estremamente dignitoso, ma capì anche che non avrebbe gradito nel suo ufficio nessun altro genere di flora.
«Ed ella tenga presente, caro Borletti, che io non sono un chiromante. Prima mi chiede un giornalista e poi mi fa capire che si accontenterebbe anche di un calligrafo…»
«Non ho detto questo. Giornalista, per me, è un termine generico che sta per individuo che si occupa di giornali…»
‘Costui, da piccolo dev’essere stato operato di etimologa’ pensò Zappalà con un’espressione ironica sul viso che il borletti, intento a far procedere sul binario unico del proprio cervello il convoglio che aveva in testa, non notò.
«Insomma, io questo… scrivente l’avrei già trovato» concluse il nordico.
«Fuori il nome del letterato» esclamò Zappalà con un sorriso beffardo.
«Non sarà un letterato, ma è un gran simpatico. Si chiama Beniamino Coppola. Lo conosce?»
Il giornalista assunse l’aria di uno che alle domande ovvie non risponde e disse:
«Certo che è simpatico… Ma quanto a scrivere, dubito che riesca a completare la propria firma senza che una profonda agitazione si impadronisca di lui…»
«Le ho già detto che non cerchiamo un genio, ma una testa di legno. A scrivere sarà lei…»
«Le spacerebbe chiarirmi la faccenda?»
«Certo. Abbiamo bisogno di un giornale di opposizione controllato da noi. Lei scriverà e Coppola firmerà. Nessuno, ovviamente, dovrà conoscere il nostro accordo…»
«Chiaro» fece lo Zappalà. «Ma perché il Coppola?»
«Anzitutto perché non dispone di un reddito proprio e la sua posizione statistica non ha quindi alcun peso per il campione. Secondariamente perché un giornale di opposizione in mano ad un vero professionista, anche se controllato, può diventare un’arma pericolosa. Infine perché avevamo bisogno di un elemento estroso, stravagante: di un elemento rappresentativo, insomma, che godesse della fiducia dei castrojesi.»
«Lo assuma» rispose Zappalà «Ma lo faccia con cautela… Si guardi dalle sue trovate: Coppola ha più fantasia che globuli rossi. E non gli lasci intendere, soprattutto, che abbiamo bisogno della sua opera. Deve poter credere che l’idea di collaborare con noi sia sua e non nostra…»
«È pane per i miei denti» esclamò il Borletti digrignandoli ed alludendo ai suoi american manuals. Poi seguitò a parlare dell’Operazione C con l’aria più indifferente di questo mondo, come se quello che stava per dire fosse chiaro ed ovvio:
«I dodici funzionari dell’ICM verranno invece dal Nord. Sono milanesi e americani…»
Gaetano Zappalà, intento a notare con quanta disinvoltura il Borletti aveva rovesciato l’ordine alfabetico, non diede alcun peso all’arrivi dei dodici.
«Essi…» proseguì il Borletti.
«Essi, chi?» interruppe Zappalà.
«I dodici! Essi, dicevo, non potranno abitare a Castrojanni. Si fermeranno a CL ed ivi installeranno le loro macchine.»
«Signor Borletti,» chiese il giornalista piuttosto sorpreso «Si mette a parlare in termini automobilistici, ora?»
«No, Zappalà: debbo avvertirla che CL è la sigla elettronica di una città a noi limitrofa e che anche Castrojanni dovrà tramutare il suo nome in C. Almeno per un anno.»
«A parte il fatto che questa faccenda della C manderà in bestia i castrojesi, vorrei sapere perché CL potrà disporre di due lettere e Castrojanni di una sola…»
«Zappalà, non faccia del campanilismo per favore! La questione, del resto, interessa solo le macchine dei nostri funzionari. Gli elettrocalcolatori ICM.»
Il cisalpino era un fervente sostenitore del cosiddetto metodo retrodeduttivo.
«Cominciando dalla fine» spiegò il Borletti a Zappalà «risparmio oltretutto del tempo perché mi limito a fornire all’interlocutore solo quelle spiegazioni che l’interlocutore mi chiede.»
«Poiché stavolta l’interlocutore, modestamente, sono io e poiché esso rischia il ridicolo» fece Zappalà seccatissimo «perdiamo un po’ di tempo e sentiamo perché i dodici funzionari americani e milanesi (aveva ristabilito l’ordine alfabetico) dovranno accamparsi a CL, come dice lei, e non a Castro… pardon, a C. E che cosa hanno a vedere le macchine ICM con l’Operazione C.»
Seguì un attimo di silenzio, poi il Borletti riprese:
«I dodici funzionari milanesi e americani non potranno… entrare nel campione perché ne turberebbero l’equilibrio demografico. Le macchine ICM, azionate dai dodici, elaboreranno i dati parziali del denaro perforato.»
«Ed io, se lei permette, mi libero il Gianicolo con il collo di una polpetta!» esclamò urlando il giornalista.
«Zappalà?» balbettò il cisalpino, mentre con mano tremante annotava sul suo taccuino: ‘Liberarsi il Gianicolo con polpette’.
«Borletti, straguardiamoci negli occhi! Lei è padrone di introdurre nel discorso frasi sconnesse, ma se lo faccio io lei si stupisce…»
«Non so a quali sconnessioni alluda…»
«I soldi perforati le sembrano connessi?!» chiese il giornalista.
«Abbia pazienza e mi segua» disse l’altro alzandosi in piedi, con aria tra avvilita e disfatta.
Zappalà si alzò e lo seguì. Poi capì di avere fatto una sciocchezza e ne suddivise equamente la colpa tra la stanchezza, il Nord Italia, l’America e qual dannato «C’è» pronunciato un giorno non lontano nel corridoio del proprio ufficio.
«È stanco, Zappalà?»
«No, grazie.»
«Allora proseguiamo» ripeté il Borletti. Gaetano stavolta non si mosse. «Fra tre mesi, dopo la campagna stampa condotta dal suo quotidiano… A proposito, Zappalà, perché si chiama “La spada”? Non le sembra un po’ fesso?»
«Borletti, non divaghi» berciò il giornalista come se gli avessero offeso la sorella.
«Fra tre mesi, dicevo, saranno messe in circolazione schede perforate del valore di dieci, cinquanta, cinquecento, mille, cinquemila e diecimila lire. I castrojesi potranno spendere, durante l’anno dell’esperimento, soltanto queste schede-denaro. Mi segue?»
«Vada avanti.»
«Le schede verranno distribuite dalle banche i primi cinque giorni di ogni mese contro i valori monetari versati dai singoli. Ovviamente, ciascuno riceverà le proprie schede. Le schede cioè preventivamente forate secondo la propria età, il proprio sesso, il proprio stato civile, eccetera, eccetera. Queste schede-lire, spese in luogo del comune denaro, alla fine dell’anno C ci racconteranno la storia vera ed inconfutabile del movimento del reddito di 33’350 castrojesi, cioè del campione. Cioè ancora, degli abitanti delle zone depresse del Sud.»
«Prima obiezione, signor Borletti» interruppe Zappalà con l’aria di un vigile che dica: Non ha visto il rosso? «E coloro che incassano schede-lire e poi non le spendono? I risparmiatori intendo…»
«I risparmiatori, per l’America sono esseri improduttivi e dunque irrilevanti per la nostra indagine.»
Splendida intuizione, quella del Borletti. Un’intuizione che precorreva il tempo in cui le azioni dei poveri risparmiatori non sarebbero valse – come non valgono – neppure la carta necessaria a stamparle, i soldi depositati in banca si sarebbero svalutati a vista d’occhio e il termine “Buoni del Tesoro” avrebbe assunto un significato assolutamente ironico.
Borletti aveva pronunciato l’ultima frase col viso scuro e tirato di chi ha un fatto personale coi risparmiatori mentre Zappalà dal canto suo, considerata l’opportunità di mandare a monte le scarse cognizioni di economia politica di cui disponeva o il futuro stipendio, aveva optato a favore del secondo ed aveva pregato l’altro di procedere.
«Per me avrei anche finito. Aggiungerò comunque che a fine anno le schede entreranno nelle calcolatrici elettroniche per il computo finale.»
«Scusi ragioniere» (l’uso del titolo voleva essere leggermente polemico) «beve un caffè?»
«No, grazie.»
«Dico, la mattina lei un caffè lo beve?»
«Certo, ma non capisco…»
«E no, stavolta sono io che le faccio un discorsetto capovolto… Lei prende un caffè e dà al barista una scheda da cinquanta lire: esatto?»
«Esatto» rispose il Borletti.
«Ed il barista, se ha voglia di leggersi il giornale, si legge… la scheda!» fece baldanzoso Zappalà.
«Non afferro.»
«Le vengo incontro. Se al barista viene voglia, metti caso, di comperarsi un giornale, non può farlo. Non può farlo perché se spendesse la scheda da cinquanta ricevuta da lei ed il giornalaio acquistasse con quella scheda una rosa per la fidanzata ed il fioraio corresse poi in banca a depositare la scheda, si avrebbe che la famosa macchina ICM ti sputa la seguente sentenza: Ciccio Caccamo, barista, ammogliato con figli nove, spende il suo reddito in rose!»
«Obiezione accolta» ammise il Borletti. «Dimenticavo un particolare: le colour machines.»
«E i benzi fumoni?»
«Zappalà, ci risiamo?» chiese il cisalpino senza, stavolta, prendere appunti.
«E lei ci riè col turcamericano??»
«Non mi ha lasciato completare il discorso…»
In quel momento il telefono squillò.
«Chi squilla?» chiese Zappalà.
«Come, chi squilla?»
«Sì, insomma, chi trilla?»
«Chi trilla un cornaccio porco!! Sono Don Mericio Calcaterra. C’è il Direttore?»
«La macelleria Lo Giudice è un’azienda a conduzione famigliare e non ha direttori» fece Zappalà parlando in falsetto.
«Grazie per l’attenzione» riprese il Borletti. «Il discorso delle colour machines meritava di non essere interrotto… Verrà distribuita, dicevo, a ciascun castrojese una piccola macchina…»
«Elettronica, ovviamente?»
«Ovviamente. Una macchinetta non più grande di una radiolina a transistor. Le schede-lire non saranno valide, non avranno cioè valore monetario se non saranno di colore rosso, mentre, in realtà, esse saranno di colore bianco…»
«Bello scherzo del cavolo!» fece Zappalà.
«… diverranno però rosse appena introdotte nella colour machine anche per un solo istante: il tempo cioè che la macchina registri su di una memoria magnetica la provenienza, diciamo così, statistica del possessore della scheda. Faccio un esempio…»
«Se permette glielo faccio io» intervenne rapido e vispo lo Zappalà. «Io vado al cinema, ho la mia brava scheda da trecento bianca, al cinema c’è una colour machine, infilo, diventa rossa, la do al botteghino e a Padre Guglielmo tolgono la Messa.»
«Che c’entra Padre Guglielmo, adesso?»
«C’entra sì, perché il proprietario del cinema, l’indomani paga con la mia scheda un’onoranza funebre per il trigesimo della morte di…»
«Tralasci i dettagli, la prego.»
«Tralascio. Paga un’onoranza funebre, dicevo, e la nostra ICM stabilisce che Padre Guglielmo va a godersi i film di Brigitte Bardot.»
«Zappalà, stavolta ha ragione lei.»
«A Padre Guglielmo piace la Bardot?»
«No: ha ragione lei perché dovevo precisarle che la scheda, appena uscita dalla colour machine è sì rossa ma ridiventa bianca pochi minuti dopo, giusto il tempo di essere spesa. Per tornare ad avere valore, ad essere cioè rispendibile, bisognerà rimetterla nella macchinetta. Un semplice fenomeno elettrochimico…»
«Semplice ed ingegnoso» concluse il giornalista e, conciliante, tacque. Ma se il suo pensiero avesse goduto delle prerogative dei film con didascalie, Borletti avrebbe potuto leggere all’altezza del torace di Zappalà: ‘E chi se ne frega? L’unica cosa chiara è che 500’000 per 12 fa sei milioni!’.
«Dottor Zappalà, ci sta?»
«Ci sto con l’avanzo di quattro» rispose l’altro che stava ancora facendo i conti.
«Ne sono felice» concluse il borletti stringendogli la mano. La dibattutissima Operazione C poteva considerarsi varata.


RECENSIONI

Contiene frutta secca

Con quest’opera l’autore vinse nel 1966 il Premio Bordighera per la letteratura umoristica.
Domina (Enna 1922 – Milano 2006) è nome noto per lavori di tal genere.
La forma del romanzo si addice alla sua scrittura in cui è costante il ricorso a ‘trovate’ con un linguaggio volutamente à la page e dialoghi ricchi di verve.
La storia inizia in Sicilia, a Castrojanni, località non facilmente reperibile sulle carte geografiche.
Numerosi gli spunti di intelligente ironia, come ‘A quei tempi erano ancora di moda gli scrupoli’ (p. 43). C’è la prospettiva di ciò che sarebbe divenuta la società di oggi: si vedano a p. 151 e 155 quei ‘riporti linguistici’ che connotano un’epoca ma ne preludono un’altra.
Luciano Nanni, Literary.it nr. 11/2009


La trama è esile, quasi un pretesto per dar vita a dialoghi brillanti, descrizioni vivaci e invenzioni linguistiche in un libro che si lascia leggere non tanto per quello che racconta, ma per come lo fa.
Questo è a grandi linee l’identikit di Contiene frutta secca, agile romanzo scritto intorno alla metà degli anni Sessanta da Umberto Domina (1922-2006), umorista, scrittore e autore di programmi televisivi, nato a Enna, ma radicatosi poi a Milano.
Proprio l’originaria Sicilia e il capoluogo lombardo sono i due universi da cui nascono i personaggi e le vicende dei libri di Domina e Contiene frutta secca non fa eccezione.
La vicenda narrata nel libro prende le mosse nel 1965 a Castrojanni, cittadina della Sicilia che altri non è che Enna, chiamata con il suo nome antico. Qui giunge il milanesissimo ragionier Gualtiero Borletti deciso a fare della città il teatro per una grande operazione di marketing, una gigantesca ricerca di mercato che coinvolge l’intera cittadinanza Castrojese. A finanziare il tutto è l’AGIRM, l’Agenzia Internazionale Ricerche di Mercato, controllata addirittura dal governo degli Stati Uniti d’America!
Da vero settentrionale, anzi “Cisalpino” come lo definisce Domina, Borletti ha il culto delle regole, della precisione e della programmazione, una passione sfrenata per la modernità e l’efficienza americana, ma a Castrojanni entra in contatto con un mondo diverso, stravagante e saggio, regolato allo stesso tempo da follia e un buon senso millenario. Questo mondo ha il suo fulcro in Gaetano Zappalà, fondatore, direttore e unico lettore del solo giornale della città. I due personaggi prima si annusano, poi si scornano, quindi imparano ad apprezzarsi reciprocamente lavorando assieme all’operazione avviata da Borletti. Il loro diventa un incontro – per usare le parole dell’autore – “tra un meridionale che aspira al Nord e un settentrionale, che viene aspirato dal Sud” e da Borletti e Zappalà nasce un uomo nuovo, Borzalà, capace di unire alcune delle caratteristiche di entrambi. In questo senso il libro è un piccolo omaggio agli italiani e alle loro differenze e lontananze, non così grandi da non sentirsi in fondo simili, accomunati nelle esperienze e desiderosi di assomigliarsi più di quanto siano disposti ad ammettere.
Come ci dice l’autore, gli abitanti di Castrojanni, da buoni meridionali, esaltano la bontà dei Bucciddati, i tipici dolci siciliani alle mandorle, ma poi mangiano il panettone a Natale. E tanti lombardi come il Borletti si innamorano della Sicilia e la lasciano con nostalgia, anche se magari non lo ammetterebbero mai ad alta voce.
Un libro carico di ottimismo, da Italia anni Sessanta, un Paese ancora rurale e provinciale, ma con lo sguardo rivolto all’America e al futuro. Una parentesi di lettura allegra, con un bellissimo ritratto del capoluogo lombardo – anche qui una Milano un poco mitica, tutta protesa nel boom economico del dopoguerra – sempre per bocca del cisalpino Borletti: “Io provengo da una città dove la mattina, se voglio vedere che tempo che fa, invece della finestra posso aprire l’armadio che tanto è lo stesso. Dove imperversa una nebbia tale che se la sera rincaso è perché, la sera, non esco. Dove, se esiste un miracolo, esiste il miracolo di come fai a sopravvivere con un toast, una birra e qualche metro cubo di aria catramata mandati giù dalle 12.20 alle 12.45, ma dove – porcôn d’un diavôl – si vive!”.
di Roberto Roveda, Ticinosette nr. 50, 4.12.2009


L’ UMORISMO DI DOMINA

Castrojanni è una città verticale. Si sale per andare dalla stazione in città, dal cimitero alla Chiesa Madre, dalla sala da pranzo alla camera da letto; per cui chi parte, muore o va a colazione, più che scendere precipita. Le case non vengono costruite ma applicate al costone della montagna, come per fare da scalini ad un gigante e tra le più basse e quelle in alto il dislivello è tale che un comune trasloco costituisce un vero e proprio cambiamento d’ aria. Situata al centro della Sicilia per un deprecabile errore dell’ Istituto Geografico De Agostini, ha clima rigido, con vento e nebbia nella stagione invernale ed uno vagamente salubre in quella estiva. Ma splendido è il cielo: il più azzurro ed il più basso che esista, pieno zeppo di rondini che vagano a leggero contatto d’ ali, bassissime, quasi a carezzare gli abitanti. Per il resto è una città del Sud con tutte le carte in regola. La strada principale si chiama ovviamente via Roma ed anche ora che è cresciuta, che si è agghindata di qualche neon e si è vista spuntare due piccoli semafori ha mantenuto le grinze dell’ antica strada eletta a passeggiata festiva dei castrojesi. Numerosi i circoli, dove i giovanissimi parlano di sport, i giovani di donne o di evasione e i vecchi di politica. Con la tacita intesa che alla morte dei vecchi, giovani e giovanissimi avanzeranno di argomento. Troppi gli uffici, uno i musei, molti i bar, due i cinema e 5 i teatri (come vedremo). Uno l’ autobus che, con artificio non del tutto inutile…

Se vi capita in questi giorni, come di certo accadrà, di entrare in libreria per fare un regalo o pensare a voi stessi, chiedete subito di Contiene frutta secca di Umberto Domina (Gabriele Capelli editore, 180 pagine, 14 euro).
Di certo, lo scrittore di Enna, riscoperto da questo giornale e rilanciato con un convegno organizzato nella sua città natale qualche anno fa e con la ristampa per i tipi di Sellerio di La moglie che ha sbagliato cugino, vi terrà compagnia, nei giorni di vacanza, deliziandovi col suo sguardo al vetrioloe la rappresentazione di una Sicilia un po’ seppiata, ma pur sempre vera. Il romanzo in questione ha un perfetto incunabolo nella bandella di copertina: un giorno qualcuno dovrà allineare i risvolti dei libri umoristici pubblicati tra gli anni Cinquanta e i Settanta in Italia: ne verrà fuori una godibilissima antologia, una sorta di involontaria storia letteraria dell’ umorismo nostrano. Chiusa parentesi. Tornando a Domina, Contiene frutta secca, che valse all’ autore il premio Bordighera per la letteratura umoristica, fu scritto da uno che, come si legge nelle pagine proemiali, «rischiando di divenire settentrionale in seguito al matrimonio con tua madre (lo scrittore si rivolge alla figlia, n. d. a.), aveva inteso ribellarsi coraggiosamente alle ferree norme di coerenza e di logica che vigono in quest’ America d’ Oltre Po». Insomma, lasciata la Sicilia per il Nord operoso e industriale, mosso probabilmente da una certa amarezza per «le cose e la gente del Sud», Umberto Domina, una volta messo piede in territorio straniero, sentì vacillare le sue tronfie certezze. E in questo pendolare atteggiamento, fatto di ritrosia e ripiegamenti, di fughe rapinose e di dolenti ritorni, sta la forza della sua scrittura e l’ impatto sorprendente delle sue storie.

E il romanzo da poco ristampato è la quintessenza di Domina meridionale moderato e settentrionale pentito. Contiene frutta secca, da leggere con la consapevolezza che appartiene a una stagione gloriosa, quella dei romanzi umoristici, oggi messa in crisi da comici grafomani e quasi sempre noiosi, è infatti una ricapitolazione vertiginosa di usi, costumi, abitudini, tradizioni di un Sud tallonato dal demone del progresso, dannato al pericolo di una devastante ma liberatoria estinzione. Dal canto suo, Domina, con le viscere abbarbicate alla Sicilia, ma col senno disincantato e corrosivo, e quindi refrattario a pericolosi sciovinismi, racconta in queste pagine una catena di episodi per la maggior parte veri, come si legge ad apertura, anche perché all’ autore non è riuscito di «trovarne altri di più assurdi» (è un po’ quello che sosteneva Conrad, affermando che la realtà è più fantastica della stessa fantasia).

Sullo sfondo dunque di una città riconoscibilissima, Enna (Castrojanni è il toponimo utilizzato da Domina), nella sua struttura verticale («si sale per andare dalla stazione in città, dal cimitero alla Chiesa Madre, dalla sala da pranzo alla camera da letto»), situata al centro della Sicilia «per un deprecabile errore dell’ Istituto Geografico De Agostini». A incrinare la calma piatta del posto, ci pensa il ragioniere milanese Gualtiero Borletti, impiegato dell’ Agenzia Internazionale Ricerche di Mercato che gode dei finanziamenti del governo degli Stati Uniti d’ America. Il quale riesce a persuadere Gaetano Zappalà, giornalista, direttore e fondatore dell’ unica testata cittadina, al fine di realizzare una incredibile, mirabolante, futuristica operazione di Marketing. Ora, attorno a questo motore mobile dell’ azione, si muovono personaggi scoppiettanti, a metà tra la macchietta e il topos letterario, correlativi oggettivi del meglio e del peggio della cultura isolana.

A mettere in moto le vicende, c’ è sempre uno scatto surreale, un pretesto metafisico, un guizzo umoristico, soprattutto nella parte iniziale e finale del romanzo.
Nel mezzo, l’ impresa finanziaria che viene organizzata con meticoloso puntiglio, si dispiega con un eccesso di particolari, di azioni minute, che costipano la pagina di Domina, rallentando il ritmo e intorpidendo ogni tanto il lettore. Che però, quando meno se l’ aspetta, si riprende per una boutade geniale, per uno spiazzante cortocircuito.

Ma veniamo al titolo, a quel misterioso e un po’ onirico Contiene frutta secca. La spiegazione la ritroviamo a pagina 65: «Vorrei qualche delucidazione supplementare sul fenomeno della frutta secca» chiede il ragionier Borletti a tale Coppola. Il quale risponde: «Le ho già detto che quel contiene frutta secca, scritto immancabilmente su tutti i pacchi in partenza da Castojanni, lo (riferito a Zappalà, n. d. a.) indispettisce perché vi intravede il simbolo dell’ immobilismo locale. Ecco tutto». Per il protagonista del romanzo di Domina, infatti, il motivo per cui tutti i castrojesi spediscono solo frutta secca è la mancanza di fiducia nello Stato. «Un pacco che non contenesse frutta secca verrebbe certamente manomesso» è la chiosa ulteriore. A dimostrazione ulteriore, se ce ne fosse bisogno, che il romanzo di Domina, in prima battuta umoristico, pian piano diventa qualcos’ altro: ossia, involontario trattato antropologico, volontarissimo romanzo politico.

SALVATORE FERLITA, Repubblica, 20 dicembre 2009


Contiene frutta secca

Noto per i suoi libri umoristici e per alcuni sketch scritti per la Rai, Umberto Domina con questo romanzo ha vinto nel 1966 il Premio Bordighera per la letteratura umoristica.
È la sua Sicilia – la cittadina di Catrojanni, esattamente – a fare da sfondo alla vicenda narrata che vede come protagonisti un ragioniere milanese, Gualtiero Borletti, impiegato dell’Agenzia Internazionale Ricerche di Mercato finanziata dal governo degli Stati Uniti d’America, e un giornalista, Gaetano Zappalà, convinto a collaborare con lui ad un’operazione di Marketing.
Tutt’intorno si muovono una serie di personaggi che, come apprendiamo dallo scrittore nell’Introduzione dedicata alla figlia Jenny, corrispondono a figure reali anche se, citiamo: «cedendo alle cortesi insistenze dell’art.595 del Codice Penale – ho preferito usare nomi e cognomi di fantasia».
L’ironia regna ovunque: nell’accostamento tra due realtà diametralmente opposte, quali possono essere quella siciliana e quella lombarda; nella descrizione dei protagonisti, come quella del giornalista che «asseriva di avere scelto la professione … solo perché finiva in “ista”, persuaso com’era che le professioni in “ato” e “ore” … facessero schifo» o nella descrizione delle stramberie locali: «i castrojesi non passeranno alla storia per avere scritto la Norma o il Gattopardo, ma per avere scambiato nel ’42 gli americani per tedeschi che parlavano inglese».
Bella ed estremamente divertente, la storia è davvero originale. È di una comicità brillante, fatta di trovate geniali e di un susseguirsi di battute e colpi di scena. Ma è altresì una breccia aperta sul futuro, grazie all’acuto spirito di osservazione dello scrittore che, nell’atteggiamento del “lombardo” intravede già quello stravagante conformismo che caratterizza i nostri tempi.

Marilena Genovese, Literary.it  12/2009


«Contiene frutta secca» riedito il romanzo di Umberto Domina

La diffidenza dei Castrojesi verso lo Stato

“Un pacco che non contenesse frutta secca verrebbe certamente manomesso”. Così la pensano gli estrosi abitanti di un’immaginaria – ma non tanto – Castrojanni, una città che si inerpica sul dorso della montagna verso un cielo basso, azzurrissimo e pieno di rondini, nella quale si svolgono i fatti narrati in “Contiene frutta secca” (Gabriele Capelli editore, pp. 180, € 14,00), romanzo di Umberto Domina, scrittore e autore di sketch televisivi e radiofonici, nato ad Enna nel 1922, trasferitosi ancora giovane a Torino e scomparso a Milano nel 2006.
La dicitura “contiene frutta secca”, presente su tutti i pacchi spediti dai Castrojesi, assurge a simbolo di un’atavica sfiducia verso lo stato, appartiene alla logica “illogica” degli abitanti di una città – nella quale non è difficile identificare la natia Enna – che per un rarissimo ma non impossibile gioco delle coincidenze rappresenta, negli anni sessanta del secolo scorso, un campione perfetto per un’agenzia di ricerche incaricata dal governo americano di indagare su come spendono il loro reddito le popolazioni depresse del Sud Italia.
Questa indagine costituisce l’occasione per l’avvio di una vicenda tanto bizzarra quanto spassosa in cui l’efficientismo settentrionale, l’indolenza meridionale e l’ossessione americana per il marketing, strumento essenziale di un consumismo ancora allo stato embrionale, vengono equamente strapazzati.
Battute fulminanti e osservazioni lungimiranti sviscerano difetti – ma anche virtù – presenti in uguale misura nei cisalpini e nei siciliani e aprono la strada ad un insospettato finale che sostanzialmente veicola l’auspicio di una reciproca conoscenza e di una fruttuosa integrazione tra nord e sud.
L’umorismo di Domina, paradossale e sottile, elegante e surreale, lontano mille miglia dalla volgarità imperante nella greve comicità dei nostri giorni, giustifica ampiamente la riedizione di questo romanzo che nel 1966 si aggiudicò il premio Bordighera per la letteratura umoristica.

Anna Maria Loglisci, La Sicilia, 7.01.2010


Siciliano-Cisalpino, l’incontro da ridere di Domina

«Castrojanni è una città verticale. Si sale per andare dalla stazione in città, dal cimitero alla Chiesa Madre, dalla sala da pranzo alla camera da letto; per cui chi parte, muore o va a colazione, più che scendere precipita.
Le case non vengono costruite ma applicate al costone della montagna, come per fare da scalini ad un gigante e tra le più basse e quelle in alto il dislivello è tale che un comune trasloco costituisce un vero e proprio cambiamento d’aria».

È stato ristampato recentemente da Gabriele Capelli Editore di Mendrisio Contiene frutta secca, romanzo con cui lo scrittore siciliano Umberto Domina, morto nel 2006, nel 1966 vinse il Premio Bordighera per la letteratura umoristica. Una divertente e interessante riscoperta in cui ritrovare tutta la dignità della buona scrittura “da ridere” (e non solo), tanto più in un epoca di scaffali di librerie invasi da testi di comici televisivi cui con troppa facilità, e discutibili risultati, vengono spalancate le porte dell’editoria.

Contiene frutta secca, a partire dall’incontro fra il giornalista siciliano Gaetano Zappalà e il ragioniere milanese Gualtiero Borletti, racconta la storia paradigmatica di «un meridionale che aspira al nord e di un settentrionale che viene aspirato dal sud», come spiaga lo stesso Domina nell’introduzione in cui si rivolge alla figlia. Infatti, fulcro della vicenda, a partire dal quale muove tutta una serie di caratteri della sicilianità anni ’60 diffidente e assediata dal progresso, è un’incredibile operazione di marketing proposta a Zappalà da Borletti, impiegato di un’agenzia di ricerche di mercato finanziata dal governo degli Stati Uniti. Un incontro cruciale fra un Siciliano e un Cisalpino, una storia in cui l’invenzione letteraria si accompagna alla proficua ispirazione dalla realtà, in quanto «se la maggior parte degli episodi sono veri, lo sono perché non m’è riuscito di trovarne di più assurdi».

Una vicenda in cui si riflette la stessa umanità dell’autore, siciliano di Enna (evidente dietro il toponimo di Castrojanni), inevitabilmente attratto dalle terre d’oltre Po, «un Borzalà, uno che ha in sé quel tanto di Borletti che lo costringe a rispettare le regole civili ma tristi dei cisalpini e quel tanto di Zappalà che l’aiuta a sopportarle».

LaRegioneTicino, 13.01.2010


Umberto Domina
Contiene frutta secca

Trama:
La storia di un meridionale che aspira al Nord e di un settentrionale che viene aspirato dal Sud.
La vicenda è ambientata a Catrojanni, Sicilia. Città che diventa – ad opera del ragioniere milanese Gualtiero Borletti (impiegato dell’Agenzia Internazionale Ricerche di Mercato finanziata dal governo degli Stati Uniti d’America) il teatro di un’incredibile operazione di Marketing. Gaetano Zappalà – giornalista, direttore e fondatore dell’unico giornale cittadino – viene convinto dal nordico a collaborare con l’AGIRM per la buona riuscita del progetto. L’operazione è il fulcro attorno al quale si muovono tutta una serie di personaggi che con il loro carattere, le loro convinzioni e manie riassumono lo spirito segreto del Siciliano preso come specie a sé, confrontato con un’altra specie diametralmente opposta, il Cisalpino.
Il romanzo di Domina è uno zampillare continuo di battute, trovate geniali e freddure con colpo di scena conclusivo.

Commento:
Nuova edizione del romanzo del 1966 con il quale l’autore si aggiudicò il premio “Bordighera” per la letteratura umoristica. A distanza di oltre quarant’anni il libro continua a strappare risate e sorrisi nonostante la storia decisamente stravagante che, in mano a Domina, risulta però realistica e, perché no, realizzabile!
Il romanzo affronta, seppur in chiave ironica, il delicato argomento del divario esistente tra Nord e Sud sul diverso modo di vivere e di pensare, sul carattere diametralmente opposto e su tutte le differenze esistenti (e una volta molto più marcate). Lo strano progetto in cui Gualtiero coinvolge inizialmente Gaetano e poi tutti gli abitanti, fa da spunto ad una narrazione divertente e ricca di personaggi che, capitolo dopo capitolo, fa sorridere il lettore per le continue battute scambiate dai protagonisti, per gli equivoci che si creano a causa delle differenti vedute e per le manie di ciascuno, il tutto narrato con spirito e leggerezza.
Si vedrà alla fine che, dopo aver lottato insieme per un progetto comune, entrambi i protagonisti si renderanno conto che forse, la ragione ed il torto, non sono mai da una parte sola, ma convivono in ciascuno a prescindere dalla localizzazione geografica.
Molto bello, risulta divertente e profondo nello stesso tempo, cosa davvero non facile.
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