«Un delicato gioco d’equilibrio», “La moglie” di Anne-Sophie Subilia – Il mestire di leggere


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© Il mestire di leggere, 24.10.2023

Letteratura, Letteratura svizzera, recensioni

Anne-Sophie Subilia, La moglie

La moglie, di Anne-Sophie Subilia, Gabriele Capelli Editore 2023, traduzione dal francese di Carlotta Bernardoni-Jaquinta, pp. 160

Arriva in libreria il romanzo La moglie di Anne-Sophie Subilia, pluripremiata romanziera e poeta svizzera-belga, uno dei Premi svizzeri di letteratura 2023, tra le migliori opere di narrativa dell’anno, apprezzata anche in Francia.

La storia è ambientata nel 1974 a Gaza, dove Vivian, un delegato svizzero del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), si trova in missione accompagnato dalla moglie inglese Piper. Anne-Sophie Subilia si è ispirata al passato dei suoi genitori, che proprio nel 1974 hanno soggiornato a Gaza, dove il padre è stato delegato del CICR per un anno e mezzo. Il contesto geografico della storia la rende politica; per verificare i fatti l’autrice si è documentata, oltre che con le testimonianze fotografiche dei genitori, con libri e archivi televisivi e radiofonici dell’epoca.

Nel libro, il conflitto israelo-palestinese è presente in sottofondo, creando una tensione palpabile, che in alcuni momenti sfocia nella violenza; vivendo a Gaza, che a quel tempo era sotto occupazione israeliana, la coppia subisce ad esempio le interruzioni di elettricità o il rastrellamento della spiaggia la sera da parte degli israeliani. Un contesto duro ma certo distante da quello che vediamo oggi, quando, a distanza di cinquant’anni, le condizioni sono tragicamente peggiori. Soprattutto in queste settimane. Tenete però presente che il romanzo è stato scritto tre anni fa.

– Gaza strip is a cage, – dice Naila accarezzando la bandiera del CICR, bella e pulita.
– Da qui si vedono i campi profughi dell’UNRWA, – aggiunge Selam, puntando l’indice verso nord.

Pag. 105

Nel libro la protagonista Piper viene chiamata dal narratore “la donna” e “la moglie del delegato”, anziché per nome. Una scelta stilistica che la scrittrice motiva con il “poter incarnare diverse donne e farne da portavoce”.

Da quando abita nella casa, una specie di cubo all’estremità sud della città di Gaza, da cui si vede il mare, la vita di Piper scorre monotona: giornate da riempire con faccende domestiche, visite agli artigiani locali per commissionare abiti o altri oggetti per arredare la casa, e tanto tempo per pensare, in un movimento circolare. Senso di isolamento ed estraniamento è lo stato d’animo che la sovrasta nei primi tempi, in questo mondo che le appare estraneo, dove si parla una lingua che non conosce, se non poche parole. La casa le sembra una specie di castello di sabbia; la sabbia è la sua “nemica”, si insinua dappertutto, la sente scricchiolare persino sotto i denti. La sabbia “affoga” il giardino, che, al loro arrivo, è trascurato e brullo.
Il marito è spesso via, a volte si assenta per giorni di missione come osservatore nelle prigioni israeliane, o per distribuire aiuti alle popolazioni nel Sinai, e nella sua casa-gabbia da privilegiata, Piper sperimenta un senso di vuoto.

La moglie del delegato non ha nessuna missione specifica. Accompagna. Non ha la responsabilità delle operazioni, né l’adrenalina o le fatiche. (..) Orgogliosa può esserlo solo tramite l’altro che le racconta com’erano le prigioni e gli incontri complicati.
Pag. 24

A pesarle è la mancanza di un ruolo proprio, di una attività finalizzata, e la frustrazione di essere soltanto la moglie di un importante delegato internazionale. E al sentirsi giudicata dalle donne del posto, madri di cinque, sei figli, abituate alla fatica di accudire una famiglia, di preparare il cibo, da cui Piper è così diversa.

Il contrasto tra i profumi, i colori, i sapori mediorientali e la presenza degli stranieri, agli occhi degli abitanti di Gaza, è un fattore che si insinua anche nei tentavi di fare amicizia con donne del posto. Piper, un giorno, invita a casa sua tre donne della borghesia locale, una pediatra, un’interprete e una giurista, ma l’imbarazzo legato al suo essere inglese è come una retro-pensiero che si frappone tra loro. Per i palestinesi le responsabilità inglesi sono ancora un fardello pesante, che ha favorito l’immigrazione ebraica. Le donne hanno provato ad aiutare Piper ad integrarsi, l’hanno invitata a visitare l’ospedale. Non comprendono però l’interesse di Piper per una neonata abbandonata e ricoverata presso l’ospedale. Non sono passate inosservate le sue attenzioni per quella bimba; ma allora perché non l’adotta, le chiedono, gettandola in uno stato di frustrazione per essersi esposta forse in modo inopportuno ed ora essere giudicata.

Il weekend è il momento della socializzazione, insieme al marito, presso il Beach Club, il circolo privato sul mare in cui si radunano gli expat. Tra un drink e l’altro, una sera, Vivian invita gli astanti a festeggiare a casa sua il suo trentesimo compleanno. E così tutta una folla di delegati, alcuni con mogli e figli, si presentano, arrivando persino da Tel Aviv e da Amman; una invasione festante, condita di cibo e bevande in abbondanza, bottiglie di champagne. Uno sfoggio di privilegi che mette a disagio Piper, un contrasto così netto con la povertà delle persone locali che la imbarazza.

Annoiati, sentono la mancanza di quella normalità che deriva dalle relazioni sociali non obbligate, dalle amicizie personali, in un ambiente libero in cui non siano il privilegio e la provenienza geografica a dettare l’intensità o la superficialità dei rapporti.

Delle poche persone locali che conosce, a starle particolarmente a cuore è Hadj, il giardiniere palestinese che trasformerà il terreno sabbioso intorno alla casa in un bellissimo giardino. Sarà proprio lo splendore del giardino e in particolare della parte nascosta creata appositamente per lei da Hadj e dai suoi figli, “un’incantevole gloriette“, con un albero di frutto della passione, a farle sentire un minimo senso di appartenenza a quel luogo, da cui poi si dovrà distaccare.
Oltre al giardiniere, le sarà di aiuto la psichiatra Mona, un simbolo di emancipazione femminile, che abita da sola, prescindendo dalla sicurezza che potrebbe venirle dalla presenza di un uomo.

Al progressivo senso di disagio di Piper concorre anche la violenza di Israele – le demolizioni delle misere abitazioni palestinesi, i posti di blocco improvvisi, gli abusi e gli arresti perpetrati sugli abitanti di Gaza – che rende ancora più difficile ambientarsi e sentirsi accettati.

La moglie si sviluppa con la tessitura del romanzo psicologico, in un delicato gioco d’equilibrio su due diversi piani. Quello personale, rispetto ad un matrimonio che rischia di essere messo in crisi dalla convivenza in un ambiente in cui è difficile sentirsi assimilati, e in una condizione di disparità di ruoli, tra Vivian e Piper. Sul piano sociale dove lo scontro tra la cultura araba e quella ebraica condizionano la vita di tutti i giorni, e la violenza israeliana viene vissuta con un crescente senso di frustrazione da parte di Piper.

Nello sviluppare la personalità di Piper, l’autrice propone anche una riflessione sull’emancipazione femminile, attraverso la presa di coscienza della necessità di vivere un ruolo proprio, che non sia di “contorno” a quello del marito. Lo stile nitido ed evocativo sollecita suggestioni che spingono il lettore a visualizzare le scene, gli ambienti, come quando siamo di fronte ad uno schermo ad alta risoluzione e riusciamo a cogliere anche i minimi dettagli.

Anne-Sophie Subilia – © Editions Zoé-Romain Guélat

Anne-Sophie Subilia (Losanna, 1982) è svizzera-belga. Ha studiato letteratura francese e storia all’Università di Ginevra. Si è laureata all’Istituto letterario svizzero di Bienne. Poeta e narratrice, è autrice di L’Épouse (Zoé, 2022), abrase (Empreintes, 2021, borsa di studio Pro Helvetia), Neiges intérieures (Zoé, 2020, Zoé poche 2022), Les hôtes (Paulette, 2018), Qui-vive (Paulette, 2016), Parti voir les bêtes (Zoé, 2016, Arthaud poche 2018, borsa Leenaards) e Jours d’agrumes (L’Aire, 2013, premio ADELF-AMOPA 2014). Con L’ÉpouseLa moglie – ha vinto un Premio svizzero di letteratura 2023.

Carlotta Bernardoni-Jaquinta

Carlotta Bernardoni-Jaquinta si è laureata in letteratura francese e russa all’Università di Losanna. Traduttrice e moderatrice, collabora con diverse manifestazioni e istituzioni culturali.

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