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© viceversa letteratura, 21.02.2023

La vita del fotografo Roberto Donetta nei romanzi biografici di Mario Casella (“Senza scarpe”) e Beat Hüppin (“Donetta, der Lichtmaler”).
Approfondimento di Elda Pianezzi

Nato nel 1865 e morto nel 1932, Donetta è considerato il pioniere ticinese della fotografia. Le 5000 lastre fotografiche da lui lasciate e ritrovate per caso negli anni Settanta del secolo scorso nella sua casa di Corzoneso – la famosa Casa Rotonda che oggigiorno ospita la Fondazione Archivio Donetta – lo resero un artista stimato e apprezzato, ben al di là della sua terra d’origine, la Val di Blenio. Per oltre 30 anni Donetta ha fotografato non solo il continuo mutare della valle – per esempio l’inaugurazione della ferrovia o la restaurazione del castello di Serravalle – ma anche la sua natura e le persone che la popolavano, creando scene di vita quotidiana (in parte realistiche e in parte ricostruite in modo fantasioso). La storia della sua vita contiene tanti elementi che non solo lo rendono un personaggio interessante o curioso, bensì anche un esempio dell’eterna battaglia tra l’ispirazione artistica e le esigenze materiali. E cioè tra il bisogno, da un lato, di riprodurre la vita nell’arte e, dall’altro, di trovare i mezzi di sostentamento necessari per vivere. Questa dicotomia uomo/artista viene illustrata in modo toccante nelle opere di Beat Hüppin (Zytglogge, 2018) e Mario Casella (Gabriele Capelli Editore, 2022), che si soffermano sia sulla produzione artistica di Donetta che sulla sua esistenza solcata da drammi e conflitti, creati nella maggior parte dei casi dalla sua incapacità di trasformare ciò che di artistico faceva in una fonte sicura di reddito.
Nell’epilogo del suo libro Hüppin, che di professione è docente di latino, racconta di aver scoperto l’opera di Donetta per caso, nel 2011, durante una gita in Val di Blenio con una classe. È colpito dalla Casa Rotonda, che descrive come «un mulino olandese dalle pale amputate». Fin da subito le foto lo affascinano. Compra il catalogo della mostra e durante gli anni seguenti si ritrova spesso ad ammirarle. Con il tempo nasce l’idea di scrivere un romanzo biografico sulla vita di Donetta. Nel 2017 la Biblioteca cantonale di Bellinzona gli mette a disposizione l’intero Archivio fotografico Donetta e lui scopre un uomo colto, con un’ottima padronanza dell’italiano, una conoscenza dei classici e una grande curiosità intellettuale.
Casella, già estimatore di Donetta, decide invece di avviare un’opera dedicata alla sua vita durante la pandemia, in un momento che lui definisce di «apatia». A fargli compagnia e a fornirgli l’ispirazione è un volume di fotografie del fotografo bleniese ricevuto in regalo dalla moglie.
Nonostante i due romanzi presentati in questo testo nascano in circostanze e da contesti molto diversi, sono molti i punti che hanno in comune. Per questo motivo vorrei analizzarli fianco a fianco, tenendo conto soprattutto delle analogie. Inizierei con l’approccio cronologico. Se Hüppin nel primo capitolo introduce Donetta partendo dall’ultimo giorno della sua vita, dal secondo capitolo in poi narra le vicende più importanti seguendo il filo naturale del tempo: il matrimonio, l’arrivo dei figli, il lavoro come marronaio in Italia, i primi screzi con la moglie, la partenza per l’Inghilterra, l’attività come semenzaio, la scoperta della fotografia, lo sfaldamento della famiglia, la solitudine, la morte. Hüppin entra subito nel vivo degli accadimenti, presentando i temi che hanno occupato e preoccupato Donetta per tutta la sua esistenza: l’amore sconfinato per la fotografia e l’incapacità di provvedere ai bisogni materiali della famiglia. Intercala inoltre la narrazione, ricca di dialoghi che ravvivano la storia e avvicinano il lettore ai personaggi, con scene che vedono Donetta nei panni del fotografo, mentre prepara i set, riunisce le persone, inquadra le scene.
Anche Casella sceglie una narrazione con una progressione cronologica, alternando però due voci, che si susseguono capitolo dopo capitolo. Nei capitoli dispari il narratore racconta la storia attraverso gli occhi di Donetta, mentre in quelli pari, introdotti da una fotografia, è il figlio minore Saulle a portare avanti la vicenda descrivendo ogni volta, in prima persona, una foto del padre alla quale partecipa come soggetto o addirittura come fotografo.
Mostrando i pensieri del figlio Saulle, Casella utilizza due punti di vista diversi trasformando il libro in una doppia biografia. In questo modo prende al contempo le distanze da Donetta ed è in grado di illustrare meglio come il suo continuo inseguire sogni di libertà e aspirazioni artistiche lo alieni pian piano dalla famiglia. Nonostante nell’opera di Hüppin sia invece presente quasi solo il punto di vista di Donetta (con due eccezioni: il capitolo raccontato dalla moglie e quello contenente i pettegolezzi delle comari), il modo in cui veniva percepito dalla gente dell’epoca emerge con grande nitidezza, grazie anche allo stile volutamente scarno ed essenziale, che mette in evidenza il contrasto tra le aspirazioni artistiche e la dura realtà del quotidiano.
Nel loro muoversi lieve, con grazia, dentro il mondo di Roberto Donetta, Hüppin e Casella ci avvicinano tappa dopo tappa ai problemi esistenziali dell’uomo e dell’artista, fornendoci un ritratto a tutto tondo e ben profilato. Casella descrive con perizia l’atmosfera di inizio secolo che si respirava in valle, ci parla dell’almanacco sul quale Donetta scriveva i propri pensieri e nel quale ricopiava nozioni e riportava le grandi scoperte dell’epoca, ci racconta dell’amore tra Roberto e la futura moglie Teodolinda, della morte dei genitori e, soprattutto, dell’incontro con lo scultore Dionigi Sorgesa, che lo ha introdotto alla fotografia. Hüppin dà più spazio alle spiegazioni tecniche in merito alla fotografia dell’epoca, si sofferma sul periodo trascorso in Inghilterra, parla dell’arrivo del treno in valle e include nella narrazione documenti originali, fra i quali figurano poesie (per esempio Progresso bleniese) e, verso la fine, anche una lettera trascritta in tedesco in cui Donetta si sfoga per l’abbandono subito da parte della moglie e di quasi tutti i figli.
Dalle due opere risulta chiaro come Donetta fosse intelligente, colto, curioso, un precursore dei tempi, un artista “maledetto”. Allo stesso tempo fu anche un uomo difficile e aspro: molte delle tragedie che visse e la solitudine nella quale alla fine si ritrovò furono in parte create da lui stesso, dall’incapacità di mantenere un lavoro fisso, dall’irrequietezza, dall’egoismo e dalla voglia di libertà che lo portarono a esplorare il mondo a scapito del benessere familiare.
Hüppin e Casella nei loro libri – entrambi godibili, entrambi ricchi di bellissime immagini – trattano l’eterno conflitto che colpisce quasi tutti gli artisti e che in Donetta ebbe un esito tragico.
Da qualche anno Donetta ha ispirato la fantasia di vari autori, che hanno voluto, ognuno a modo proprio, omaggiare la sua memoria. Il primo è stato Alberto Nessi che, nella raccolta intitolata Milò (Casagrande) uscita nel 2014, gli dedica un racconto. È invece del 2022 il breve romanzo Le malorose, Confidenze di una levatrice (Casagrande) di Sara Catella, che fra i vari personaggi della vicenda inserisce anche Donetta. Va infine citato il volume Foto Grafie (Salvioni), anch’esso del 2022, in cui vari autori (Andrea Fazioli, Noëmi Lerch, Daniel Maggetti, Sara Rossi Guidicelli, Carlo Silini, Maria Rosaria Valentini) costruiscono un racconto a partire da una delle sue foto.
Tanta popolarità avrebbe molto probabilmente sorpreso Donetta, che verso la fine della vita conobbe sì una certa fama tra gli addetti ai lavori, ma che dai suoi compaesani veniva accolto con scetticismo. È forse questo suo continuo annaspare, questo ambire a qualcosa di più e tuttavia inafferrabile – nonostante le sue chiare capacità – che lo rendono una figura tanto affascinante.

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