SOTTO GLI ARCHI DEL VIADOTTO. Intervista a Begoña Feijoo Fariña


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© Il Grigione Italiano, 23.07.2020

SOTTO GLI ARCHI DEL VIADOTTO IL ROMANZO VERITÀ
Begoña Feijoo Fariña racconta la storia di Lidia
di ANTONIA MARSETTI

Figli di famiglie povere, figli illegittimi, ragazzi difficili o ribelli, o appartenenti ad etnie ritenute incapaci di educarli in modo «civile». Sono loro le vittime dei collocamenti coercitivi perpetrati tra gli anni Quaranta fino al 1981. Allentamenti forzati dalle famiglie di origine che spesso gettavano giovani vite precarie in un baratro che avrebbe segnato per sempre la loro esistenza. Venivano mandati a servizio, sfruttati da aziende agricole o internati in istituti psichiatrici o penitenziari e in alcuni casi venivano pure sottoposti ad adozioni forzate o a sterilizzazioni.

Per una fetta di mela secca, il romanzo di Begoña Feijoo Fariña (Gabriele Capelli Editore) presentato al pubblico nello scorso fine settimana, sotto gli archi del viadotto di Brusio, ci parla proprio di questo, e anche se si tratta di un romanzo, quindi con una protagonista inventata di sana pianta, il messaggio che questo libro lancia al pubblico è forte come un grido di dolore e diretto come un pugno nello stomaco.

Lidia Scettrini, questo il nome della protagonista, viene trattata come una bestia, come braccia da lavoro, come reietta, come peccatrice, come scarto della società. Una bambina che vive soprusi di ogni genere ma che cerca di lottare, vivere e respirare per tutta la vita e che una volta adulta cerca di riprendersi tutto quello che le hanno tolto, di andare oltre le cicatrici, di bruciare il passato in un cammino e guardare avanti.

Il romanzo, per il quale l’autrice ha ricevuto anche il sostegno dal Cantone dei Grigioni (ndr. Concorso Grandi Progetti, 2018), e una borsa di studio da Pro Helvetia (borsa letteraria, 2018), è ambientato in gran parte in Valposchiavo.

In seguito al divorzio dei genitori, Lidia resta a vivere con sua madre a Cavaione. Stanca delle prese in giro da parte di alcuni dei suoi compagni un giorno ruba la merenda a Piero (questo episodio dà il titolo al romanzo, ndr). Accusata dai genitori di lui e a causa della povertà in cui lei e la madre vivono, viene mandata in istituto, dove subirà maltrattamenti da parte di alcune delle suore che lo gestiscono e sarà poi data in affidamento a un contadino. Nella nuova «casa» c’è anche Anne, la moglie malata e costretta a letto del contadino, unico spiraglio d’amore per Lidia. Alla morte di Anne, Lidia, ormai diciannovenne e prossima alla maggiore età, può finalmente liberarsi dall’orrore di quella vita e tornare a Cavaione. Da questo ritorno al villaggio, che ormai non sente più suo, parte il tentativo di rifarsi una vita. Con non poche difficoltà costruirà una nuova sé cercando di tenere a bada il dolore dei ricordi.

Nel 2018 e in seguito all’istituzione del fondo di solidarietà istituito dalla Confederazione e dai Cantoni a sostegno di ex vittime delle cosiddette «misure coercitive a scopo assistenziale», Lidia si troverà a dover compilare il modulo di richiesta, rievocando tutto ciò che le è stato rubato e scoprendo in sé la forza di vivere il presente.

Begoña Feijoo Fariña, lei è nata nel 1977 in Spagna. Quindi parliamo di un luogo e di un tempo abbastanza lontani rispetto a questa pratica coercitva sulla quale la Confederazione ha fatto ammenda. Eppure, se ne è voluta occupare. Perché?
Quando sono venuta a conoscenza di questi fatti ne sono rimasta molto colpita. Ma se vogliamo, la molla che più mi ha spinto ad occuparmene è che quando ero adolescente i miei si separarono e la mia famiglia finì quindi in assistenza perché mio padre ci aveva lasciati e mia madre si è ritrovata da sola e senza un lavoro. E così mi è venuto spontaneo chiedermi: se questa crisi familiare ci fosse capitata 15 anni prima, dove sarei io oggi?

Ha ricevuto dei feedback da parte dei lettori? Tra loro ci sono anche vittime di questi allontanamenti coatti?
Ricevo quasi quotidianamente messaggi da parte dei lettori e in particolare mi ha colpito il messaggio della figlia di una donna che fu internata da piccola. Mi ha detto che dopo aver letto il mio libro riesce a comprendere meglio alcune decisioni prese da sua madre. E questo è per me una grande soddisfazione, anche se stiamo parlando di vicende molto dolorose.

Perché la scelta di ambientare il romanzo in Valposchiavo?
Inizialmente volevo far partire la storia da Corippo (il più piccolo comune della Svizzera con soli 13 abitanti, nel distretto di Locarno, in Ticino, ndr) che ha alcune analogie con Cavaione sia come dimensioni sia come dislocazione, ma poi ho deciso che era giunto il momento per me di scrivere qualcosa che parlasse anche di questa valle che mi ha «adottata» e così ho fatto nascere Lidia qui, in Valposchiavo.

Come si è preparata a questo romanzo? Quali ricerche ha fatto?
Sono partita dal documentario di Mariano Snider (ndr. Cresciuti nell’ombra, RSI, 2015) e poi mi sono documentata leggendo tutti i verbali della tavola rotonda che ha messo a confronto tutte le parti chiamate in causa da questo tema. Ho letto i rapporti pubblicati da diversi istituti e ho letto e ascoltato testimonianze e ho parlato con alcune delle vittime.

Questo è il suo terzo romanzo, i primi si intitolano Abigail Dupont (Demian edizioni, Teramo, 2016) e Maraya (AUGH!, Viterbo, 2017). Due storie diverse da quella di Lidia Scettrini…
In tutti i miei romanzi si racconta sempre di una donna che ad un certo punto deve prendere in mano le redini della propria vita e l’altro minimo comune denominatore è che parlo sempre degli ultimi, ossia di questi personaggi borderline che assolutamente vale la pena conoscere. Per il resto è stato un percorso di crescita, anche sotto il profilo della ricerca, visto che ad ogni romanzo è stato necessario approfondire sempre di più e il prossimo lavoro richiederà ancora più tempo e concentrazione.

Siamo proprio curiosi: di cosa parlerà?
Sto studiando autori translingue, autori cioè che hanno lasciato il loro Paese d’origine e con esso anche la lingua madre e voglio raccontare anche l’emigrazione spagnola tra gli anni 60- 80 e voglio raccontare il vissuto di chi è emigrato non per lavorare, ma per seguire la famiglia, lasciandosi così alle spalle un’infanzia, amici, scuola… e stare qui a ridosso del confine, a Brusio, paese di confine storicamente e geograficamente confrontato con lo straniero, con l’altro, certo mi aiuterà nel mio prossimo romanzo.

Link:Il Grigione Italiano


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