Maria Rosaria Valentini
Antonia
21×14.8 cm,
144 pp.,
ISBN 978-88-87469-70-7
CHF 20,00
Euro 14,00
Link: Breve estratto
Disponibile anche in versione E-Book
Questo romanzo mi è parso molto bello, sia per l’ottima tenuta del linguaggio, della tensione narrativa, dell’intensità delle situazioni e degli eventi, sia per la sapienza nel fissare i personaggi e i luoghi. Straordinaria, poi, è l’idea della doppia prospettiva a giustificazione degli eventi, da due punti di vista drammatici sempre, fino alla luce conclusiva della speranza.
Giorgio Bàrberi Squarotti
Ciarli è un geologo malinconico e misantropo che ossessivamente racconta a se stesso la storia della sua famiglia: vorrebbe capire, ricostruire episodi, ricongiungere tessere che hanno disegnato le arterie della sua vita randagia. Nulla si muove, però, in quel labirinto di solitudine e rimpianti. Ciarli è un ragno appiccicato alla sua ragnatela.
Sarà la morte del nonno, quasi centenario, a cambiare radicalmente le cose; al funerale l’uomo incontrerà, dopo tanti anni, la cugina Antonia che porterà luce in ogni dove.
Antonia, distinta da un profilo tenace e delicatissimo, saprà rammendare con grazia gli strappi del passato, svelando anche ruvide verità. Così tutto riemergerà da profondità nascoste dando nome e volto a sangue e carne, migrazioni e abbandoni, realtà e finzione.
Ciarli tornerà dunque a vivere rinunciando all’amore per Antonia, incontrando finalmente sua madre, accettando di conoscere le proprie figlie.
Storia – questa – di amori impossibili, parole mai dette, luoghi gravidi di ricordi, affetti ritrovati che portano lontano, verso un futuro che non sarà migliore, ma sincero.
Goethe intanto, attraverso le pagine di un suo libro, accompagnerà Ciarli e Antonia lungo un percorso puntellato da coraggio e costanza.
Maria Rosaria Valentini nasce a S. Biagio Saracinisco (Frosinone) nel 1963.
Si laurea in germanistica presso l’università La Sapienza di Roma.
Vive in Svizzera dal 1989. Segnalata nel 2003 al premio Schiller ha all’attivo diverse pubblicazioni.
Per la Gabriele Capelli Editore ha pubblicato “Quattro mele annurche” (prima edizione, 2005, seconda edizione 2010), “Di armadilli e charango…” (2008).
Nel 2009 le viene attribuito il premio europeo di narrativa ““Giustino Ferri – David Herbert Lawrence”.
RECENSIONI
Di pietre, rinunce e amore.
Nel nuovo romanzo di Maria Rosaria Valentini protagonisti sono Ciarli e Antonia, un’infanzia condivisa, un segreto inaspettato.
di Simona Sala, Azione 15.11.2010
Un’asprezza solo apparente, quella di Ciarli, nome insolito, (retaggio di genitori emigrati in Inghilterra), di cui durante la sua infanzia si è arrivati perfino a farsi beffe. La sua ruvidezza, la ricerca tenace dell’isolamento dalla civiltà e dal mondo in genere hanno trovato sfogo in quel lavoro di geologo che svolge lontano da tutti, in Sicilia, recluso nella solitudine di una vita disordinata. Il motivo di tale autosegregazione è chiaro fin dalla terza pagina: Antonia, la cugina da Ciarli tanto amata e da anni perduta. Sempre presente nella sua mente in tutto il suo splendore, in tutta la pienezza che può rappresentare il ricordo di un’infanzia trascorsa insieme, fianco a fianco, anche nei momenti dell’abbandono dei genitori e della povertà. Ora, con la morte del nonno Renzuccio, è arrivato per Ciarli il momento di fare ritorno al paese natale, e quindi di confrontarsi di nuovo con il proprio passato guardando negli occhi dal vivo all’amata e mai dimenticata Antonia. Maria Rosaria Valentini, di cui proprio recentemente è stato ripubblicato Quattro mele annurche (sempre per i tipi di Gabriele Capelli, Mendrisio) , ripropone questa volta in un romanzo più lungo quella sua scrittura fatta di parole calibrate, disseminate con rigore e amore per il dettaglio all’interno delle frasi e di pagine che descrivono vite solo all’apparenza banali e prive di ricchezza. Proprio questa sera, lunedì 15 novembre, il libro Antonia (alla cui pubblicazione ha contribuito anche Migros percento culturale) sarà presentato dall’autrice stessa, accompagnata dalle letture di Antonio Ballerio e dal violoncello di Kirsten Jenson al Teatro NuovoStudioFoce di Lugano (inizio dello spettacolo alle ore 20.30).
Maria Rosaria, come è nato questo libro?
Il libro nasce da un’attenzione particolare verso i temi della migrazione, perché essa fa in fondo parte della mia storia e della Ciociaria, la regione in cui sono nata e ho vissuto fino all’età di undici anni. Da una parte mi interessava molto parlare di un tema come quello dell’emigrazione, ancora molto attuale, dall’altra ero attratta dal tema della rinuncia. Il libro nasce anche da questa riflessione: è ancora possibile oggi parlare di rinunce ad amori, passioni e affetti?
Esiste ancora uno spirito di sacrificio all’interno della nostra società, e qualora se ne possa parlare, che senso ha?
Dunque la trama stessa del suo libro è nata da una riflessione più che da una storia, da un plot…
L’idea mi è venuta in un supermercato, in un momento in cui mi sono sentita bombardata dagli oggetti, dalle luci e dai rumori. Mi sono chiesta quanto di ciò che vedevo fosse davvero necessario. Poi, siccome c’è un libro che mi ha impressionato molto da adolescente, e si tratta de Le affinità elettive di Goethe, sono andata a ripercorrere quelle pagine, col desiderio che da qualche parte diventassero il filo conduttore della storia che ho intrecciato. È solo in un secondo momento che sono apparsi i profili dei due personaggi.
Ora che il libro è terminato a quali conclusioni è giunta riguardo al concetto di rinuncia?
Credo che valga la pena di fermarsi un momento per riflettere sui lati positivi e negativi della rinuncia, solitamente vista come un gradino da evitare per non inciampare. Ma a volte la rinuncia stessa può portare a delle rivelazioni inaspettate. La mia lettura non vuole comunque essere di tipo religioso, ma piuttosto l’interpretazione di un’esperienza umana.
Giornale del Popolo 19.02.2011
Prosa raffinata, intreccio romanzesco nella nuova opera di Maria Rosaria Valentini
Una storia intessuta da colpi d’ascia e colpi di scena
di MANUELA CAMPONOVO
Dopo poesie e racconti, Maria Rosaria Valentini, con Antonia, si cimenta nel romanzo, pur in una sua forma breve e particolare. La prima parte (“Ciarli, i sassi, Antonia”) è occupata da quello che si potrebbe definire un ininterrotto monologo di uno dei due personaggi principali. A colpire è lo stile di una prosa precisa, meticolosa, affilata. Ogni parola è scelta con estrema cura e attenzione, mai inadatta, mai casuale. Le parti descrittive sono dotate di una notevole forza introspettiva e visiva e di fulminanti similitudini, che penetrano, ritraggono figure, ambienti, facendoli sorgere vitali e vividi davanti agli occhi. E c’è come un andamento rapsodico che porta a terminare ogni breve capitolo con la medesima frase. Un rapido, incisivo commento, improvviso sussulto, che interrompe bruscamente la corrente della memoria diaristica: «La vita è un colpo d’ascia». Ciarli racconta dal buio del suo personale sottosuolo dove si è rifugiato ma con lui emerge la luce, il faro di sempre, salvagente e zavorra, la cugina Antonia, compagna di giochi e di prime avventure. Nel nome un destino, un carattere, Ciarli non ha neanche un santo: è un diminutivo, un eterno richiamo infantile, morbido, da fumetto, rassegnato già da bambino, poi uomo debole, solitario, chiuso in se stesso. Un’anima persa che non è mai riuscita a realizzare i sogni e ad assumersi le sue responsabilità; Antonia, invece, è la pragmatica Antonia, volitiva, seria, decisa, concreta, energica… Senza imbarazzanti vezzeggiativi: «Antonia basta e da lì già si capisce che ti trovi davanti una con le idee chiare» (pag. 15).
Ciarli e Antonia, quasi coetanei, hanno camminato insieme per un certo periodo, quindi le loro strade si sono divise, lei è andata avanti, lui è rimasto aggrappato ad un’apparizione, ad un ricordo, ad un desiderio inesaudito, intessuti di silenzi e parole non dette che «si fanno pietra». Il filo sotterraneo, evocato fin dall’esergo, che accompagna la narrazione, è infatti quello che possiamo considerare il manifesto letterario dell’attrazione amorosa tanto fatale quanto impossibile, Le affinità elettive di Goethe. C’è un funerale e c’è un lungo viaggio di ritorno che deve riportare Ciarli dalla Sicilia, dove è andato a rintanarsi, al paesino del Lazio dove è cresciuto (mai nominato ma possiamo pensare ai luoghi natali dell’autrice, in provincia di Frosinone). Due classici tòpoi legati al “ritrovarsi” e al tracciare bilanci esistenziali, allo svelarsi di segreti e di inconfessabili riconoscimenti… «La vita è un colpo d’ascia» e può anche riservare una catena di colpi di scena (soprattutto nei romanzi). Dopo il primo, rivelato da Antonia a Ciarli, quando si incontrano di nuovo, si apre la seconda parte «Maria Regina. E tutti gli altri», costituita dalla narrazione degli antefatti da parte di Antonia, con particolari violenti e crudi, sofferenze, all’ombra di oscuri intrecci, inganni, mistificazioni famigliari… Da questo momento si moltiplicano colpi d’ascia (non più solo morali) e colpi di scena anche con una certa, disturbante, sensazione di artificio. Forse legata al condensarsi esemplare in poche pagine di eventi e tematiche (stupro, emigrazione, alzheimer, omosessualità…) ma nel dolore emerge comunque una voce di verità. Quella che, con l’aiuto della perentoria Antonia (che pianifica, prepara, organizza), porta Ciarli alla catarsi, a chiudere i conti con il passato e a volgersi finalmente verso un possibile futuro. Non del tutto convincente a livello di trama e di percorso narrativo, l’opera si riscatta per una forma linguistica densa di sentimenti e profili umani che riescono a fissarsi nella memoria del lettore.
Literary.it nr. 2/2011
“Antonia” di Maria Rosaria Valentini
Il passato, talvolta, è così doloroso da costringere chi vive di ricordi ad anestetizzare il presente nell’illusione di proteggersi da ulteriori sofferenze.
E’ quanto accade a Ciarli, il tormentato protagonista di Antonia, breve ma intenso romanzo di Maria Rosaria Valentini: di professione geologo, l’uomo vive confinato in un paesino della Sicilia, prigioniero di una solitudine che, come uno scudo protettivo, lo allontana dagli altri, persino da coloro che, nonostante il carattere spigoloso, non hanno mai smesso di amarlo (l’ex-moglie Marie e le due figlie trasferitesi in Francia).
Sarà Antonia, la cugina da sempre amata, a strapparlo dal suo letargo, restituendogli la conoscenza di un’infanzia troppo a lungo idealizzata perché ignorata nei suoi aspetti più sgradevoli.
Tra madri presunte o effettive, sottomesse o coraggiose, il libro è costellato di figure femminili, come nonna Angiolina, minuta e silenziosa ma così generosa da accollarsi il fardello di figli non suoi. Con bontà intrisa di saggezza e di spirito di sacrificio la donna è il simbolo degli affetti e della famiglia: al suo fianco è il mite Renzuccio, il cui funerale sarà l’occasione per Ciarli ed Antonia di incontrarsi, ormai adulti, e di scoprire di essere legati da un indissolubile vincolo di sangue.
Non fanno certo una bella figura i personaggi maschili, tratteggiati come egoisti, deboli e violenti: d’altra parte, l’Autrice racconta un mondo ancorato alle tradizioni, in cui le donne sono nient’altro che corpi asserviti al godimento altrui e alla procreazione.
In questo universo chiuso Ciarli ed Antonia si ribellano ai ruoli consolidati, ripudiando il lavoro a cui sono destinati (barista e sartina) per lo studio ma anche rifuggendo dall’ipocrisia e dai pregiudizi di chi li circonda.
Ed è paradossale che sia proprio Dionisio, lo zio omosessuale, ad adottare Antonia, figlia bastarda e frutto di uno stupro da parte del potente Don Cecco.
Legati da un rapporto simbiotico (le affinità elettive care a Goethe), Ciarli ed Antonia si scambiano anche la funzione di narratore: inizialmente è Ciarli a raccontarsi, in un monologo solipsistico che ne rispecchia la misantropia, successivamente, nella seconda parte del libro, inframmezzata da vivaci dialoghi, toccherà ad Antonia riprendere il filo del discorso e svelare i retroscena di una famiglia disgregata e costretta dalla povertà ad emigrare in Inghilterra.
Tracce di questo sradicamento sono visibili nella parlata di Sandrino e Maria Regina, i genitori assenti che si esprimono facendo ricorso ad un inglese italianizzato misto ad espressioni dialettali.
Le rivelazioni di Antonia saranno la scintilla che spingerà Ciarli a diventare finalmente padrone del proprio destino, illuminando di speranza una vicenda dolente e tesa fino allo spasimo.
Monica Florio
Extra n. 23, 2011
Storyteller e stilisti
“Antonia” di Maria Rosaria Valentini
di Sergio Roic
Eh sì, cari ragazzi, nel vasto mondo della letteratura ci sono gli “storyteller”, coloro che sanno dare sapore a una storia rilanciando continuamente l’azione, e gli stilisti, quelli che curano le forme dell’espressione. Non è detto che entrambe queste doti non possano essere riunite in un autore, ma spesso e volentieri gli “storyteller” scrivono libri di impatto fattuale mentre gli stilisti ne scrivono altri, quelli dall’impatto emotivo.
[…]
Il libro di Maria Rosaria Valentini, “Antonia” (Gabriele Capelli Editore), appartiene invece all’altro genere letterario (impatto emotivo). Anche se il romanzo non difetta certo di tensione narrativa o di situazioni forti, qui siamo in presenza di uno scavo all’interno del linguaggio che ci conduce innanzitutto a confrontarci con due punti di vista, entrambi degni di narrare la vicenda, e poi a sprofondare dolcemente in una terra e nella lingua che la caratterizza. Una relazione lunga tutta una vita, insomma, si trasforma in una scoperta di colori, sapori e leggi svelate a proposito della vita e delle cose che vanno o non vanno fatte con coloro che sappiamo essere nostri dalla nascita alla morte.
Recensione di “Antonia”
di Francesca Puddu, http://www.culturactif.ch, 11.07.2011
Antonia è un bel nome : niente sdolcinature, senza il Maria davanti, senza storpiature tipo… Ninetta, Tonietta, Anto, senza ypsilon in ballo nel tentativo di rendere esotico qualcosa che è, invece, apertamente nostrano. Antonia basta e da lì già si capisce che ti trovi davanti una con le idee chiare.
In una prosa densissima costituita da parole gravide di significati, il nome Antonia nasce con la vocazione di raccogliere, contenere, condensare il senso di una storia a tratti inenarrabile.
Antonia ha una forza arcaica: parla di una devozione semplice e spontanea in cui il nome è una preghiera, un dono offerto e ricevuto. Evoca un mondo lontano dove esistono le Angela, le Giuseppa e le Fernanda, a cui una –a basta a indicare una via: “Lei obbediva perché le avevano insegnato che matrimonio voleva dire obbedienza, appunto, e rassegnazione; dunque seguiva il marito e la famiglia con l’energia del corpo e la volontà del cuore”; un mondo di gesti, suoni, odori senza tempo: bauli in noce che racchiudono corredi, peperoni fritti in olio d’oliva, larghe fette di pane scuro. In un luogo siffatto, dove una –a marca un confine, il potere è spesso arbitrario, la violenza straziante, la tradizione oppressione; eppure le leggi immutabili che regolano, almeno in superficie, i destini individuali sembrano trasmettere agli uomini e, soprattutto, alle donne una conoscenza profonda e ancestrale. Così la –a della differenza può diventare un’arma in mano alle donne e il patriarcato apparente scivolare, a volte, in un sostanziale matriarcato d’impronta solidale.
Antonia è nome-sistema a cui si contrappone Ciarli: nome stranissimo, storpiato (da Charlie), pretenzioso e sradicato, senza passato e senza futuro eppure, proprio per questo, proiettato verso un altrove, domanda aperta.
I personaggi che incarnano questi due sistemi – Antonia e Ciarli – procedono uniti e/o divisi nella comprensione della loro storia, comune e individuale: Ciarli offre i propri dubbi, i vicoli ciechi nei quali incappa, le pietre che pesano come macigni nel proprio stomaco: “Insomma, il passato si è dissolto dentro i cerchi concentrici di un sasso lanciato, da mano ignota, nel perimetro labile del nostro stagno.[…] In realtà non ho capito niente”. Antonia cerca le risposte all’inspiegabile dentro quel passato che Ciarli rifiuta di guardare: “Nelle mie veglie notturne raccolgo i sassi perduti, i granelli che ho lasciato cadere con la stessa ingenuità di Pollicino in certi angoli angusti della vita”. Come nelle Affinità elettive di Goethe, le cui citazioni intersecano i ricordi dei due e le pagine del libro, i personaggi sono complementari: la debolezza dell’uno si abbevera alla forza dell’altro e viceversa. Così, ad esempio, Antonia “adotterà” la famiglia di Ciarli da cui lui ha deciso di fuggire mitigando il rifiuto che lei ha opposto all’idea di diventare madre, mentre Ciarli scoprirà il vero volto dei propri genitori attraverso la ricostruzione del passato operata da Antonia: “Antonia mi guidava tra musco e rocce, di sasso in sasso, senza timore né affanno come se ogni muro fosse stato abbattuto per sempre tra di noi”.
Come Antonia rincolla, per Ciarli, i cocci di un passato doloroso per dar loro un contorno accettabile, così Maria Rosaria Valentini amalgama, nel proprio romanzo, una materia incredibilmente ricca e complessa: emigrazione, violenza, condizione femminile, omosessualità, incesto latente, con una forma che allea il rigore della ricerca retorica: il fil rouge dei riferimenti a pietre e sassi – avrà letto, l’autrice, Mal di pietre (2006) di Milena Agus? – la struttura bipartita in due capitoli-punti di vista, le già evocate citazioni da Goethe ecc.; il tutto trascritto in una lingua dall’alto potere evocativo e impressionistico: “Ora la solitudine è bambagia: la coltivo a maggese seminando il coraggio – poco e smilzo – che ho”. Le parole si tuffano nella memoria per riscoprire altri ritmi, altri significati: “Ha un modo di parlare svanito ma preciso: come il tuo. Io mi adeguo e le copio le espressioni, la cadenza, i tempi. In quella mia imitazione verbale trovo una consolazione che non so spiegare, mi scopro sinceramente vicina a lei e a te, contemporaneamente. Insomma quel nostro parlare diventa bozzolo”.
Antonia è nome apertamente nostrano ma non solo; di Antonie il ‘900 – ed in particolare la ‘cultura femminile’ – ne ha conosciute almeno due: My Antonia (1918) è il titolo di un romanzo della scrittrice statunitense Willa Cather (1876-1974), omosessuale, o rivendicata tale, e prima donna premio Pulitzer. Il romanzo narra dell’affinità elettiva tra Jim, orfano e affidato ai nonni, agricoltori del Nebraska, e Antonia, maggiore di lui di uno o due anni e appena emigrata dall’Ungheria, e del loro rapporto simbiotico dall’infanzia all’età adulta. Antonia è anche il titolo originale del film del 1995 di Marleen Gorris (Oscar per il miglior film straniero nel 1996) distribuito nei paesi di lingua italiana col titolo L’albero di Antonia: Olanda, dopoguerra, Antonia e la figlia Danielle si ristabiliscono nel loro paesino d’origine e, in barba alle regole della piccola società rurale, fondano una famiglia sulle basi del matriarcato e dell’uguaglianza tra sessi. Queste coordinate potrebbero inserire la nostra Antonia in un filone che spiegherebbe una certa debolezza delle voci maschili: scelta ideologicamente comprensibile ma, forse, narrativamente discutibile. Già in Quattro mele annurche (2005), Valentini aveva fatto dono al lettore di un mondo arcaico e femminile, fisico nelle descrizioni indimenticabili del quotidiano, evocativo nell’illustrare il sottilissimo intreccio dei legami tra le anime. L’ulteriore salto ideologico, in cui l’uomo o è tiranno o è femmineo, manca a tratti d’ossigeno: da un lato Santino e Don Cecco che incarnano il sopruso, dall’altro le due figure antagoniste di Dionisio, omosessuale e rifiutato per questo dal paese e da parte della propria famiglia, dolce, poetico, musicista e liutaio autodidatta e di Ciarli, sradicato, solitario, sognatore: “Comunque tu non ti sei mai accorto di niente perché sei uno che sa sognare, tu sei un saggiatore di pietre, ti ricordi dei nostri sassi contati in villa?”.
Ciarli inizierà a vivere solo quando accetterà di farsi guidare da Antonia, di rimettersi alla sua autorità – benevola ma imperiosa – come, di fatto, non ha mai smesso di fare dalla sua nascita, in una fredda notte di gennaio.
“Antonia” l’ultimo romanzo di Maria Rosaria Valentini.
Una trama fitta, popolata di tradizioni familiari e di personaggi che sono realmente esistiti fin da sembrare autobiografici ma anche un piccolo capolavoro letterario presentato in questi giorni al 2° Festival delle Storie della Val di Comino.
© di Sergio Andreatta
La sera di venerdì 5 agosto sono a La Fucina di Picinisco. Una bella piazzetta antica, una quinta suggestiva per un salottino letterario segnato da un volatile percorso di odori che anticipano i sapori. Siamo vicino allo spiedo rovente di Loreto Pacitti di Casa Lawrence, gli arrosticini sopra a cuocere. Rispondono alle domande ficcanti di Vittorio Macioce, un giornalista de Il Giornale, Maria Rosaria Valentini, Aurelio Picca e uno di Zelig che preferisco non citare perché mi risulterebbe azzardato quotarlo come scrittore. E a me francamente stasera interessano gli scrittori, magari di vaglia più che di grido. La missione che continua a darsi questo II festival delle Storie è quella di portare scrittori, artisti, giornalisti (nella piazza principale Mario Giordano presenterà tra poco il suo “Sanguisughe”, Mondadori) a raccontare le loro storie nei piccoli paesi della Val di Comino (Alvito, Atina, Broccostella, Picinisco, S. Donato. Settefrati e Vicalvi). Un’ambizione all’insegna (quasi fosse un negozio ed infatti in alcune bancarelle c’è anche la possibilità di acquistare libri e non soltanto quelli presentati) di letteratura, cinema, teatro, musica e scienza. Scelgo di parlar della Valentini perché le sue risposte mi sembrano particolarmente convincenti per la loro incisività come “colpi d’ascia”, mi affascinano e non soltanto perché è del posto, nata a S. Biagio Saracinisco e con molte radici parentali nella stessa Picinisco. Certo il mio conterraneo Aurelio Picca da Velletri, “Se la fortuna è nostra” pubblicato da Rizzoli, ha già raggiunto una sua notorietà presso il lettore italiano ed è anche per questo che la mia scelta vira decisamente sulla Valentini, una laurea in germanistica conseguita a La Sapienza di Roma ma che da oltre vent’anni vive in Svizzera, per una straordinaria sintonia con la storia spaesata di tanti altri emigranti costretti all’esodo da questa Valle bellissima ma anche di lacrime per le scarse opportunità di lavoro e di successo personale che elargisce. Terra-madre amata che ama; terra-matrigna odiata che odia fino a disconoscere e a ripudiare alcuni suoi figli migliori. Qui a Picinisco, nel 2009, per i suoi precedenti romanzi “Quattro mele annurche” (2005) e “Di armadilli e charango…” (2008) le era già stato attribuito il premio europeo di narrativa “Giustino Ferri – David Herbert Lawrence”. “Non ho voglia di parlare con gli altri, ma ho sempre solo voglia di parlare con me stesso, di vomitarmi addosso quello che vedo, racimolo, ricordo. Io mi rumino dentro…”. E’ l’inizio svelto delle 138 pagine di “Antonia”, il romanzo edito da Gabriele Cappelli Editore, Mendrisio, 2010.
Ciarli è un geologo melanconico e misantropo che recupera con ossessione, per auto-racconto, la sua storia da bambino, la storia della cugina Antonia, o forse più, la storia della sua famiglia. Storia di emigranti come tanti perché quando si è poveri e non si è rassegnati non si ha che una risorsa, quella di emigrare in cerca di fortuna. Una storia spezzata, dolorosa perché “la vita è sempre un colpo d’ascia”, tagliente, senz’appelli. Una storia a lungo sovrastata, oltre la comprensione di Renzuccio e Angiolina, dalla figura incombente del padre di Antonia, una vera fabbrica di mentalità autoritarie direbbe Wilhelm Reich. In realtà la vera, assoluta protagonista è Antonia, la cugina di un anno più grande di Ciarli che vive e rivive di continuo nelle sue smaltate considerazioni, nata come è nata, cresciuta nell’antica San Biagio Saranicisco, povero borgo di pochi tetti e di ancor meno abitanti, i sassi della villetta comunale contati e calpestati insieme da scalzi, le cure della maestra Costanza, il bar di nonno Renzuccio, le attenzioni di nonna Angiolina. Le continue schermaglie con Ciarli che, come familistica “religio”, sono servite a legarli di un cemento indissolubile per la vita, i due pastelli dominati e incontaminati di verde e di celeste dei panorami della Valle, pure abbastanza chiusi da quei domiciliari orizzonti. E’ la storia dei grandi che la lasciano per emigrare in cerca di fortuna a Swansea, Galles, di sradicamenti e di ferite e di radicamenti nuovi, anche linguistici, tentati e quasi impossibili da raggiungere nel nuovo contesto. E’ la diacronia reale di questa Valle che ancora quest’anno e per il futuro vivrà delle mille storie, più una, dei nipoti e dei pronipoti dei pionieri scappati a vivere in Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda. Ma qui sono comunque rimaste le radici che fanno ancora dire loro, pur di terza o quarta generazione, con orgoglio “Songo ‘taliano”, sarà che qui c’è questo sole che lì è soltanto precario se non negato, il verde esplosivo dei boschi senza fine, l’acqua pura dei rii, il pomodoro e l’olio vergine d’oliva, la cantilena dei pellegrini che ad agosto puntualmente si mettono in viaggio per i sentieri selvatici che portano su al Canneto. Andata e ritorno. La mia bella casa a Picinisco è figlia di una di queste storie, tra i primi emigranti a fine ottocento a Londra. Così la casa dei miei vicini di destra (da Edimburgo) o di sotto (da Glasgow). Le storie si ripetono all’infinito con alcune varianti ed è bene che qualcuno, come la Valentini, nelle sequenze drammatiche e nelle prospettive della speranza le abbia sapute raccogliere prima della loro definitiva dispersione. Il critico Giorgio Barberi Squarotti definisce, e a ragione, il romanzo come molto bello, “… sia per l’ottima tenuta del linguaggio, della tensione narrativa, dell’intensità delle situazioni e degli eventi, sia per la sapienza nel fissare i personaggi e i luoghi”. Maria Rosaria Valentini con questo suo libro attesta che la Valle di Comino, e Picinisco e i suoi dintorni in particolare, si confermano luoghi letterari per eccellenza. E la vita stessa, con i suoi molteplici spunti e le sue deprivazioni, che ne conferma il carattere. Ecco perché queste storie, almeno quelle più significative come quella di “Antonia”, quasi ispirativo genius loci, non devono mai svanire in una folata di vento. L’invito quindi, ai tanti aspiranti alla scrittura, è quello di continuare a raccoglierle come parte integrante della propria esistenza precedente. Uno scritto di valore antropologico-culturale con una trama fitta, popolata di tradizioni familiari e comunitarie, di personaggi che sono realmente esistiti fin da sembrare autobiografici ma anche un piccolo capolavoro letterario di Maria Rosaria Valentini, sulla scia del più celebre “Vita” di Melania G. Mazzucco. “Das Schicksal gewährt uns unsre Wünsche, aber auf seine Weise, um uns etwas über unsere Wünsche geben zu können” (J.W. von Goethe,Le affinità elettive). Il destino esaudisce i nostri desideri, ma a modo suo, per poterci dare qualche cosa che è superiore ai nostri stessi desideri.
http://www.i-libri.com, 23.01.2012
ANTONIA – di Maria Rosaria Valentini
Di Marika Piscitelli
“Da bambini giocavamo spesso insieme, in un cortile enorme a forma di imbuto, circondato da un cordone di pitosfori. Ci eravamo messi in testa di contare i sassolini che segnavano il viale della villa comunale. Ma ogni volta ci toccava ricominciare da uno perché ci imbrogliavamo; calcolo dopo calcolo, mucchietto dopo mucchietto”.
In un certo senso Ciarli non ha mai veramente smesso di contare i sassi della villa comunale… Ha continuato a perdersi, a nascondersi da se stesso e ad avere paura. Non è mai diventato grande.
Timido, incerto e sospeso proprio come quel suo nome storpiato, che non è inglese e non è italiano, vive trascinandosi, senza slanci e senza entusiasmo, sulle sabbie mobili di un passato che si ostina a voler dimenticare e che rappresenta invece la sua unica via di salvezza dall’apatia e dalla depressione. È lì, nel passato, che sono sepolte le risposte alle sue domande, le radici della sofferenza che lo attanaglia e che non si sa spiegare. “La vita è un colpo d’ascia”, scrive la Valentini, e la storia di Ciarli si è dolorosamente spezzata…
Nella confusione dei suoi pensieri, la cugina Antonia è l’unico punto fermo, lo scoglio cui aggrapparsi, il conforto che nasce dalla condivisione delle difficoltà, l’affetto che non viene cancellato né dalla lontananza né dal tempo che scorre impietoso.
La morte di nonno Renzuccio sarà l’occasione per tornare al paese e fare i conti con la verità.
Ciarli non ama volare, così fa un lungo viaggio in macchina, arrivando quando gli altri sono già in chiesa per il funerale e cercando subito di incrociare lo sguardo rassicurante di Antonia. Poi, quando tutto è finito, seduto di fronte a lei nel bar intriso dell’odore del vino divenuto ormai aceto nelle damigiane, Ciarli finalmente viene a conoscere la vera storia della sua famiglia, dei genitori emigrati in cerca di fortuna e di quella straordinaria donna che era sua nonna, Angiolina, indiscussa padrona di casa nonostante l’atteggiarsi servile nei confronti di un marito che aveva forse la metà della sua forza, ma restava pur sempre il capofamiglia.
A questo punto del libro è Antonia a parlare, a raccontare, a chiarire ogni cosa con la sua schiettezza e il suo pragmatismo, a mettere insieme cocci di ricordi e ricucire ferite mai rimarginate. Lucida e ferma, spiega l’intrecciarsi degli eventi e i motivi alla base di determinate scelte ma, soprattutto, fa comprendere a Ciarli la ragione di certi suoi sentimenti, compresi quelli che prova per lei…
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