© Qgi, Quaderni grigionitaliani – anno 89°, 3/2020, p. 125
Il clamore delle storie silenziose
Di Fabiano Alborghetti
Begoña Feijoo Fariña, “Per una fetta di mela secca”, Gabriele Capelli Editore
La storia sociale e politica di una nazione è sempre una lettura complessa e molto sfaccettata, ma talvolta ci sono periodi che non solo la faccia nascondono, ma cercano di affondarla nell’oblio della dimenticanza volontaria. Gli internamenti coercitivi a scopo assistenziale avvenuti in Svizzera tra gli anni ’40 e gli anni ’80 sono una delle pagine nere di quella Storia (con la S maiuscola) che, se non fosse per il coraggio lungimirante di autori che ne esumano le spoglie, vivrebbero sepolte nel totale anonimato. Un anonimato che non risente neanche dell’azione mossa nel 2013 grazie alla consigliera federale Simonetta Sommaruga che, a nome del Governo nazionale, ha chiesto scusa per i gravi torti subiti. Ma si è chiesto scusa a chi? A quelli che erano bambini, migliaia e migliaia di bambini allontanati dal proprio nucleo familiare e resi i capri espiatori di colpe mai commesse: essere figli di poveri, figli illegittimi, ragazzi difficili o ribelli o appartenenti a etnie ritenute incapaci di educarli in modo “civile”, o più semplicemente l’essere figli di una ragazza madre.
Nel decalogo della tragedia: collocamenti a servizio (presso famiglie o come lavoranti-schiavi in aziende agricole), internamenti amministrativi (ovvero rinchiusi in istituti chiusi, talvolta penitenziari, senza decisione giudiziaria) ma eguale accanimento lo si è avuto anche verso le persone che si sono viste violare i diritti riproduttivi (con sterilizzazioni o aborti forzati), i bambini dati in adozione senza il consenso dei genitori (perché il nucleo familiare non è stato ritenuto, dalle autorità, sufficientemente degno) oppure gli itineranti (su tutti, l’accanimento avuto verso la popolazione nomade Jenish). Sotto il burocratico velo di “collocamento extrafamiliare”, le realtà sono stati gli abusi.
A parlarne nel 2020 è la scrittrice e drammaturga Begoña Feijoo Fariña in Per una fetta di mela secca, un solido e sorprendente libro edito da Gabriele Capelli di Mendrisio. Quasi tre anni di lavorazione, ricerche sul campo in archivi cartacei e audiovisuali, interviste a tre persone che la verità degli abusi l’hanno subita di persona. Una moltitudine di materiali e storie che Begoña Feijoo Fariña assimila, compatta e infine riassume dando vita e voce a Lidia Scettrini, la protagonista. Sarà lei l’emblema, la narratrice, la personificazione. Che l’autrice fosse già addentro – e con grande competenza – nel mondo della parola, si era già rivelato sia con diverse drammaturgie andate in scena che nei precedenti lavori editi. È però grazie a Per una fetta di mela secca che la piena maturità narrativa viene raggiunta. La voce della sua Lidia, la scansione temporale, l’accuratezza storica, un processo di scrittura rispettoso, teso e fortemente compiuto: tutto concorre a consolidare questo libro ponendolo su un piano che, pur rispettando del romanzo le caratteristiche (perché questo è: un romanzo tanto avvincente quanto commovente), diventa al contempo materiale storico.
La trama: Lidia Scettrini è la figlia felice di una famiglia che presto vede il padre scomparso (la madre di Lidia divorzia, in un periodo ove il divorzio è ancora un tabù). Seguiamo Lidia nascere a Cavaione e poi crescere, arrivando sino all’anno 2018. La viviamo nel percorso dell’infanzia dove viene allontanata dalla madre, sino alla sua piena maturità. Nel mezzo, il collocamento in orfanotrofio (gestito da suore affatto caritatevoli leggendo i maltrattamenti e l’infierire sulle ospiti dell’istituto) e poi l’essere assegnata a un contadino per lavori duri e sfiancanti, non ultimo l’accudirne la moglie, donna malata e costretta a letto. Le ulteriori sottotrame danno la carne a quel corpo di bimba che seguiamo, portandoci a commuovere e parteggiare perché accada il riscatto: l’affezione di Lidia verso le altre piccole compagne di sventura, la ricerca indefessa del senso e della gaiezza insite nella vita, l’incomprensione della crudeltà. Alla morte della moglie del contadino, la nostra Lidia, ormai diciannovenne (e prossima alla maggiore età), potrà affrancarsi dagli orrori subiti per tornare a Cavaione. Da questo ritorno al villaggio che ormai le è estraneo, ecco il moto per ricostruire una vita perduta: il ricostruire una casa in primis, cercando di sedare l’immane dolore che i ricordi, inesorabili esattori, ripropongono. Secondo moto, è il ritrovare una propria identità: costante della narrazione è il sotteso messaggio che Lidia non conti nulla, che sia fluttuante perché privata del nome, dell’appartenenza, e privata è di sé stessa (perché asservita non solo alle altrui volontà, ma all’essere braccia atte a svolgere un lavoro, e che tanto basti). Dovrà ritrovarsi, riformarsi, ripartendo daccapo.
Begoña Feijoo Fariña scadenza la narrazione attraverso capitoli ancorati (anche nel titolo) in quel lasso temporale che vede la morte della madre di Lidia, nel prima e nel dopo. Il “durante” è la certezza che mentre Lidia sopravvive – umanamente fragile – a tutti i contrari, a casa un madre l’aspetta e – forse – non ha mai smesso d’amarla di quell’identico amore che nell’infanzia Lidia ha ricevuto. Se la storia intinge i fatti nella sola presenza della figlia, ecco come questa seconda presenza materna non vive solo di ombre ma diventa coprotagonista proprio grazie all’assenza. L’escamotage letterario che Begoña coscientemente mette in atto, è porre l’accento anche sulle figure genitoriali che il dramma dell’estirpazione dell’affetto hanno subito, seppure in diversa forma e maniera, un dire “ci sono anche loro”.
Begoña Feijoo Fariña tratta una materia complessa con l’attenzione e l’umiltà di chi la storia – seppure con le necessarie differenze – potrebbe aver vissuto; per le proprie origini, per i tempi, per quelle coordinate che appoggiano al caso e non alla volontà.
Per una fetta di mela secca non è solo l’illuminate narrazione per comprendere l’esatta incompletezza di un periodo storico, ma un monito necessario e assoluto: per non ripetere è necessario comprendere.
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