Ecco parte del prologo del romanzo “Il ladro di ragazze” di Carlo Silini. La processione del Venerdì Santo a Mendrisio… nel XVII secolo.
1659 – Venerdì Santo
L’ombra immensa del Promemoria avanzava oscillando sopra le nuvole di incenso profumato e il mormorio eterno della liturgia. Maddalena ne attendeva il passaggio da più di mezz’ora. Malgrado fosse considerata una cattiva cristiana – lei però si riteneva svergognatamente religiosa: credente, cioè, in modo profondo sebbene poco ortodosso – non voleva mancare l’appuntamento con quella gigantesca statua coperta di seta nera.
Ogni anno i membri della confraternita dell’Addolorata, cantando a bassa voce lo Stabat Mater, la portavano per le vie del Borgo la notte del Venerdì Santo.
E adesso eccola lì, la Madonna dei Sette Dolori e degli altrettanti pugnali luccicanti conficcati nel cuore d’argento.
Aveva un bel dire, il prete, che ogni lama rappresentava una delle ferite inferte alla Vergine: la profezia di Simeone, la fuga in Egitto, la perdita di Gesù dodicenne nel tempio, lo sguardo scambiato con lui lungo la Via Crucis, le lacrime ai piedi della croce,
l’abbraccio al figlio morto, la sua sepoltura. A dispetto di quel bel catechismo, Maddalena si sentiva autorizzata a vedere nella statua dell’Addolorata di Mendrisio il volto di sua mamma, quella terrena.
Ventisei anni prima sua madre era servita da modella all’artista che aveva plasmato nel legno il volto e le mani della Vergine (perché quelle erano le uniche parti scolpite che spuntavano dal manto: erano state inserite sul corpo di una statua più antica, forse un angelo monco). Non era stata una scelta casuale. Lo scultore, un Pietro Cassina che teneva bottega coi figli nel Comasco, aveva avuto dal committente l’ordine perentorio di riprodurre le fattezze di Barbara de Buziis e di nessun’altra. Non solo per via della sua strabiliante bellezza o per la nobiltà del casato al quale apparteneva. L’uomo che aveva dato disposizione, e soprattutto denaro, per realizzare l’effigie – il ricco daziario luganese Cristoforo Gorini – aveva indicato proprio in quella ragazza di Mendrisio la musa che lo scultore avrebbe dovuto obbligatoriamente ritrarre nei panni della Vergine. «Sennò si cerchino un altro mecenate.» I frati Serviti del convento di San Giovanni – destinatari del devoto regalo – non ebbero nulla da ridire. Si trattava di una generosissima donazione. E Barbara de Buziis prestò i suoi tratti alla Vergine delle sette spade senza protestare. All’epoca non poteva saperlo, ma quel ritratto sarebbe diventato l’ultima traccia visibile di un’inaudita vicenda della quale il mondo avrebbe occultato il ricordo con desolante rapidità…


