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Daniele Dell’Agnola
Anche i bruchi volano

Questa notte ho sognato un tribunale delle meraviglie. La ragazza sull’albero, occhi grigi, pelle bianca, capelli neri e lisci, era seduta con le gambe penzoloni su un tronco d’abete, vestita da giudice, mentre i procuratori erano Wilhelm e Undine, ritta in piedi su un tavolino come un piccolo Gatto con gli stivali. Wilhelm portava gli occhiali e leggeva l’atto d’accusa. Il poliziotto stava in piedi sull’attenti, in silenzio. Sul banco degli imputati sedevano il papà, la mamma e Maelle con la pappa gialla spalmata in faccia. Su un tavolone di lato c’erano montagne di pannolini pieni di cacca.
Le vittime che avevano sporto denuncia, oltre agli strizza, erano Marcello Porcello e suo padre, che rideva come uno scemo. La giuria, composta da bambini agitati, iperattivi e imbottiti di metilfenidato, ascoltava con attenzione Wilhelm. I signori Montemartini, la giovane Lara Lafranchi e il signor Burla erano pure parte della giuria, ma continuavano a litigare tra di loro. Si chiedeva l’assoluzione di papà e mamma e una condanna all’ergastolo per i pannolini pieni di cacca di Maelle.
Undine ha ribaltato l’accusa chiedendo la condanna per gli strizza. I bambini battevano i pugni sul tavolo a ritmo sostenuto e la ragazza sull’albero cercava di ristabilire la calma colpendo il tronco d’abete con una scure. A silenzio ottenuto ha detto che, in attesa della sentenza, gli strizza, Marcello Porcello e il padre pediatra sarebbero stati rinchiusi in cella, perché sospettati di aver rubato le nostre biciclette, mentre papà, mamma e Maelle erano liberi di andare a casa, a condizione che la bimba fosse pulita. E i pannolini dovevano essere bruciati. Montemartini, Burla e Lara Lafranchi sono stati espulsi dalla giuria per mancanza di disciplina.
Mi sono svegliato sudato in piena notte; la luna mi guardava dalla finestra. Sulla terrazza si è delineata l’ombra di un ladro. Bussava sul vetro.
Ho sentito un «psssssst».
Mi sono alzato, ho afferrato la mazza da baseball e ho aperto la finestra.
La ragazza dagli occhi grigi è entrata adagio, scavalcando il davanzale. Teneva in braccio Undine, addormentata. L’ha posata sul letto e si è seduta anche lei. Non le ho chiesto niente. Ho lanciato la mazza da baseball per terra e mi sono gettato sotto il piumone, convinto di trovarmi nel mezzo di un altro sogno.
Alle sette e mezza mi sono ritrovato la sua faccia a due centimetri dal mio naso. Mi ha sorriso nella luce del mattino e aveva una margherita in bocca. La sciagurata aveva dormito con me. In quel momento mia madre ha spalancato la porta gridando il solito «On se réveille!» ed è rimasta lì con la bocca aperta. Undine si è rifugiata sotto il letto e nel giardino si è udito Wilhelm che abbaiava. Per dimostrare a mia madre che ero stupito quanto lei ho detto alla mia compagna di letto: «E tu chi diavolo sei?».
Poi mi sono giustificato, anche se l’imbarazzo trapelava dal tono della mia voce: «Non so chi sia, mamma! Dev’essere entrata dalla finestra. C’est peut-être elle qui nous a volé les vélos!»
La ragazza è balzata in piedi sul materasso e ha parlato in tono duro, con un forte accento tedesco.
«Suo figlio non sa chi sono, ma gli ho salvato la vita al fiume! E ora vi ho riportato la gatta e il cane. Lo sente Wilhelm che abbaia? Mi sono fermata qui perché ero stanca stanotte. L’albero che avete in giardino ha i rami che non arrivano al balcone. Ho fatto un salto e ho rischiato di volare giù nel vuoto, solo per riportare la gatta a suo figlio. E lui ha il coraggio di dire che non sa chi sono. Dumme!»
A quel punto si è fermata, fissandomi con gli occhi grigi.
La mamma, nel panico più assoluto, è andata a chiamare la signora Kutzman. La maledetta signora Kutzman, madre di tutti i bruchi eterni.
«Vattene» ho detto alla ragazza. «Non so nemmeno come ti chiami.»
«Danke» ha ribattuto irritata.
È uscita dalla finestra, bilanciando il peso contro un ramo, ed è sparita fra gli alberi, mentre Wilhelm correva su per le scale e si gettava sul letto per farmi le feste.
Poco dopo la Kutzman è comparsa sulla soglia, anche se non c’era più nulla da vedere.
La mamma continuava a ripetere che non ce la fa più, e singhiozzava in modo nevrotico. Come si può piangere così disperatamente per una ragazzina che si è addormentata nel letto di tuo figlio?
Ora cambio il pannolino a Maelle, poi la metto nel passeggino ed esco di casa, mentre la mamma parla al telefono con uno strizza (o forse è il papà di Marcello). La Kutzman, rientrata nel frattempo con i gatti a casa sua, spalanca la finestra e mi chiede dove sto andando. Borbotta qualcosa sulla polizia, mi definisce un bambino insopportabile, impulsivo e irascibile, dice che una volta i bambini erano più poveri ed erano contenti lo stesso, e ai tempi della guerra eccetera. Dietro, la radio trasmette una messa a tutto volume.

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